La distruzione di molti importanti siti storici ed archeologici in Siria ed in Iraq, rasi al suolo, o quasi, dalle milizie del cosiddetto Stato Islamico, ha fatto inorridire il mondo intero. Tra il 2014 e il 2015 l’ISIS ha cancellato (o seriamente danneggiato) oltre 40 siti, tra cui Ninive, Nimrud, Hatra e Assur in Iraq, e Palmira in Siria. Anche se nel 2016 le perdite, in termini di beni culturali, sono state meno ingenti, la minaccia rappresentata dal Califfato è ancora molto reale.
Palmira
Per fare il punto, non solo sulle perdite subite dal patrimonio culturale del Medio Oriente, ma anche sugli effetti che tali perdite possono causare, la storica dell’arte Pamela Karimi e l’architetto e storico Nasser Rabbat hanno invitato eminenti studiosi a partecipare, con saggi originali, alla stesura di un dossier che contribuisse a quantificare l’entità delle distruzioni, ma anche ad elaborare una teoria sul significato profondo di queste devastazioni.
Tetrapilo di Palmira
I diversi saggi, presentati sul sito The Aggregate Architectural History Collaborative, esaminano la demolizione dei monumenti in Medio Oriente, avvenuta nel corso di diversi secoli.
L’Arco di Trionfo di Palmira, distrutto dall’ISIS nel 2015
L’ISIS, ultimo artefice di un immenso danno storico-culturale, ha reso ancora più attuale la discussione sulla tutela del patrimonio architettonico dell’antichità. La raccolta di saggi di Aggregate non è un elenco cronologico delle distruzioni avvenute, ma tenta di analizzare l’idea di “demolizione in sé“; cosa comporta, sul racconto storiografico, la cancellazione di importanti resti architettonici; sul perché alcuni monumenti o artefatti sono percepiti in maniera antropomorfa, tanto che la loro distruzione viene definita come “massacro”. Attraverso la lente di diversi studiosi, “La distruzione del patrimonio culturale: da Napoleone all’ISIS” tenta di rispondere a questi e a molti altri interrogativi, analizzando i contesti storici, politici e ideologici all’interno dei quali sono avvenute le distruzioni nel corso degli ultimi secoli, ma anche il ruolo dei musei, la percezione della cultura islamica nel mondo occidentale, se gli edifici devono essere protetti al pari degli esseri umani, le conseguenze, attualissime, dei saccheggi di Napoleone Bonaparte.
Tempio di Baal
Molto interessante l’analisi di Kirsten Scheid, che contesta le parole pronunciate nel 2015 dal direttore del Metropolitan Museum di New York, Thomas Campbell, che all’indomani della distruzione del Museo di Mosul, affermò: “Questo attacco senza cervello alla grande arte, alla storia e alla comprensione umana costituisce un tragico assalto non solo al Museo di Mosul, ma al nostro impegno universale ad utilizzare l’arte per unire le persone e promuovere la comprensione umana.”
Mohsen Hassan, vice-curatore del Museo di Mosul, tra ciò che resta del Museo
Secondo Scheid, “l’arte” può rappresentare un elemento che classifica i popoli, il loro livello socio-culturale, e diventare motivo di oppressione nei confronti di coloro che non vengono considerati all’altezza del patrimonio artistico da loro posseduto. La studiosa porta ad esempio lo spoglio sistematicamente effettuato da Napoleone nelle case dei nobili romani: statue, dipinti, e resti archeologici, che costituirono il primo nucleo espositivo del Museo del Louvre di Parigi. Napoleone fu il primo conquistatore a “legalizzare” il saccheggio, obbligando i vinti a firmare dei contratti di cessione. A Parigi sfilarono 250 carri, carichi di preziose opere d’arte, sotto striscioni che dicevano: “Le arti cercano la terra dove crescono gli allori“.
A seguito di un’ondata di indignazione internazionale, decine di importanti artisti francesi giustificarono il saccheggio scrivendo sulla Gazette Nationale: “I Romani erano pigri, barbari superstiziosi, che non rispettavano né meritavano i loro tesori.” Questo tipo di ragionamento ha consolidato nel tempo una sorta di razzismo intellettuale, che porta ad inquietanti conseguenze: chi mostra interesse per l’arte manifesta la propria apertura mentale, e di conseguenza conquista il diritto di possederla. Non si tratta però solo di una questione di mero possesso perché, dopo che grandi opere come la Venere Capitolina o il Laocoonte furono installate al Louvre, Roma non fu più considerata la Mecca della produzione artistica, ma divenne solo la “culla dell’arte”, mentre Parigi si trasformò nella “Ville Lumiere”, città di riferimento per generazioni di artisti. Riferendosi a questo rapporto di causa/effetto, la storica dell’arte Patricia Mainardi, parla di “doppia autorità” dell’arte, sia come simbolo di una pretesa superiorità politica, sia come fondamento di nuovi sistemi culturali che, a loro volta, supportano il potere politico.
Tutti concordano sulla rilevanza negativa del saccheggio delle opere d’arte in occasione di conflitti, circostanza che viene dimenticata quando migliaia di persone pagano un biglietto d’ingresso per il British Museum, il Louvre e il Metropolitan di New York, per poter ammirare proprio quelle opere saccheggiate.
I miliziani dell’ISIS sono stati paragonati ai Moghul indiani, ai nazisti, ai Khmer rossi, ai talebani, perché tutti loro “hanno mirato non solo a vite innocenti ma anche a manufatti storici e culturali”. Ma la distruzione dell’arte e di opere architettoniche è una pratica molto antica, che si è consumata lungo i secoli e in tutte le culture, da Troia e Tenochtitlan a Dresda e Monaco, fino a Bamiyan e Palmira.
Uno dei Buddah di Bamiyan, distrutti dai talebani nel 2001
Ciò che rende intollerabile, agli occhi occidentali, la recente distruzione di antichità insostituibili, come i Buddha di Bamiyan e i siti archeologici di Siria ed Iraq, è la deliberata demolizione di monumenti storici, proprio per il loro significato specifico, offensivo della dottrina islamica, ma solo per chi la interpreta in maniera oscurantista. Uno sguardo più approfondito verso queste deliberate distruzioni, indica cause più complesse di una distorta interpretazione della volontà del Profeta. La distruzione delle due grandi statue di Bamiyan, nel 2001, fu in realtà una vendetta ritardata per la demolizione della Moschea Babri, in India, compiuta dai fondamentalisti indù.
Le motivazioni (non giustificazioni) di molte drammatiche distruzioni, dovrebbero quindi essere contestualizzate sulla base della realtà storico-politica-geografica.
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