Don Marco Bisceglia: il controverso sacerdote che fu fondatore dell’ARCIGAY

Gli anni ’70 del secolo scorso ci consegnano una storia di contestazione che attraversò l’intero tessuto sociale e investì ambiti apparentemente separati e molto diversi tra loro, ma che finirono per intrecciarsi. Le questioni politiche debordarono nella vita religiosa e la rivoluzione sessuale e dei costumi influenzò anche la Chiesa.

Il 22 luglio 2001, proprio a vent’anni di distanza da questi giorni, si spegneva uno dei protagonisti di quell’epoca turbolenta, don Marco Bisceglia, sacerdote di rottura, che condizionò la vita della chiesa lucana, la sua terra, ma soprattutto diede vita all’ARCIGAY da una branca del dipartimento diritti civili dell’ARCI nazionale, poi costituitasi in associazione autonoma.

Don Marco Bisceglia


Una vita di fede è stata così alla base dei primi passi compiuti dagli omosessuali in Italia, nel solco della presa di coscienza dell’affermazione dei diritti civili. Questo attivismo considerato oggi simbolo della cultura laica e materialista affonda quindi le sue radici in un percorso di vita travagliato, di un uomo, un prete, talvolta inviso alle gerarchie ecclesiastiche, e spesso vituperato, considerato pietra di scandalo, allontanato e infine riconciliato in toto nell’abbraccio di una Chiesa pronta a riaccoglierlo.

L’episodio che lo rese noto alle cronache avvenne nel 1975, con l’imboscata di due giornalisti della rivista Il Borghese che, presentandosi come coppia gay, avevano estorto con l’inganno una benedizione nella canonica attigua alla chiesa di cui era parroco, per mostrarla all’opinione pubblica come prova della celebrazione di un sacramento non autorizzato. Furono giudicati attendibili da tutti, questi due opinionisti che premettevano nella cronaca della loro impresa l’aggettivo “ripugnante”, alla parola “omosessuale”. D’altronde era quello lo spirito dei tempi.

Il gesuita don Marco – sospeso a divinis per quell’episodio e tacciato di essere un “prete comunista” – per la verità non aveva mai avuto rapporti sereni con i propri superiori, per le numerose prese di posizione in aperta critica riguardo innumerevoli tematiche di carattere dottrinario e morale, a cominciare dall’obbligo del celibato, contestato in una sua lettera pubblicata su Avvenire. In un contesto di fermento anche nella chiesa, quelle critiche accese, spesso al di sopra delle righe, hanno permesso di gettare dei semi, i cui frutti sta a noi come generazione successiva raccogliere.

Il dibattito sull’omosessualità come anche della liberazione sessuale in generale, scaturì in quegli anni da episodi limite, emblematici spesso di una cultura retrograda, violenta.

Un truculento fatto di cronaca che vide protagonisti una coppia di giovani uomini di Giarre, coinvolti in un mai chiarito caso di omicidio-suicidio, sopraggiunto al culmine di percorsi di vita segnati dall’emarginazione sociale per il loro orientamento sessuale, avviò la riflessione e l’attività del primo gruppo dell’ARCIGAY a Palermo, su impulso di don Marco. Una scossa era necessaria.

Nell’ottica di superare la violenza e le contrapposizioni, un certo spirito evangelico può aver spinto la sua coscienza ad agire creando un’unità di intenti, che traghetterà nel giro di pochi anni il movimento omosessuale in un impressionante fenomeno di massa.

E proprio nel periodo in cui prendeva corpo questo allargamento, don Marco sceglieva di tornare in seno alla chiesa e, malato di AIDS, fu reintegrato nelle funzioni presbiteriali dal cardinal Ratzinger.

Ieri come oggi il tema dei diritti civili non può essere patrimonio di una sola cultura, laica o clericale. Come ebbe modo di ricordare lo stesso don Marco Bisceglia, la rivoluzione per la rivalutazione del corpo, per la liberazione della vita sessuale di ciascuno, dalle catene di una morale sessuofobica, colpevolizzante, repressiva, causa di tanta infelicità, non contraddice la portata positiva del Cristianesimo: il senso del “sacro”, il senso dell’amore. Sacro tra virgolette, a significare dignità, nobiltà, rispetto.


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