Sin da piccolo ho sempre sentito una strana frase, in politica o nello sport “Mah… cosa vuoi.. è stata una vittoria di Pirro!”. Pirro è inevitabilmente associato a una finta vittoria o al massimo a una mezza vittoria, con tanti dubbi.
Ma da dove deriva un simile modo di dire?
Viene da molto lontano, reggendo da oltre 23 secoli e si riferisce al Re ellenistico Pirro dell’Epiro (regione balcanica a metà tra Albania e Grecia). Il monarca vantava una parentela con Alessandro il Grande e addirittura la discendenza da Achille. Lontano dall’essere un incapace o un presuntuoso, Pirro fu un grande e abile generale, degno portatore del sangue illustre che scorreva nelle sue vene.
Busto di Pirro di epoca romana, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:
Molto intraprendente, lottò a lungo per la corona dando prova di eccezionale tenacia. Avendo una naturale propensione per la guerra, trascorse più tempo in battaglia che in pace, divenendo così un esperto comandante. “..consumava il suo cuore a restare ozioso e anelava il grido di guerra e la battaglia” sottolinea Plutarco. Infine, umanamente, era una persona dal grande fascino e furono in molti a rimanere ammaliati dal suo modo di fare e di porsi.
Protagonista di molte campagne, quella che lo rese celebre è quella nell’Italia meridionale in guerra con la Roma Repubblicana. Tutto ebbe inizio perché Taranto, tra le poche colonie spartane della Magna Grecia, invocò il suo aiuto per contrastare l’espansionismo romano che stava prepotentemente orientandosi verso il tacco dello stivale. Il quarantenne Pirro pensò che quest’avventura gli avrebbe fornito una chance per crearsi un suo impero personale in Italia (che, tra parentesi, significa “Paese dei Vitelli”).
Il viaggio di Pirro per l’Italia:
Nell’attraversata del Canale d’Otranto finì naufrago, un chiaro presagio di sventura per gli antichi indovini e aruspici. Nella primavera del 280 a.C., preso il comando delle forze armate, volle cercare di ridurre il gap professionale tra gli inesperti tarantini e i suoi veterani falangiti epiro-macedoni.
Per fare in modo che ci si concentrasse solo sulla guerra, diede l’ordine che piaceri e svaghi venissero ridotto all’osso, vietando festività e divertimenti. Questa misura fu simile a quella adottata dal Re inglese Enrico III (1216-1272) che obbligò tutti gli uomini dai 15 ai 60 anni a esercitarsi al tiro con l’arco durante i giorni di festa, proibendo il gioco del pallone e della pallamano.
Ritratto di Pirro. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:
Pirro, in seguito, mosse verso la Lucania (Basilicata) per scontrarsi con le legioni di Publio Levino, numericamente superiori. E così, nelle vicinanze di Eraclea, avvenne la prima “Vittoria di Pirro”. Da ricordare che fu la prima volta che le più vincenti e temibili formazioni da combattimento dell’Antichità si scontrarono: Falange contro Legione. Quest’ultima, tuttavia, non aveva ancora raggiunto il suo massimo splendore (raggiunto grazie alle riforme di Scipione l’Africano). Uno tra più intriganti interrogativi di sempre è stato ma se le falangi di Alessandro si fossero scontrate con le legioni di Cesare chi l’avrebbe spuntata?
Chi sarebbe stato “Il Re dei Re” tra le due formazioni?
Pirro utilizzò una tattica cara al grande Alessandro, bloccando il centro romano con la falange di fanteria e attaccando con la cavalleria (lui compreso). Gli elefanti indiani si sarebbero posizionati ai lati in funzione anti-accerchiamento, ben sapendo che i romani avevano paura di quegli animali a loro sconosciuti e che, in particolare, terrorizzavano i cavalli. Ma, si sa, “nessun piano sopravvive al contatto col nemico”. Nel caos che si sviluppò il combattimento si rivelò durissimo e incerto. Due pesi massimi si stavano affrontando e nessuno riusciva a prevalere.
Avanzata di Pirro verso Roma (280-275 a.C.):
Alla fine Pirro, essendosi ritirato Publio Levino e rimanendo così padrone del campo, ebbe vinta la partita. Ma… ma le perdite erano leggermente più lievi del nemico, e questi aveva un ampio serbatoio da cui attingere nuove truppe mentre lui non aveva riserve e ogni greco che perdeva (oltretutto un professionista con anni di campagne alle spalle) non poteva essere rimpiazzato. Per di più si sperava che i romani accettassero un accordo ma ciò non avvenne.
Pertanto abbiamo una vittoria di Pirro perché, in realtà, non era considerabile come vittoria
Comunque per finta vittoria si sarebbe potuto anche dire “Vittoria di Annibale”, dato che la sua leggendaria campagna d’Italia vide un unico ma eccezionale esercito battere innumerevoli volte i romani finendo, tuttavia, sconfitto nella guerra senza mai esserlo stato in battaglia campale. Qui è doveroso esaltare Roma che, come Araba Fenice o Idra a Sette Teste, non si piegò mai ad accordi umilianti e riuscì sempre in modo sbalorditivo a creare nuove legioni. La macchina statale romana era da considerarsi talmente moderna ed efficiente che può ricordare quella americana nella Seconda Guerra Mondiale, in grado di surclassare con armamenti e tecnologie ogni opposizione nemica.
Tornando a Pirro, non essendo stata decisiva la battaglia di Eraclea, non essendosi ribellati gli alleati italici a Roma e senza che questa accettasse un accordo, si arrivò al secondo round l’anno successivo. Vicino ad Ascoli Satriano, in Puglia, cozzarono due forze da 70.000 uomini (i romani misero in campo alleati come Frentani, Peligni, Dauni, Umbri , Marrucini). Come ad Eraclea, due gigantesche masse tettoniche si sfidarono in una lunga battaglia d’attrito, e i romani elaborarono dei primitivi “carri armati” per contrastare i pachidermi di Pirro, con spuntoni di ferro e bracci infuocati.
Moneta del Regno d’Epiro con iscrizione in Greco indicante ΒΑΣΙΛΕΩΣ ΠΥΡΡΟΥ Basileōs Pyrrou, “del re Pirro”. Fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Di nuovo l’Alessandro d’Occidente vinse e di nuovo l’emorragia di uomini fu pesante, specialmente per la morte di valenti ufficiali, il nerbo di ogni esercito. In aggiunta, avendo subito un’incursione durante la battaglia sul campo dove c’erano vettovaglie e bagagli, gli epiroti si ritrovarono senza cibo e rifornimenti. Un bel modo per festeggiare una vittoria
Tanto che, lo stesso Pirro, si dice abbia urlato sbottando:
Un’altra vittoria come questa e me ne torno in Epiro senza più nemmeno un soldato!
Resosi conto che la tenacia romana era aldilà delle sue potenzialità e che una terza vittoria di Pirro lo avrebbe definitivamente rovinato, accolse un’offerta di aiuto da parte di alcune città siciliane affinché le liberasse dall’oppressione cartaginese. Pirro accettò ma, nei due anni di permanenza nell’isola del Sole, non ebbe grande fortuna e tornò nel continente per cercare un confronto decisivo con Roma.
Città greche (punti rossi) e insediamenti cartaginesi (punti viola) in Sicilia. Immagine condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Nel 275 ci fu l’ultimo “braccio di ferro”. Questa volta Pirro aveva più uomini del console Manio Curio Dentato e, presso Maleventum in Campania, ci fu battaglia e non fu una vittoria di Pirro.
Pirro giocò la carta azzardata dell’attacco notturno per cogliere di sorpresa i romani e sostanzialmente metterli in rotta prima della battaglia vera e propria. Ma si rivelò un errore fatale. L’esercito si separò in tronconi e l’alba li trovò così divisi e stanchi per le continue marce. L’arma speciale degli elefanti ebbe l’effetto di un boomerang perché gli avversari, ormai abituati ai mastodonti, tempestandoli con nugoli di dardi e giavellotti li fecero infuriare e così correndo impazziti iniziarono a travolgere le linee di Pirro.
Sotto, un disegno del 1901 di Jacob Abbott mostra la morte di Pirro:
La vittoria romana fu completa e risolutiva, decretando l’egemonia dell’Urbe sull’Italia meridionale e la fine dell’avventura di Pirro nel Sud Italia. E, curiosità, il Senato sancì che la città di Maleventum, in onore della grande vittoria e della fortuna che aveva portato a Roma, si dovesse ribattezzare Beneventum, regalando l’attuale toponimo alla città di Benevento.
Pirro, tornato in Grecia, non potè fare a meno d’imbarcarsi in nuove guerre. Evidentemente la polvere del campo di battaglia era per lui un magnete e l’odore del ferro un irresistibile profumo. In campagna nel Peloponneso, incontrò il suo destino. Penetrò di nascosto nella città di Argo ma, sin da subito, si accesero violenti combattimenti strada per strada. A un certo punto, una’anziana da una finestra gli lanciò una tegola che lo colpì in piena testa. La botta lo fece vacillare e, approfittando della chance, un guerriero argivo lo colpì a morte.
L’uomo delle mezze vittorie ebbe una mezza morte, non l’eroica morte che avrebbe sempre desiderato. Insomma potremmo definirla col neologismo una “Morte di Pirro”.