Cronaca di un Ferragosto di Sangue: il tragico Uxoricidio di Dorothy Stratten

Quello del 1980 sarà davvero un bruttissimo Ferragosto per Patti Laurman. Ma mai quanto avrebbe potuto essere se le cose fossero andate appena diversamente.

Patti, 17 anni, è una ragazza della provincia americana che se n’è andata fino a Los Angeles pensando di sfondare nel mondo dorato dello spettacolo. La via più rapida per farlo, quando sei una ragazza giovane e bella, sono i concorsi di bellezza. Ovviamente bisogna affermarsi in quelli conosciuti e seguiti dal pubblico di tutti gli States, ad esempio quelli della rivista “Playboy”.

E Patti pensa di aver centrato il Bingo quando ha incontrato un fotografo e manager canadese di 29 anni, Paul Snider, che conosce bene quel mondo ed ha svolto un ruolo di primo piano nell’affermazione dell’ultima starlet uscita dalle pagine di “Playboy” per essere proiettata direttamente verso il successo cinematografico:

Dorothy Stratten, appena ventenne, che è anche sua moglie, anche se i due stanno per divorziare

Paul è generoso e protettivo, arriva anche a ospitare Patti in casa sua, intanto che realizza per lei dei book fotografici da spedire a “Playboy”. Ma è anche un uomo che sembra profondamente ferito dal fatto che Dorothy, a suo dire, lo ha prima sfruttato per fare carriera e poi mollato per un uomo molto più facoltoso e influente, il regista Peter Bogdanovich. Ne parla spesso anche a Patti. L’ultima volta che lo fa è la sera del 13 agosto 1980.

La mattina del giorno dopo, giovedì 14 agosto, Patti esce di casa presto per vedersi con delle amiche: rientrerà solo alle 23,45 di sera.

Quello che Patti ignora è che Snider non è solo amareggiato dall’esito del suo matrimonio, bensì letteralmente ossessionato dalla gelosia per Dorothy. Non lo sa Patti e non lo sa neanche Dorothy, che sta cercando di trattare con lui le condizioni per un divorzio il più amichevole possibile. Tanto amichevole da essere disposta ad affrontare, ora che le cose le stanno andando bene, un notevole sacrificio economico per tenerlo tranquillo. Infatti, quella mattina, intorno alle 12, si reca a casa di Snider, in West Los Angeles, per consegnargli 1.100 dollari in contanti (3.500 dollari odierni, circa), che sono solo il primo acconto di ciò che spetterà all’ex marito in seguito al divorzio.

Un’altra cosa che le due ragazze non sanno è che, da diversi giorni, Snider sta cercando di procurarsi un’arma da fuoco. Cosa che all’inizio gli è stata piuttosto difficile, visto che è un cittadino canadese.

E’ negli Usa senza permesso di lavoro ma solo con un visto turistico, e nessun armiere è disposto a vendergli nulla

Da qualche tempo ha assunto un detective, Marc Goldstein, per far seguire la moglie. Ha cercato di convincere Goldstein a comprare un’arma per lui, ma il detective si è rifiutato. Si è fatto prestare una pistola da un conoscente e si è appostato, il 31 luglio, nascosto tra gli alberi di un giardino, davanti all’albergo dove Dorothy è andata a vivere dopo averlo lasciato, probabilmente per spararle, ma proprio quella sera Dorothy è andata a dormire altrove e il piano è fallito. Il 6 agosto, Snider è stato costretto a restituire l’arma al proprietario, e l’8 si è visto con Dorothy a casa, tentando un’ennesima riconciliazione, ma inutilmente. Poi ha puntato sulle inserzioni di vendita di armi usate sui giornali. Il primo tentativo, l’11 agosto, è andato a vuoto perché, non conoscendo bene l’area di Los Angeles, si è perso per strada mentre cercava di raggiungere il venditore. Ma il 13 agosto ce l’ha fatta a procurarsi un’arma, un fucile a pompa calibro 12. Al venditore, ha detto che gli serviva per andare a caccia.

Prima di procedere con il resto della storia, però, diventa necessario presentare i due protagonisti della stessa, Paul Snider e Dorothy Stratten.

Snider è nato a Vancouver nel 1951, figlio di genitori divorziati, cresciuto in strada nei quartieri malfamati dell’East End cittadino, ha lasciato presto la scuola e si è messo a fare tutto quello che capitava. Poiché ha avuto sempre un certo ascendente sulle donne, specie quelle sprovvedute, il suo migliore business è sempre stato la prostituzione, nascosto dietro il paravento dell’organizzazione di gare automobilistiche e mostre di automobili. Nel giro, lo chiamano il “magnaccia ebreo” perché porta al collo una catena con la stella di David. A un certo punto, ha deciso di fare il salto di qualità, entrando nello spaccio della droga. Ma poiché di droga non sa niente, non ne è neanche un consumatore (anche se, secondo alcuni, in seguito diverrà dipendente dalla cocaina e questo avrà un’importanza decisiva nel determinare le sue scelte finali), combina un pasticcio perché non riesce a ripagare ai grossisti una partita che avrebbe dovuto rivendere e questi gli hanno dato un piccolo, bonario avvertimento, tenendolo appeso per i piedi dalla finestra del trentesimo piano di un albergo, finché ha vomitato anche l’anima.

A quel punto, Snider ha capito che tirava una brutta aria e se l’è squagliata da Vancouver, direzione Los Angeles, per mettersi a fare il gigolò, l’escort di lusso per clienti di ambo i sessi. Ma neppure in quel campo ha mietuto particolari successi, per cui non gli è rimasto altro da fare che tornare a Vancouver, tenendosi però alla larga dai vecchi giri. Si è inventato il mestiere di talent scout di aspiranti modelle e attrici. Ha provato a promuoverne alcune, senza grandi risultati.

Fino al giorno in cui, tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, si è imbattuto nella cameriera di una gelateria della catena Dairy Queen, una ragazza diciassettenne che lavora per mantenere una famiglia disastrata trascurando la scuola. Una ragazza bionda e altissima, incredibilmente bella, timida e riservatissima, che si chiama Dorothy Ruth Hoogstraten e che non pensa nemmeno lontanamente a fare carriera nel mondo dello spettacolo.

Dunque, la futura Dorothy Stratten è nata anche lei a Vancouver, nel 1960. Il padre se n’è andato presto di casa, lasciando lei, la madre e il fratello minore alle dipendenze dell’assistenza sociale. Che a un certo punto è stata sospesa, costringendo i figli a lavorare per far quadrare il bilancio familiare. In più, la madre ha avuto un’altra figlia, nel 1968, da un uomo che prima ha promesso di sposarla e poi ha preso il volo. La famiglia, però, è molto unita, e Dorothy è abituata a comportarsi come una ragazza assennata, non dando mai confidenza agli estranei e tenendo bene alla larga i tanti sfaccendati che l’hanno sempre infastidita da quando ha smesso di essere una bambina.

Ma Snider è un classico manipolatore e sa come presentarsi. Altre ragazze dicono che è un formidabile fotografo e agente, che ha procurato loro delle buone occasioni per lavorare nello spettacolo e lui stesso ostenta una posizione finanziaria invidiabile (Dorothy ignora che è sempre pieno di debiti) e le fa regali costosi e romantici.

Agli occhi di una ragazzotta ignorante di periferia, niente di strano che appaia come un principe azzurro

Così come anche alla madre, che firma subito subito tutte le carte per affidare a Snider la gestione della carriera di Dorothy, ancora minorenne. All’inizio, il rapporto è solo professionale, ma presto subentra un forte elemento sentimentale:

Dorothy è innamorata del suo Pigmalione e disposta a seguirlo dappertutto e a ubbidirgli senza riserve

Nell’estate del 1978, Dorothy lascia Vancouver, la famiglia, la scuola e il lavoro per andare con Snider a Los Angeles, dove comincia a essere conosciuta con il nuovo nome di Dorothy Stratten. Le foto che Snider ha inviato a “Playboy” non le hanno fatto vincere alcun concorso di bellezza, ma non sono passate inosservate. L’editore della rivista, Hugh Hefner, l’ha messa in mano a fotografi professionisti e ha fatto pubblicare alcune sue foto, poi le ha trovato un lavoro di “coniglietta” (le famose “Playboy Bunnies”, le cameriere ammirate e ben pagate) nel Playboy Club di Century City, il più importante dell’area di Los Angeles. Da lì, sono arrivate altre offerte e Dorothy ha interpretato in breve tempo tre filmetti senza troppe pretese, nei quali però si è fatta notare sia per la sua prorompente fisicità sia perché come attrice sembra avere qualche talento.

Due parole vanno spese anche su “Playboy” e su Hugh Hefner. “Playboy”, fondata nel 1953, è una rivista americana di lifestyle per un pubblico soprattutto maschile, da sempre orientata verso la liberazione dei costumi sessuali e verso la politica di stampo liberal, tanto che ha sempre sostenuto i candidati alla presidenza democratici contro quelli repubblicani. I suoi servizi fotografici di donne nude sono sempre eleganti e raffinati, mai volgari, e non di rado hanno mostrato protagoniste d’eccezione (ad esempio, il numero di febbraio 1982 dell’edizione italiana, rimasto famoso per il servizio sull’attrice Adriana Russo che determinò la rottura tra la stessa e il suo compagno Pippo Baudo, alimentando i gossip per diversi mesi, presentava un servizio in cui apparivano senza veli o succintamente vestite alcune donne manager italiane di successo, quasi tutte di mezza età, nella location dei tetti dei palazzi della zona degli affari di Milano).

Inoltre, i generosi assegni pagati da “Playboy” per i tanti racconti pubblicati hanno aiutato a campare (o glielo hanno proprio permesso) molti tra i maggiori scrittori del ‘900 americano, tipo Philip K. Dick, Philip Roth o Chuck Palahniuk e altri, per non parlare degli autori di strisce a fumetti o di quelli di saggi su qualunque argomento. Insomma, “Playboy”, al di là di ogni altra possibile considerazione, è un elemento irrinunciabile della cultura contemporanea. La rivista però rappresenta solo una parte delle attività di una holding che gestisce soprattutto locali di intrattenimento per gente che ha parecchio da spendere, frequentati sia dalla migliore sia dalla peggiore società americana.

Le “bunnies”, le cameriere che passano dalle pagine della rivista al locale e viceversa, hanno avuto spesso brillanti carriere di modelle o più raramente di attici, ma il fatto che queste siano cominciate prestissimo ha portato, non di rado, alcune di esse a perdere il controllo della propria vita e a rovinarsi con la droga o con l’abuso di alcolici.

L’impero economico di “Playboy” è stato fondato da uno psicologo di Chicago, Hugh Hefner, vissuto dal 1926 al 2017. Nei primi anni ’50, Hefner, che aveva lavorato nel campo editoriale in riviste prestigiose come “Esquire”, investì tutti i suoi risparmi e dei soldi ottenuti in prestito da parenti e amici nella creazione di una rivista completamente innovativa, e si assicurò un servizio fotografico su una starlet emergente di Hollywood, Marilyn Monroe, per il primo numero. Questo primo numero avrebbe fatto la fortuna di entrambi, vendendo oltre 500.000 copie (Hefner, che non incontrò mai la Monroe da viva, si è poi fatto seppellire accanto a lei nel cimitero del Westwood Vllage Memorial Park di Los Angeles).

Ma torniamo alla nostra storia, a Dorothy e a Snider

Hefner entra a gamba tesa nel rapporto tra i due perché, da uomo di mondo quale è, ha subito capito che personaggio è Snider e cerca in tutti i modi di allontanarlo dalla ragazza. Snider capisce a sua volta l’antifona e provvede rapidamente a legarla ancora di più a sé, convincendola a sposarlo nel giugno del 1979. Più tardi salteranno fuori rivelazioni e illazioni riguardo un interesse personale di Hefner verso Dorothy, sempre smentite dal diretto interessato. Ma a volte il destino si diverte a sparigliare le carte a sorpresa e, tra i due litiganti, spunta il terzo incomodo.

Questo è il tipo di personaggio che meno ci si aspetterebbe di trovare in una storia del genere. Un intellettuale, uno studioso del cinema del passato, un regista di film d’autore, Peter Bogdanovich, nato nel 1939. Favorevolmente impressionato dalle prime prove attoriali di Dorothy, la scrittura per il film che sta per girare, “…e tutti risero”.

Sotto, Dorothy Stratten in un passaggio del film “…e tutti risero”:

A Bogdanovich, notoriamente, piacciono le bionde molto più giovani di lui, e il suo impegno nel promuoverle ha fatto la fortuna di qualcuna di esse, come l’ex moglie Cybill Sheperd, donna di grande fascino ma attrice non proprio memorabile. Per questo nuovo film, una commedia ambientata a Manhattan, Bogdanovich ha fatto le cose in grande, scritturando due star del calibro di Ben Gazzara e Audrey Hepburn (che all’epoca avevano anche una storia, ma si lasciarono proprio durante le riprese) e ha riservato a Dorothy un ruolo da coprotagonista. Dorothy si impegna molto sia sul set sia fuori, ha deciso di diventare una vera attrice e si sfinisce a prendere lezioni di dizione, recitazione e tutto quanto possa esserle utile per sfruttare questa grande occasione.

Dal canto suo, appena ha cominciato a frequentarla, Bogdanovich ha deciso che sarà lui il suo vero Pigmalione. La presenza di Snider al fianco della ragazza e di Hefner dietro le quinte non rappresentano ostacoli insormontabili.

Qualche anno dopo questa vicenda, nel 1984, Bogdanovich pubblicherà un controverso libro, “The killing of the Unicorn” (che gli varrà una causa per diffamazione intentatagli da Marc Goldstein, da lui accusato esplicitamente di aver sempre saputo le reali intenzioni di Snider e, nonostante questo, non essere intervenuto per fermarlo) in cui scriverà che Hefner si era approfittato della ragazza nel periodo in cui faceva la Bunny a Century City, arrivando a stuprarla quando lei gli aveva opposto resistenza; e che questa era una prassi normalissima nell’ambiente di “Playboy”.

Bogdanovich sarà, sia pure per un breve periodo, il “Grande Amore nella Vita” di Dorothy, quello che non vede in lei solo una bionda spettacolare ma anche e soprattutto una persona piena di sentimenti e di emozioni. Dorothy odia l’idea di doversi mostrare nuda per guadagnarsi da vivere, odia anche la realtà quotidiana degli uomini che si voltano per strada a guardarla quando passa. Dice di sentirsi un fenomeno da baraccone, una specie di mostro da esibire per fare soldi, trova che la sua è una bellezza maledetta. Non ha neppure idea di quanto questo sia vero. La sensibilità e l’umanità che rivela sotto le apparenze fanno innamorare anche Bogdanovich, che le propone di andare a vivere con lui in un hotel di Los Angeles e di divorziare da Snider per sposarlo.

Snider, in effetti, si sta rivelando un pessimo affare come marito. Non lavora e lei deve mantenerlo, spende con la massima larghezza i soldi che lei guadagna e oltretutto sta diventando sempre più geloso e possessivo. Appena finite le riprese del film, Dorothy capisce che è arrivato il momento di mollarlo e lo lascia. Però gli è ancora molto affezionata e decide di liquidarlo il più generosamente possibile. Ma Snider fa continuamente storie, non vuole parlare con gli avvocati e la trattativa deve condurla lei personalmente.

Se solo Dorothy intuisse cosa la aspetta… Potrebbe farlo fuori senza troppi complimenti, mollarlo e mandarlo al diavolo, invece deve quasi pregarlo per fargli accettare tutta la generosa liquidazione, in termini di contanti, titoli e immobili, che ha deciso di offrirgli come risarcimento della vita di lusso che non vuole più pagargli. Ed è proprio per suggellare un accordo al riguardo che, la mattina del 14 agosto 1980, è andata da lui.

Oggi gli psicologi raccomandano fermamente alle donne di chiudere le relazioni tossiche senza perdere tempo, evitando in ogni modo qualsiasi “ultimo incontro”, specialmente se in assenza di terze persone e in particolare quando si ha a che fare con uomini possessivi o violenti.

Purtroppo, la cronaca nera ci mette continuamente davanti a storie di donne che non hanno ascoltato questo fondamentale consiglio

A Dorothy, comunque, non lo consiglia nessuno. Tutti pensano che Snider sia solo un fallito e che non rappresenti nessun pericolo. Torniamo a quel giorno. È sera e Patti Laurman sta per i fatti suoi quando viene contattata da Marc Goldstein. Questo è preoccupato perché, dalla mattina, sta cercando di contattare Snider che non risponde. Patti sta insieme a un’altra ragazza anche lei temporaneamente ospitata da Snider: salutano gli amici e tornano alla casa di West Los Angeles. La macchina di Dorothy è parcheggiata nel cortile e quindi pensano che lei si sia trattenuta lì. La casa, tuttavia, è silenziosa, di un silenzio irreale, peggio che se fosse vuota.

Quando Patti apre la porta della stanza da letto, la prima cosa che vede è il corpo nudo di Snider seduto sul pavimento con la schiena appoggiata al muro completamente imbrattato di sangue, con un buco in testa e il fucile tra le gambe. Pochissimo distante, disteso su un fianco per terra, c’è il corpo di Dorothy con la testa sfondata e mezzo cervello che è finito sul pavimento.

I successivi accertamenti della polizia scientifica riveleranno che il delitto, un omicidio-suicidio, si è consumato quasi subito dopo l’arrivo di Dorothy, verso le 13. Snider l’ha prima picchiata, poi stuprata, poi le ha sparato alla testa con il fucile (portandole via anche un dito perché lei ha alzato una mano per proteggere il volto), poi ha di nuovo abusato del cadavere e, infine, si è sparato a sua volta alla testa.

Il caso giudiziario è aperto e chiuso contemporaneamente, per la morte del reo.

Ma Dorothy Stratten è un fantasma che ossessionerà a lungo lo star system hollywoodiano

Il film “…e tutti risero” ottiene buone critiche, ma è un flop al botteghino. Bogdanovich, quasi impazzito dal dolore per la perdita di Dorothy, affronterà spese enormi per farlo ugualmente distribuire in tutto il mondo, fino a contrarre una montagna di debiti.

Nel 1983, il regista Bob Fosse, specialista in musical ma anche, all’occorrenza, spietato critico dell’american way of life (ad esempio con il film “Lenny” del 1974, che ricostruisce la storia vera di un comico newyorkese, Lenny Bruce, letteralmente costretto al suicidio da una persecuzione poliziesca-giudiziaria degna di un regime totalitario), dirige un film pieno di rabbia sulla vicenda di Dorothy, intitolato “Star 80”, in cui fa a pezzi soprattutto Hefner (descritto come un “pimp”, un magnaccia, ossia negli stessi termini in cui Hefner stesso definiva Snider) e Bogdanovich, colpevole di aver sottovalutato i rischi che Dorothy correva. Molti critici vi hanno trovato una difesa forse involontaria di Snider, descritto come una persona fragile e insicura, ma molto umana nonostante l’orrore di cui è responsabile, ma altri hanno sottolineato che questa impressione è frutto essenzialmente della bravura del suo interprete, il giovane Eric Roberts (il fratello di Julia), che riesce a dare al personaggio più spessore di quanto ne avesse in realtà (Dorothy è interpretata da Mariel Hemingway, una delle due nipoti attrici dello scrittore premio Nobel 1954).

Sotto, il Trailer di Star 80:

La vicenda ispirerà anche altri film e tv movies meno noti.

Bogdanovich aspetterà fino al 1985 per rendere omaggio alla memoria di Dorothy e lo farà da grande artista, dedicandole il film che nessuno si aspetta: “Dietro la maschera”, la storia di un adolescente disperatamente innamorato della vita nonostante una malattia, la leontiasi, che oltre a condurlo a morte prematura gli deforma il volto rendendolo spaventoso alla vista di chiunque. Il giovane Rocky, interpretato da Eric Stolz, è ciò che Dorothy si sentiva, un mostro, un fenomeno da baraccone della cui umanità e sensibilità non importa niente a nessuno.

Bogdanovich si sentirà anche in obbligo con la famiglia di Dorothy, alla quale darà sempre il massimo sostegno economico. Tra l’altro, paga gli studi della sorella minore Louise Beatrice Stratten: che, a sorpresa, nel 1988 sposerà (al momento delle nozze, lui ha 49 anni e lei 20). Louise ha avuto poi una dignitosa carriera di attrice, sceneggiatrice e produttrice. È stata diffusa la diceria che Bogdanovich l’avesse tenuta come amante sin da quando lei aveva 13 anni: ma, nonostante il divorzio dal regista nel 2001, la donna ha sempre respinto queste voci, dichiarando che Bogdanovich è ancora il suo migliore amico.

Roberto Cocchis

Barese di nascita, napoletano di adozione, 54 anni tutti in giro per l'Italia inseguendo le occasioni di lavoro, oggi vivo in provincia di Caserta e insegno Scienze nei licei. Nel frattempo, ho avuto un figlio, raccolto una biblioteca di oltre 10.000 volumi e coltivato due passioni, per la musica e per la fotografia. Nei miei primi 40 anni ho letto molto e scritto poco, ma adesso sto scoprendo il gusto di scrivere. Fino ad oggi ho pubblicato un'antologia di racconti (“Il giardino sommerso”) e un romanzo (“A qualunque costo”), entrambi con Lettere Animate.