Mamma li Turchi! E’ il grido di terrore che echeggia lungo le coste salentine dopo che, nella calura agostana del 1480, le navi del sultano ottomano, al comando del temibilissimo Gedik Ahmet Pascià, si impadroniscono della città di Otranto dove, oltre a violenze di ogni genere contro donne e bambini anche piccolissimi, compiono una vera e propria strage: 800 uomini vengono decapitati in un sol giorno per aver rifiutato la conversione alla religione islamica. Sono ricordati come i Martiri di Otranto.
I resti dei Martiri di Otranto, conservati nella Cattedrale
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Si spiega dunque molto bene quell’esclamazione che riassume l’angoscia delle popolazioni pugliesi di fronte a un nemico tanto spietato quanto difficile da contrastare.
Probabilmente quel grido di terrore – magari in altre forme a seconda dei luoghi – risuonerà lungo tutte le coste italiane, e più in generale europee, per molti decenni a venire. Anzi, addirittura per secoli, visto che i corsari barbareschi terrorizzano tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sopratutto a partire dal 16° secolo e fino all’inizio del 19°.
La maggior parte delle navi corsare, quando non appartengono direttamente alla marineria del sultano ottomano, agiscono comunque per suo conto contro navi nemiche o paesi rivieraschi, in virtù della patente di corsa concessa dal sultano stesso.
Quando nel 1536 il cristianissimo re di Francia Francesco I, pur di mettere i bastoni fra le ruote all’imperatore Carlo V, si allea con Solimano il Magnifico, le scorrerie barbaresche non si contano più, non solo nei regni legati alla Spagna, ma un po’ in tutta Italia, fatta eccezione per le coste dell’alto Adriatico, sulle quali vigila la Serenissima.
Francesco I (a sinistra) e Solimano il Magnifico (a destra), firmatari della prima alleanza franco-ottomana
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In quegli anni imperversa, tra Grecia, Italia e Nord Africa, Khayr al-Dīn detto Barbarossa, prima corsaro e poi ammiraglio della flotta ottomana. Le sue incursioni nella terraferma, con i relativi saccheggi e riduzioni in schiavitù di migliaia di uomini donne e bambini, se non fossero una terribile realtà, potrebbero assumere i contorni della leggenda: nel 1534, ad esempio, mentre scorrazza tra Campania e Lazio, tenta di rapire la bellissima Giulia Gonzaga, per donarla al Sultano.
Lei riesce a mettersi in salvo, mentre non avrà la stessa fortuna la giovanissima Flavia Gaetani, figlia del governatore di Reggio Calabria. Quando Barbarossa la vede tra i prigionieri, immediatamente perde la testa per lei e la pretende in sposa (Flavia ha 18 anni, lui 67); il matrimonio salverà la vita dei genitori della ragazza e degli stessi reggini che, come dono per le nozze, saranno risparmiati. Quando saccheggia le coste della Liguria, fino a Nizza, il bottino destinato al suo sultano è straordinario: tra i 5.000 prigionieri cristiani ci sono 200 monache, vergini che costituiscono il suo omaggio personale a Solimano.
Khayr al-Dīn detto Barbarossa
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In Liguria però, ancor più di Barbarossa, rimane vivido il ricordo del suo protetto, Turgut Reis, conosciuto con il nome di Dragut o, tra i musulmani, come spada vendicatrice dell’islam.
Busto di Turgut Reis nel Museo Navale di Mersin – Turchia
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Ai liguri (e non solo a loro) sembra un miracolo quando, il 15 giugno 1540, Giannettino Doria (nipote di Andrea Doria), quasi un ragazzo in confronto all’esperto Dragut, riesce ad avere la meglio su di lui e sulle sue 11 galee, imprudentemente ancorate nel golfo di Girolata, in Corsica.
Giannettino Doria
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Dragut, su mandato di Barbarossa, si aggirava da tempo nel Mediterraneo occidentale per tenere a bada le navi incaricate da Carlo V di contrastare i corsari barbareschi. Il compito è stato affidato ad Andrea Doria che, forte di 80 galee, vuole ripetere l’impresa storica del romano Gneo Pompeo (l’ex console aveva sgominato i pirati della Cilicia in soli tre mesi).
L’ammiraglio divide la sua flotta in cinque squadre, una delle quali, inviata a pattugliare le acque di Sardegna e Corsica, ha come comandanti Giannettino Doria e lo spagnolo Berenguer de Requesens. Sono loro, con 20 galee, a sorprendere Dragut e i suoi marinai, scesi a terra per dividersi il bottino. Gli ottomani rimangono intrappolati nel golfo, e proprio Giannettino spara la bordata decisiva che mette fuori uso la nave ammiraglia del corsaro.
Andrea Doria
La vittoria ha il sapore della rivincita, in particolare per Andrea Doria, che al comando della Lega Santa era stato sconfitto, nel 1538, nella battaglia di Preveza, a cui aveva partecipato anche Turgut Reis. Grazie al nipote Giannettino finiscono in catene 1200 pirati, tra i quali c’è Dragut, mentre riconquistano la libertà altrettanti cristiani ridotti in schiavitù.
Insomma, l’orgoglioso Dragut, “il più grande guerriero pirata di tutti i tempi”, finisce ai ferri in una galea dei Doria. Potrebbe finire così i suoi giorni, invece, dopo quattro anni, il suo buon amico Barbarossa contratta – mettendo sotto assedio Genova – il suo riscatto.
Pur di riaverlo sborsa 3500 ducati d’oro
Ritornato nel pieno delle sue funzioni, Dragut decide di farla pagare ai Liguri: nel 1545 le città e i paesi della Riviera patiscono la vendetta del Corsaro.
Il ricordo di quelle scorrerie rimane ancora oggi nella memoria degli abitanti di La Spezia, Pegli, Rapallo, Levanto e dei piccoli incantevoli borghi delle Cinque Terre. Solo Manarola e Riomaggiore sfuggono alla devastazione, forse perché uniscono le loro forze.
Manarola
Fotografia di Annalisa Lo Monaco
Sulla Riviera fioriscono leggende riportate ancora oggi, come quella di un ingente bottino nascosto da Dragut stesso tra gli scogli di Camogli, più precisamente a Cala dell’Oro. Pare che dei ragazzi del luogo, dopo aver scoperto il tesoro, se lo siano visto portar via da uno strano personaggio con turbante in testa e scimitarra al fianco, che poi si è dileguato su un veliero fantasma…. (La leggenda è raccontata da Annamaria Mariotti nell’antologia “Ambiente e civiltà”).
Per tornare al Dragut in carne e ossa, dopo un altro paio d’anni passati a compiere scorrerie d’ogni sorta, Dragut entra al servizio diretto di Solimano (ma continua a fare il pirata, compiendo innumerevoli incursioni ancora sulle coste liguri e in tutta Italia), viene nominato Bey di Algeri e Djerba, poi anche di Tripoli, oltre che Beylerbey (governatore capo) del Mediterraneo.
Ritratto popolare di Dragut
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Tutti titoli e riconoscimenti conquistati sul campo (sul mare, sarebbe più appropriato dire) in mille e mille battaglie, scorrerie e saccheggi, che rendono la sua figura leggendaria, in negativo per l’incalcolabile numero di persone uccise o ridotte in schiavitù, ma in senso positivo per gli ottomani e i turchi d’oggigiorno, per i quali è un grande eroe.
Statua di Turgut Reis a Istanbul
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La spada vendicatrice dell’islam, a 80 anni, ancora non si arrende all’età avanzata e partecipa, da comandante in capo, al Grande Assedio di Malta, voluto da Solimano per annientare il Sovrano Militare Ordine di Malta.
Turgut Reis sbarca a Malta
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La storia della sconfitta ottomana – dovuta a diversi fattori non imputabili al corsaro – è nota. Eppure, secondo alcuni storici, se il 17 giugno 1565 Dragut non fosse morto, forse l’assedio avrebbe avuto un altro epilogo. Finisce invece così, con una scheggia di pietra rimbalzata sulla sua fronte a seguito di un colpo di cannone, la vita del “re senza corona del Mediterraneo” (Francesco Balbi, L’assedio di Malta, 1565). Non è neppure certo se quella palla di cannone fosse stata sparata dai difensori di Forte Sant’angelo o dagli stessi ottomani.
La morte di Turgut Reis
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Su Turgut Reis sono stati scritti fiumi di parole e in Turchia, come in Nord Africa, gli sono state intitolate città e strade. Persino a Malta c’è un luogo chiamato Dragut Point, estremo lembo del promontorio di Tigne, forse non a eterna memoria di un nemico tanto onorevole quanto temibile, ma piuttosto a ricordo di una sofferta vittoria, costata migliaia e migliaia di vite umane.