“Davide con la testa di Golia” è l’ultimo duplice Autoritratto di Caravaggio?

Genio e sregolatezza è il binomio che più si addice a descrivere la parabola artistica ed esistenziale di uno dei pittori più celebri del XVII secolo, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, i cui dipinti, caratterizzati da un profondo realismo e da un uso scenografico della luce, esercitarono un’enorme influenza su intere generazioni di artisti europei.

La breve e tempestosa vita del Caravaggio (dal nome del paese nel bergamasco di cui erano originari i genitori) ebbe origine a Milano, nel 1571.Trasferitosi a Roma poco più che ventenne – e divenuto il nuovo astro della “pittura moderna” – il pittore ricevette commissioni dalle famiglie più in vista della Città Eterna, ma condusse una vita sbandata, costellata di risse e duelli, sino al tragico epilogo del 28 maggio del 1606, quando uccise a Campo Marzio, per futili motivi, un tal Ranuccio Tommasoni da Terni, finendo processato in contumacia e condannato alla pena capitale per decapitazione.

Furono solo le amicizie importanti a salvarlo

Grazie all’intervento di Filippo I Colonna, l’artista trovò infatti rifugio dapprima nei feudi laziali del principe, infine a Napoli, sotto la protezione del duca Luigi Carafa.

Sotto, Giuditta taglia la testa a Oloferne, dipinto del 1602 conservato a Palazzo Barberini, Roma:

Il clima opulento e decadente della capitale meridionale risultò congeniale al Caravaggio, che vi soggiornò in due occasioni, tra il 1606 ed il 1607, e di ritorno dalla Sicilia, nel 1609, prima della fine, vivendo una fase proficua sotto il profilo artistico. Risalgono al soggiorno partenopeo le esecuzioni di due delle tre versioni esistenti del David e Golia, la prima del 1607, attualmente conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna e la seconda, custodita presso la Galleria Borghese di Roma, realizzata tra il 1609 ed il 1610, destinata al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare al pontefice Paolo V per l’ottenimento della grazia. Quest’ultima tela era sulla feluca che trasportò il pittore nel suo ultimo, sfortunato viaggio, conclusosi presso Porto Ercole in Maremma, forse per una febbre malarica, nel 1610. Una precedente versione, del 1597, meno complessa delle due successive, è oggi al Museo del Prado di Madrid.

Sotto, Davide con la testa di Golia, Galleria Borghese Roma:

Nei tre dipinti il pittore lombardo rivoluziona la precedente tradizione iconografica, decidendo di rappresentare il secondo atto dell’episodio biblico, non quello, più comune nell’arte, del David concentrato nello sforzo di colpire l’avversario – come nei capolavori di Donatello, di Michelangelo e del Bernini – ma quello in cui, vittorioso, lo decapita.

Come è noto, il racconto di David e Golia – narrato nel Secondo Libro di Samuele, nel Primo Libro dei Re e nel Primo Libro delle Cronache – descrive la storia dello scontro il gigante filisteo che terrorizzava gli ebrei sfidandoli a duello, e il coraggioso adolescente di umili origini che si offrì di combatterlo. Inizialmente Golia, vedendo che il suo sfidante era un ragazzo, lo derise, ma David, a dispetto della disparità di forze rispetto all’avversario, centrò il gigante in piena fronte con una pietra, uccidendolo. Quando il giovinetto mostrò il capo mozzato di Golia, l’esercito filisteo, preso dal panico, si disperse, e il popolo israelita fu liberato dalla sua minaccia.

L’episodio biblico offre al Caravaggio il pretesto per raffigurare il tema della decapitazione, caro a tutta l’iconografia del Seicento, ma che ricorre in lui ossessivamente, visto che ritorna – tra le altre opere – anche nelle due versioni della Salomè con la testa del Battista e nella Decollazione di San Giovanni Battista di Malta. Il verdetto successivo al delitto di Campo Marzio, d’altronde, prevedeva che la pena di morte per decapitazione potesse essere inflitta da chiunque riconoscesse il pittore in strada, il che spiega i timori dell’artista e la ridondanza angosciosa dei soggetti dei suoi quadri.

Sotto, Salomè con la testa del Battista (Caravaggio Londra):

Nel dipinto di Vienna del David e Golia, il giovane eroe biblico sbuca dall’oscurità subito dopo aver reciso la testa del gigante filisteo, che esibisce come un macabro trofeo. David ha le sembianze di Francesco Boneri, garzone di bottega e forse amante del pittore, e la luce sembra enfatizzarne il gesto trionfale e lo sguardo vagamente inquieto, che fa da contrappunto alla smorfia di dolore della vittima, autoritratto, come il Golia delle altre due versioni, del Caravaggio.

Decollazione di San Giovanni Battista (Caravaggio):

Nel dipinto della Galleria Borghese, uno dei quadri più intensi e sconvolgenti della produzione caravaggesca, il volto sofferente del gigante sembra quasi emergere dalle tenebre infernali, ancora in bilico tra la vita e la morte. Il realismo della rappresentazione indugia impietoso sui dettagli del viso, sullo sguardo spento, sulla dentatura irregolare, sulla bocca spalancata fissa nell’esalazione dell’ultimo respiro, sul labbro inferiore tumefatto, che conferisce un’aria pateticamente caricaturale al viso.

Un David non dall’espressione trionfante stavolta, ma dallo sguardo tormentato che sembra esprimere commiserazione per la sua vittima, tiene per i capelli il capo reciso, tendendo il braccio – mirabilmente scorciato – in avanti, tanto che per l’effetto dell’illusione ottica l’arto sembra quasi protendersi all’esterno della composizione.

La spada del giovane, con i suoi bagliori metallici, attira lo sguardo dello spettatore e acuisce l’effetto drammatico del dipinto

Su di essa compare l’iscrizione “H-AS OS” che, erroneamente interpretata in passato come il marchio dell’armaiolo, si è poi rivelata riassumere  la sigla del motto agostiniano “Humilitas occidit superbiam”, ovvero “L’umiltà uccide la superbia”.

Nell’interpretazione agostiniana dell’episodio biblico, il gigante rappresenta infatti il peccato e la tentazione demoniaca che si contrappongono al giovane David, che simboleggia Cristo

Siamo dunque di fronte ad un Caravaggio contrito, che si ritrae nelle vesti del gigante decapitato perché afflitto dai sensi di colpa? Il dipinto rientra pertanto nel filone morale della Virtù che trionfa sul Vizio?

Forse. O forse no?

Una diversa interpretazione è quella recentemente formulata da Sergio Rossi, storico dell’arte dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Da un inventario dei beni di Biella Borghese del 1650 apprendiamo infatti che nel David l’autore avrebbe ritratto “il Caravaggino“, ovvero “il piccolo o il giovane Caravaggio”. Se fosse davvero così, il dipinto presenterebbe un’impostazione ambigua, perché il pittore si sarebbe identificato, mediante un duplice autoritratto, in versione adolescenziale e matura, sia nelle vesti del vittorioso David, sia in quelle del vinto Golia. Osservando con attenzione i tratti dei due personaggi, in effetti, balzano evidenti le somiglianze, ed è verosimile l’eventualità di essere in presenza di due autoritratti. In tal caso, allora, la chiave interpretativa del dipinto sarebbe da ricercarsi nella contrapposizione Adolescenza/Innocenza – Maturità /Vizio, e il Caravaggio si sarebbe idealmente consegnato a una giustizia più alta di quella umana, trasferendo sulla tela l’eterna contraddizione esistenziale dell’uomo, quella del racchiudere in sé il bene ed il male, trasformandosi di volta in volta in vittima e carnefice.

Sotto, a sinistra, Ritratto di Caravaggio di Ottavio Leoni, 1621 circa, conservato a Firenze alla Biblioteca Marucelliana:

Le due figure che emergono con forza drammatica dallo sfondo buio, illuminate appena da una luce radente, sembrerebbero confermare questa ipotesi interpretativa, incarnando le due età della vita dell’artista, la fugace età giovanile e la maturità, con il suo fardello di errori, colta nel momento disperato della perdita delle aspettative nel futuro. Libero da qualsiasi regola prospettica o cromatica, attento solo all’intensità delle espressioni – colpisce, a tal proposito, l’assenza di condanna o esultanza nello sguardo di David – il pittore lombardo raggiunge forse l’acme della sua evoluzione artistica e creativa alla vigilia dell’epilogo della vita, proprio nel suo ultimo, drammatico duplice autoritratto, in cui gesti ed espressioni sembrano travalicare lo spazio immobile del quadro, rivelando quell’adesione alla ricerca della rievocazione espressiva dei “moti dell’anima”, di cui Caravaggio si fa portavoce in pittura, come Leonardo prima di lui.

Tutte le immagini sono di pubblico dominio.

Giovanna Potenza

Giovanna Potenza è una dottoressa di ricerca specializzata in Bioetica. Ha due lauree con lode, è autrice della monografia “Bioetica di inizio vita in Gran Bretagna” (Edizioni Accademiche Italiane, 2018) e ha vinto numerosi premi di narrativa. È uno spirito curioso del mondo che ama viaggiare e scrivere e che legge avidamente libri che riguardino il Rinascimento, l’Età Vittoriana, l’Arte e l’Antiquariato. Ha una casa ricca di oggetti antichi e di collezioni insolite, tra cui quella di fums up e di bambole d’epoca “Armand Marseille”.