Molti decenni fa, in Romania, il nome Doftana era sinonimo di terrore. Oggi sono in pochi a conoscerlo, e solo le rovine abbandonate di una prigione ai piedi dei Carpazi rimangono come spettrali testimonianze di quel carcere un tempo conosciuto come la “Bastiglia Romena”.
Tutte le immagini sono di Constantin Onu, condivise con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons:
Agli inizi del secolo scorso però, il carcere era famoso per il suo duro regime, riservato quasi esclusivamente ai prigionieri politici: intellettuali, terroristi, aspiranti rivoluzionari che volevano rovesciare la monarchia. Il grande fabbricato era stato costruito nel 1895, con funzione di alloggio per gli operai, quando in quella regione rurale cominciò a essere estratto il petrolio.
Nel giro di pochi anni il fabbricato cambiò destinazione d’uso e divenne una prigione, un carcere tristemente famoso per le dure condizioni di vita dei prigionieri e per la brutalità delle guardie. Per questi motivi fu soprannominato “Bastiglia Rumena”.
In quegli anni di inizio secolo, quando l’Unione Sovietica era il punto di riferimento per i rivoluzionari che sognavano di far cadere regimi monarchici spesso indifferenti ai bisogni dei loro sudditi, in Romania ci furono numeroso rivolte contro il re Ferdinando I.
Il sovrano mise fuori legge sia il partito comunista sia le altre organizzazioni anti-monarchiche. Doftana divenne la destinazione di tutti i sospetti comunisti, che andarono a far compagnia ai detenuti già imprigionati nel carcere per aver partecipato, nel 1907, a una rivolta di contadini.
Oggi le rovine di Doftana non rappresenterebbero molto più che una meta per chi ama le inquietanti atmosfere dei luoghi abbandonati, se non avessero avuto anche una breve storia come museo, negli anni ’60.
Proprio grazie a quel breve periodo è rimasta traccia di un’attività segreta condotta dai prigionieri all’interno del carcere. Anche se oggi le poche prove materiali sono scomparse, si sa che nella prigione veniva redatto un giornale segreto, chiamato “Doftana Rossa”.
Come accade un po’ in tutte le prigioni, che fungono da scuola criminale, anche a Doftana ciò che l’amministrazione carceraria doveva combattere, ovvero la dottrina comunista, si diffuse fra tutti i detenuti: gli intellettuali istruivano gli altri prigionieri sugli insegnamenti di Marx e Lenin, sulla storia dell’Unione Sovietica e del Partito Comunista. Furono imprigionati in quel carcere tutti i futuri leader della Romania comunista: Gheorghe-Gheorghiu Dei, Nicolae Ceausescu e molti altri; alcuni però morirono durante la detenzione, per il freddo, la fame, i maltrattamenti, e anche per i crolli dovuti a due terremoti.
L’abbandono (per mancanza di fondi) in cui fu presto lasciato il carcere trasformato in museo, ha disperso quei pochi frammenti di carta che testimoniavano la straordinaria volontà dei detenuti di non arrendersi, di non rinunciare ai propri ideali.
Il giornale dei detenuti esisteva sicuramente nel 1924, ma nessuno sa se fosse diffuso anche in precedenza. Per portare avanti il progetto, i prigionieri comunicavano con dei codici segreti, come colpi alle pareti o sulle sbarre, ma anche con un linguaggio muto che era una sorta di fusione tra il codice Morse e il linguaggio dei segni.
Gli articoli venivano scritti con matite improvvisate su frammenti di carta, anche quella delle sigarette, oppure su fogli strappati dai libri della biblioteca, per il breve periodo in cui funzionò. Matite e giornali esterni venivano introdotti nel carcere dai nuovi detenuti, cuciti nelle fodere dei cappotti, mentre gli articoli scritti dai carcerati venivano passati di cella in cella, nascosti in oggetti dall’apparenza innocua, chiamati fantasiosamente “cavallo morbido” (una borsa di tela ricavata da una federa), o “topo” (un piccolo pezzo di legno con una fessura in mezzo).
Il giornale veniva diffuso anche all’esterno della prigione, nascosto in tubi di ferro sottratti ai fabbri che lavoravano all’interno della prigione, corrieri inconsapevoli (o meno) dei rivoluzionari. Talvolta venivano anche gettati nelle acque del fiume Doftana, per essere poi raccolti a valle.
Sopravvivere nel carcere doveva essere già una conquista non da poco, scrivere un giornale segreto era una prova di coraggio e perseveranza quasi eroica, vista la crudeltà con cui venivano trattati i detenuti.
Il carcere di Doftana fu chiuso nel 1949; il nuovo governo comunista non volle usarlo per i dissidenti, spediti invece in gulag come quello famigerato di Piteşti: il sangue dei martiri comunisti non doveva sporcarsi con quello dei suoi antagonisti. Dopo il breve intervallo durante il quale Doftana divenne un museo meta della gioventù comunista, l’edificio fu totalmente abbandonato.
Poi l’oblio: l’edificio era troppo costoso da mantenere, e in parte già devastato dai terremoti. I difficili inverni sotto l’ombra dei Carpazi hanno fatto il resto: la neve ha sfondato il tetto, e la foresta ha allungato i suoi verdi tentacoli tra mattoni e inferriate. Tra pochi anni rimarrà ben poco della “Bastiglia Rumena”, e purtroppo si perderà memoria anche del giornale “Doftana Rossa”, straordinaria testimonianza della forza dell’utopia.