Cristoforo Colombo e la Leggenda dei Monaci delle Tempeste

La spedizione dell’italiano Cristoforo Colombo nelle Americhe, nel 1492, da sempre fiore all’occhiello delle imprese compiute dal nostro Paese, nasconde aspetti affascinanti su cui la storiografia scolastica non si sofferma. Quasi nessuno, difatti, se non i maggiori esperti della biografia di Colombo, conosce la serie di aneddoti riguardanti il viaggio profetico che l’esploratore compì con coraggio.

Sotto, Cristoforo Colombo ritratto postumo da Ridolfo Ghirlandaio, nel 1520:

Cristoforo Colombo, che era un esperto conoscitore di carte geografiche dell’epoca, tra cui la cartina di Tolomeo nelle prime edizioni del 1475 e quella illustrata del 1478, affrontò tutte le imprese via mare con una serie di conoscenze pregresse, che non sono ascrivibili semplicisticamente a una questione di “fede”.

I tre velieri in una stampa di Gustav Adolf Closs del 1892:

A quanto risulta dalle lettere autografe di Colombo pervenute ai giorni nostri, in particolare quelle che egli scrisse alla Regina Isabella di Spagna, durante la prima spedizione, il pioniere italiano racconta di non aver trovato grossi ostacoli e favorevoli condizioni climatiche: partì da Palos, con le tre caravelle, il 3 agosto e giunse alle Canarie il giorno 12. In seguito, con la sua ciurma, fece una sosta alla Canarie per riposare e raccogliere le provviste, per poi risalpare il 6 settembre. Dopo quaranta giorni di navigazione nell’Oceano, raggiunse le Bahamas nel periodo autunnale, senza mai ritrovarsi a dover affrontare alcuna tempesta.

Sotto, i quattro viaggi di Colombo:

Consapevole di questa fortuna dai tratti provvidenziali, ma anche del fatto che i calcoli e gli studi secondo cui aveva pianificato la traiettoria di viaggio erano stati fatti bene, Colombo prese fiducia, negli anni a venire, nei confronti dell’idea di altre spedizioni. Tuttavia, i viaggi seguenti non si rivelarono semplici quanto il primo.

Colombo descrisse così l’uragano:

Mai prima occhi avevano visto mari così grossi, arrabbiati e coperti di schiuma. Fummo costretti a rimanere al largo, in questo mare assetato di sangue, che ribolliva come una pentola posta su un fuoco assai caldo. Mai prima il cielo mi era parso più terrificante, e per un giorno e una notte interi si mostrò fiammeggiante come in una fornace. I lampi si susseguivano con tale furia e in modo così spaventoso che noi tutti pensammo che le navi sarebbero esplose. E durante tutto questo tempo l’acqua non cessò mai di cadere dal cielo

Colombo e l’eclissi lunare:

Era il 16 luglio 1494 quando il fatto descritto sopra si verificò, eppure Colombo fu in grado di destreggiarsi nella tempesta e mettere in salvo le sue caravelle. Come ci riuscì? Egli stesso raccontò di esser stato in grado di fronteggiare il ciclone in questa maniera: con una mano prese un coltello, che iniziò ad agitare in direzione della tempesta, riproducendo movimenti netti in grado di tagliare il vortice d’aria che si era formato; con l’altra mano, nel frattempo, teneva fermo un crocifisso, mentre recitava preghiere religiose. Pochi istanti dopo, la tromba d’aria scomparve nel nulla.

Questa leggenda, che può risultare assurda anche al lettore più curioso e desideroso di mistero, narra in realtà di un rituale molto praticato sin dall’antichità e che, con grande probabilità, Colombo aveva appreso da alcuni monaci con cui egli era entrato in contatto diplomatico per mezzo del re.

Colombo sbarcato nel Nuovo Mondo. Dióscoro Puebla, 1862

Il taglio delle trombe d’aria, che al Sud Italia prendono il nome, in dialetto, di “Cur’i Zifune” (letteralmente Code di Zifone), è una vera e propria tradizione antropologica, che trovò molto riscontro tra le cosiddette “magare” di campagna, quasi sempre contadine anziane, che ereditavano dalle loro madri la formula e la tecnica secondo cui agire nei confronti dei cicloni in formazione, nonché tra i pescatori.

E proprio un pescatore del sud Italia, Antonio Calabrés, prese parte alla prima spedizione verso le Americhe, in compagnia di Colombo, mentre, ad accompagnarlo nel secondo viaggio, vi furono diversi frati, inviati da Francesco Samson, generale dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola. Tra i questi, Padre Bernardo Boyl, il frate minimo che il re spagnolo decretò come prescelto per il viaggio in compagnia di Colombo e che il Papa indicò come futuro evangelizzatore del popolo indigeno scoperto nelle Americhe.

Ma cosa avevano di particolare i frati di quest’ordine religioso, da essere considerati tanto fondamentali per affrontare insieme a Colombo un viaggio così insidioso? Tutti loro facevano capo a San Francesco di Paola, un eremita taumaturgo calabrese che visse per lungo tempo in Italia e fu poi trasferito dal Papa in Francia, dove governò i rapporti politici all’interno della corte di Luigi XI.

San Francesco, famoso per essere il “patrono della gente di mare”, compì numerosi miracoli, durante la sua vita, tra cui immobilizzare un’enorme pietra che stava franando lungo il pendio di una montagna soltanto guardandola, ridare la vista ai ciechi e la facoltà di camminare agli infermi, nonché attraversare lo stretto di Messina a bordo del suo stesso mantello, come fosse una zattera, agli occhi increduli dei cittadini. Qualunque frate che, anche indirettamente, avesse avuto a che fare con il Santo paolano, ereditava una serie di conoscenze e abilità di magia bianca tali da poter sfidare le forze della natura e ammansirle a proprio piacimento, sfidando le leggi della gravità e del magnetismo a suon di preghiere e formule sacre.

La leggenda delle “cur’i zifune” si tramanda ancor oggi in molte zone di Italia, in particolare in Sicilia, luogo storicamente legato alla gente di mare e alle sue leggende.

Cristoforo Colombo sulla tolda della nave indica la via per il Nuovo mondo. Particolare di un manifesto illustrativo per l’esposizione italo-americana del 1892, tenuta in occasione del quattrocentenario della scoperta dell’America:

La formula religiosa adoperata durante il taglio dei vortici, che, a seconda delle aree geografiche di riferimento, può essere dedicata a diversi santi o madonne, si tramanda rigorosamente durante la notte di Natale e solitamente è sempre una nonna a raccontare ai suoi nipoti ed eredi la preghiera. Questi, poi, la imparano a memoria, senza mai avere il permesso di trascriverla.

Nelle Isole Eolie, in particolare, la tradizione vuole che i coltelli da adoperare per tagliare le trombe d’aria fossero (e, di conseguenza, siano) di ossidiana nera, la tipica roccia vulcanica che l’Etna produce. Su You Tube è possibile trovare qualche video amatoriale di donne e anziani pescatori che narrano le proprie esperienze di fronte all’imminenza dell’uragano e all’uso strategico dei coltelli scaccia-coda.

Alla luce di quanto detto, è molto probabile, dunque, che Cristoforo Colombo, che al primo viaggio aveva “giocato d’azzardo”, pianificando in anticipo le rotte e le stagioni ideali per un viaggio tranquillo, dal secondo viaggio in poi, invece, partì ben più equipaggiato sia di informazioni sia di monaci.

Questione di fede o di scienza? A ognuno il proprio giudizio personale. In ogni caso, se in America, ancor oggi, esistono i cacciatori di tornado e i più noti siti meteorologici hanno dedicato intere pagine web alla storia di Cristoforo Colombo e delle tempeste, potrebbe esserci davvero un fondamento di realtà, anche solo dettata dal caso.

Fonti: Cristoforo Colombo l’ultimo dei templari, Sperling & Kupfer editori. L’uomo che superò i confini del mondo, Sperling & Kupfer, 2010 entrambi di Ruggero Marino.

Giorgia Maria Pagliaro

Giorgia Maria Pagliaro è nata a Paola (prov. di Cosenza) l'11 luglio 1990, è laureata in lettere classiche e filologia. Lavora come docente e revisiona e scrive testi per la casa editrice Dioscuri. Giornalista pubblicista dal 2009, è da sempre interessata ai temi di inchiesta e di mistero, con un'attenzione particolare per l'epoca rinascimentale e la storia dell'inquisizione in Italia. Da sempre in giro per archivi e biblioteche, ama collezionare documenti e notizie utili alle sue ricerche.