Quest’anno ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, il poeta che sapeva davvero “rispondere per le rime”, tanto che potremmo definire la sua nota tenzone con Forese Donati la prima “battle rap” della storia.
Il 2021 è l’anno di Dante e l’Italia si appresta a celebrare in pompa magna il settimo centenario della sua morte con un fitto programma di eventi la cui inaugurazione è avvenuta a Ravenna (dove morì e fu seppellito il Sommo poeta), lo scorso 5 settembre, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il rischio che il povero Dante Alighieri venga travolto da un fiume ben più infernale dell’Acheronte e del Flegetonte messi insieme è davvero forte: il fiume vorticoso delle tronfie celebrazioni ufficiali, delle banalizzazioni figlie di un uso carnevalesco della cultura proprio di chi, pur essendone privo o quasi, si rivela ossimoricamente dotto nell’applicazione del sempre attuale motto populista “panem et circenses” e nella pratica della volgarizzazione, non già nel segno di quel “volgare illustre” tanto agognato da Dante, ma della “vulgata” rivolta a un ampio pubblico. Il rischio, dunque, è più forte dei buoni propositi. Ma andiamo oltre.
Nonostante siano trascorsi 700 anni, l’opera del Poeta non risulta essere minimamente intaccata nel suo fascino e nella sua attualità: non esiste infatti al mondo cultura a cui egli non sia arrivato o epoca che a lui non abbia fatto riferimento. Non dimentichiamo che la Divina Commedia è, insieme alla Bibbia, l’opera più pubblicata e studiata nel mondo; Dante e il suo poema, dunque, hanno viaggiato ovunque, raggiungendo anche i paesi arabi e la Cina, grazie a un’opera che guarda al passato dell’umanità, è radicata nel presente dell’autore e si rivolge, in modo profetico, al nostro futuro.
Domenico di Michelino, Dante e i tre regni (Santa Maria del Fiore, Firenze)
Fotografia di Domenico di Michelino – Jastrow di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia
Ma in cosa risiede, nel 2021, l’attualità di Dante, uomo del Medioevo?
Pur essendo ben sette i secoli che ci separano da lui, il Poeta ci parla di sentimenti e stati d’animo – quali l’amore, l’odio, il dolore, lo smarrimento, la paura della morte – sempre validi in ogni tempo e in ogni luogo, sentimenti che rappresentano un denominatore comune importante che connette il passato con un presente atemporale.
Dante è spettatore delle vite altrui, un po’ come lo siamo noi “scrollando” le bacheche di Instagram e Facebook. Vite che egli ci racconta per immagini, attraverso una narrazione visiva che restituisce, agli occhi di noi lettori, delle istantanee fotografiche assimilabili alle stories che si pubblicano sui social. I suoi personaggi, campioni di vizi e virtù, sono poi dei testimonial perfetti, scelti con cura per veicolare dei messaggi proprio come fanno gli influencer su Instagram.
Che sia il padre della lingua italiana lo sappiamo un po’ tutti: il 15% dell’odierno lessico, per la prima volta, è stato introdotto e immesso nell’uso proprio da Dante, e per rendergli omaggio l’Accademia della Crusca, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021, per ciascuno dei 365 giorni dell’anno dantesco, ha deciso di pubblicare sul suo sito e sui suoi canali social una parola o un’espressione, create dal Sommo poeta, in gran parte ancora presenti nel nostro patrimonio linguistico («Dolenti note», «Non ragioniamo di lor, ma guarda e passa», «Color che son sospesi», «sanza ’nfamia e sanza lodo», «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate», «Il ben dell’intelletto», «tin tin», solo per citarne alcune).
Rafael Flores, Dante e Virgilio visitano l’Inferno (Museo nacional de arte di Città del Messico)
Fotografia di Rafael Flores di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia
Ma Dante non è “solo” il padre della lingua e della letteratura italiana, è anche un saldo punto di riferimento per la nostra identità nazionale, segnata da lui definitivamente sul piano linguistico, politico e culturale. E la modernità della sua visione politica, al di là dei sempre attuali versi «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di provincie, ma bordello!» (Purg. VI, vv. 76-78), risiede nella risoluta determinazione critica con cui egli colpisce la società a lui contemporanea e che lo induce a scagliarsi in maniera ferma e decisa contro quei “valori” riassumibili nella logica dell’utile e del guadagno che i secoli futuri avrebbero visto espandersi sino a noi.
Ma se questi aspetti sono ormai noti a molti, ce n’è uno, ai più quasi del tutto sconosciuto, che merita di essere indagato, con il quale il Sommo poeta riesce a mostrarci sorprendentemente tutta la sua modernità anche laddove mai avremmo immaginato.
È un aspetto che vale la pena di approfondire, anche perché può rappresentare un utile strumento per avvicinare i giovani a un poeta considerato difficile (e qui non si può dare loro torto) e pesante, un vero e proprio “mattone” studiato per dovere e non per piacere.
Avete presente l’espressione “Rispondere per le rime”? Ebbene l’origine di questa espressione, usata per rispondere a tono e controbattere in modo deciso per come l’interlocutore merita, risale a quando i poeti di un tempo componevano sonetti di risposta conservando le rime del poeta “attaccato”.
E Dante fu un vero campione in tal senso
In pieno Medioevo, infatti, egli, come in una moderna gara di freestyle, fu protagonista di una famosa tenzone, una battaglia a colpi di rime, con il poeta Forese Donati, così come, qualche secolo dopo, nel ’600, lo sarà Giambattista Marino con Gaspare Murtola.
Che il rap abbia origine, dunque, nella tenzone medievale? Che Dante e Marino siano “freestylers” ante litteram? Non è affatto peregrina l’idea che le odierne “battle rap”, gare di “freestyle” e “dissing” affondino le loro radici nell’antica tenzone medievale, genere poetico di origine provenzale, fondato sullo scambio polemico di versi, in forma di botta e risposta, tra due o più poeti. La contesa verbale poteva vertere su argomenti di carattere letterario, morale o politico, ma si finiva per discutere anche su questioni personali, con scambi di ingiurie e oscenità; non di rado, infatti, si faceva ricorso ad un linguaggio licenzioso e sboccato per colpire l’avversario sul piano privato. Nascevano in questo modo quegli scontri poetici ricchi di offese, invettive, accuse ed insulti che appassionavano il pubblico e davano la possibilità al poeta di dare prova della propria bravura.
Una tenzone fra due trovatori del XIII secolo
Fotografia di anonimo artista di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia
Non troppo diversi dalle “battle rap” del nostro tempo, o gare di freestyle, e dei “dissing”: nel primo caso si tratta di vere e proprie diatribe musicali in cui i rapper dimostrano la loro capacità di improvvisazione musicale e prontezza verbale, “duellando” a suon di versi mordaci in rima, in cui vince il più tagliente; nel secondo caso, ossia nel dissing, il rapper cita il suo antagonista all’interno del proprio testo attaccandolo e “mancandogli di rispetto” (come suggerisce il termine “disrespect” che da “dissing”, appunto, deriva, italianizzato poi in “dissare”, cioè “diffamare”).
Insomma siamo di fronte a delle sfide a colpi di risposte “per le rime” che sembrano proprio richiamare il genere della tenzone medievale, e Dante ci ha fornito una delle testimonianze più avvincenti di “dissing” ante litteram, la nota tenzone con Forese Donati, databile presumibilmente tra il 1293 e il 1296 e articolata in sei sonetti, tre per ciascun interlocutore. I due poeti se ne dicono di tutti i colori, accusandosi a vicenda di difetti e bassezze di ogni genere: Dante accusa Forese di essere un ladro, goloso, pezzente e persino poco virile, affermando che la moglie, “mal fatata” e “infreddata”, fosse insoddisfatta e sentisse la mancanza del nido coniugale; Forese, dal canto suo, replica dando a Dante del povero accattone e accusandolo di viltà.
Insomma, i “dissing” dei rapper, in confronto alle tenzoni, sembrano roba da dilettanti!
Analogamente, spostandoci in avanti di qualche secolo, in piena età barocca, tra le contese più virulente della letteratura italiana troviamo quella che contrappose Giambattista Marino a Gaspare Murtola, consumatasi a Torino alla corte di Carlo Emanuele I.
Dante e Virgilio incontrano Forese Donati (Gustave Doré)
Fotografia di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia
I due se ne dissero di tutti i colori, insultandosi, sonetto dopo sonetto, in un crescendo di versi che vennero poi riuniti, rispettivamente, in due raccolte, la Marineide e la Murtoleide
Anche in questo caso ci troviamo davanti ad una tra le più originali e divertenti testimonianze di “battle rap” ante litteram, ma fu anche quella che ebbe un finale assai drammatico: l’aspra contesa, infatti, andò avanti per circa un anno fino a quando Murtola decise che bisognava mettere da parte la penna e i versi per passare alle maniere forti. Procuratosi una pistola, sparò al rivale cinque colpi, non riuscendo, fortunatamente, nel suo intento di ucciderlo.
In passato, dunque, la penna e la spada erano armi con cui dirimere aspre e infuocate contese politiche (si pensi anche ai Cerchi e ai Donati) o controversie personali, così come, secoli dopo, le provocazioni rap e le Glock 9 mm si univano, talvolta per risolvere o, spesso, inasprire rivalità territoriali (si pensi a quella famosa tra East Coast e la West Coast negli USA) e di traffici malavitosi.
Ciò che accomuna, pertanto, la tenzone medievale o la fischiata barocca alla moderna “battle rap” non è soltanto il ritmo incalzante, la rima tagliente, la trattazione di temi sociali spinosi e il contenuto polemico e provocatorio, ma anche il loro risvolto nel vissuto quotidiano. Ora come allora, le controversie e le allusioni presenti nei testi, siano essi sonetti o testi rap, erano il riflesso della vita politica cittadina, di tensioni sociali o di gelosie personali. E le sfide, ora come allora, debordavano anche nel vissuto quotidiano: a colpi di rime come tra Dante e Forese, Fedez e Fabri Fibra, 50 Cent e Ja Rule o talvolta, nei casi più drammatici, a colpi di pistolettate come tra Marino e Murtola, Tupac e Notorius B.I.G.
Ritratto di Giovanni Battista Marino (1621 ca.) di Frans Pourbus il Giovane (Detroit Institute of Arts)
Fotografia di Frans Pourbus il Giovane di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia
Di certo, oggi, Dante e Marino con il loro acume e la proverbiale prontezza verbale avrebbero conquistato e infiammato schiere di followers, lanciato hashtag del tipo #IcampioniDelleRimeSiamoNoi e avrebbero “spaccato” nel mondo del rap, “dissando” i loro antagonisti e vincendo a mani basse nelle gare di freestyle.
E Dante, al tormentone di Fabri Fibra “Rap futuristico”, avrebbe potuto senz’altro replicare con un “No, rap medievistico!”, dimostrando ancora oggi, a distanza di 700 anni, la sua straordinaria modernità anche in questo campo, e non solo all’ombra del Parnaso, ma anche sul web a colpi di tweet e del suo hashtag preferito: #LaSituazioneÈGrammatica!