Come nei pozzi artesiani, le opere salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore.
(Marcel Proust)
“Con il vento nel cuore” è la mia seconda raccolta di poesie, ma per me rappresenta molto di più. Di seguito cercherò di spiegare perché è nato questo libro, un connubio tra scrittura e pittura, tra riflessione e musica, ma non solo, perché l’idea è quella di trasmettere un messaggio importante: “Mettetevi in ascolto”, cioè “ascoltate la vostra voce interiore”.
Badate bene, non vuole essere il solito messaggio “new age”, quello del “pensate positivo”, ecc… La realtà è diversa.
Questo libro è parte della mia vita e, in parte, desidero raccontarvi la mia storia che, chissà, magari potrà essere spunto di riflessione per qualcuno, mentre per altri potrebbe diventare un suggerimento. Ma partiamo dall’inizio.
Questo testo nasce da un bisogno che vede la mia persona coinvolta in tre momenti della vita. Il primo riferito all’infanzia, il secondo all’adolescenza, il terzo all’età adulta, come professionista e come genitore.
Quando ero piccola e ho iniziato ad accingermi alla scrittura (il fatto di poter esprimere su carta i miei pensieri mi sembrava davvero meraviglioso), trovavo un piacere immenso nel raccontare, dare forma alle parole che “uscivano” direttamente dalla mia testa. Mia madre racconta ancora oggi che, quando ero piccola, scrivevo su qualsiasi cosa, perfino sullo scottex! Mi piaceva scrivere racconti o pensieri, semplicemente per il piacere di farlo, per me… Posso dire, con certezza, che il mio era davvero un bisogno che, ancora oggi, non mi ha abbandonato.
Potrei sintetizzare questa necessità con una frase di Isaac Asimov: “Scrivo per lo stesso motivo per cui respiro – perché se non lo facessi, morirei”. Il bisogno di scrivere, di esprimere ciò che è nella testa, ma non solo… Di far comprendere prima di tutto a sé stessi, le emozioni che fanno parte di noi, con cui viviamo, è una necessità immanente dell’individuo, solo che non per tutti è chiaro. Molti pensano che scrivere sia inutile, o che “bisogna esserci portati”, soprattutto oggi nell’era digitale, invece, io penso che non sia così. Molti riferiscono che non sanno più scrivere a mano a causa dell’utilizzo smodato di cellulare, tablet e computer. Si è perso il piacere di farlo. Oggi più che mai utilizziamo frasi fatte, copiamo citazioni e usiamo abbreviazioni… Ecco che un romanticissimo “Ti amo…” diventa: “TAT!”. Certo il significato intrinseco sarà lo stesso, ma volete mettere il fatto di “perdere” almeno il tempo di scriverlo? Pensate se dovessimo usare le abbreviazioni anche per parlare (gli adolescenti, e non solo loro, già lo fanno), cosa resterebbe dell’arte oratoria? Oratoria, badate bene, perché la comunicazione è un’altra cosa.
Torniamo a noi (come potete immaginare non ho il dono della sintesi), ho iniziato con il dire, oops, scrivere, che la necessità della scrittura mi ha accompagnato fin da piccola, ma desidero continuare affermando che, in seguito, da adolescente, è diventato una salvezza.
L’adolescenza, come noto, rappresenta una fase molto delicata nella vita di ciascuno di noi, e non mi riferisco solo al fatto che tutto nell’essere umano cambia, dall’aspetto fisico, ai sentimenti, all’incredibile salto evolutivo che ti catapulta dall’essere “grande” quando solo sei mesi prima eri ancora “piccolo, il cucciolo di casa”.
In adolescenza ci si sente strani, avvolti in un turbinio di sentimenti e desideri contrastanti: tutto intorno a noi è diverso e si guardano con occhi differenti non solo i genitori, ma anche gli amici, il mondo che ci circonda. Personalmente, in questo periodo ho affrontato uno dei dolori più grandi della mia vita (almeno fino ad ora): la morte di mio padre. È stato un avvenimento traumatico, improvviso, devastante. Il mio papà, bello, giovane e carismatico (credo che carismatico sia il termine giusto) è deceduto all’età di trentasette anni a causa di un incidente stradale non provocato da lui (non che questo faccia la differenza, ma per me è stato un ulteriore cruccio: lui che in moto amava correre, ha terminato la sua vita terrena a nemmeno sessanta chilometri orari…).
Ironia della sorte, come se questo non bastasse, il giorno della sua dipartita è davvero significativo: 19 marzo. Si avete letto bene, il giorno della festa del papà e, cosa ancora più “grave” esattamente 30 minuti dopo esserci parlati al telefono. Non avrei mai immaginato che, in quel giorno, avrei udito la voce di mio padre per l’ultima volta. Ero immersa in questo scenario che oserei definire apocalittico, tredicenne in piena crisi adolescenziale, che desiderava solo morire a sua volta per rivedere il suo splendido papà che troppo presto l’aveva lasciata.
In un contesto del genere, l’aiuto più grande è stato sicuramente quello della mia mamma, delle persone che mi stavano attorno ma, passata la prima fase, quella “della botta a caldo”, ne è seguita un’altra, quella che oserei definire “limbo”, quella in cui la ragazza tranquilla, giudiziosa e “matura” , sicuramente avrebbe superato il momento, o almeno questo era quello che tutti si aspettavano da me. E io così ho fatto. Almeno in apparenza, perché in realtà ero un vulcano: ricordo giornate intere a rivestire il “ruolo della brava ragazza”. Per carità, lo ero davvero, ma era dentro di me che le cose “funzionavano diversamente”.
Emozioni, un turbinio di sentimenti contrastanti dentro di me e non sapere come fare per “tirare fuori” quella “piovra” che mi teneva legata tra l’essere quella ragazza giudiziosa che tutti si aspettavano che fossi, e quella che avrebbe voluto semplicemente mettersi a gridare contro tutto e contro tutti, che si chiedeva costantemente: “Perché???”. Ricordo notti insonni a piangere, facendo attenzione a non farmi sentire, perché non volevo aggiungere dolore a mia madre. Poi, un giorno, tra un pianto e una canzone (in quel periodo avevo scoperto quella che sarebbe diventata la mia band preferita in assoluto: i Queen) ho iniziato a riscoprire il piacere di scrivere… Ho iniziato a liberarmi tra brevi versi, piccoli componimenti… Scoprivo, con mio immenso sollievo, di stare meglio, di “guarire” se pur lentamente, quelle ferite così profonde che attanagliavano il mio cuore, che trafiggevano la mia anima. Piano piano esternavo quello che avevo dentro e gli davo un nome: dolore.
Non solo, dopo mesi, ho scoperto che anche il mio papà scriveva (benché il suo lavoro fosse diverso, non era uno scrittore). Leggevo con trepidazione e foga i suoi brevi componimenti e univo la lettura a un’altra passione: la pittura e il disegno. Tra un disegno e un dipinto, tra un verso e una poesia, assaporavo la gioia del Testamento Spirituale di chi, e l’avrei capito solo molto dopo, mi stava accompagnando nel mondo adulto. Decisi, allora che, un giorno, avrei pubblicato le poesie di mio padre e le mie… Un lavoro a quattro mani. Da ragazza non sapevo se e come questo sogno sarebbe poi divenuto realtà ma il destino ha molta più fantasia di noi e io ero fermamente convinta che l’avrei fatto. Passati gli anni adolescenziali, entrata nel mondo del lavoro (insegno da quando avevo diciannove anni), tra la mia amata professione e gli studi universitari, la scrittura mi ha seguita, diventando anche lavoro.
Iniziai a scrivere articoli pedagogici per una rivista specializzata fino a pubblicare il mio primo libro a carattere educativo – pedagogico. Ero soddisfatta, ma non del tutto. Nel frattempo ricetti l’onore di diventare mamma: Daniel ed Emily hanno davvero cambiato la mia vita, ma prima di loro, ha contribuito notevolmente il loro papà. Fabio ha saputo supportami e “sopportarmi”, camminando al mio fianco, senza mai interferire nelle mie scelte. Da quando questi esseri meravigliosi sono entrati nella mia vita nulla è stato più lo stesso. Ora tengo un taccuino sul comodino perché di notte, spesso, ho voglia di scrivere e non voglio perdermi nulla. Sì perché uno scrittore (anche se fatico a definirmi tale) trae veramente ispirazione da ciò che vive. Ripeto spesso nei miei corsi di formazione ai docenti che “noi diamo quello che siamo” e per chi scrive è lo stesso.
Così nel 2013, a distanza di vent’anni dalla sua scomparsa, realizzo il “nostro” sogno e pubblico “Il Tramonto all’Alba”, l’unione delle poesie di mio padre e le mie, frutto di anni adolescenziali e di un’età più matura, quella in cui, da donna e genitore, vedi le cose sotto un’altra prospettiva. La copertina è un mio acquerello e, sovraesposti, si possono intuire le sagome di un uomo e una ragazzina che si abbracciano… Siamo io e il mio papà in una delle nostre ultime foto insieme. Scrittura e pittura che vanno a braccetto…Durante la presentazione del libro sentivo una profonda gioia mista a una straziante malinconia che mi attanagliava le membra ma, finalmente, il cerchio non si era chiuso, si era trasformato in una spirale aperta verso l’alto, carica di desideri, che anela a una felicità che non è di questo mondo.
Forse sarebbe scontato ribadire che la scrittura e anche la pittura mi hanno salvato. Ma non è solo a queste arti che devo il mio grazie. Tanto tempo fa, un caro amico mi ha detto una frase che riecheggia nella mia testa “… La cosa più importante nella vita sono le RELAZIONI”. Ed è vero. Nel corso degli anni avrei potuto chiudermi in me stessa, diventare rancorosa nei confronti di una vita ingiusta… Quella era la strada più facile e che, per un momento, stavo per imboccare. Ma poi, ho imparato ad ascoltare ed ascoltarmi. È indispensabile ascoltarsi. Ricordate: la bugia più grossa che possiamo dire è quella a noi stessi. Ma come è noto: la verità fa male. E allora bisogna trovare la forza che alberga in ciascuno di noi, perché tutti l’abbiamo, anche quando crediamo che non sia così. Questo testo desidera essere una testimonianza di come da un grande dolore possa nascere una forza vitale che, a sua volta, sia in grado di accompagnare e sostenere, senza dimenticare.
Ci sono ancora molte cose che potrei scrivere a proposito di questo libro, ma preferisco lasciarvi alla lettura di due delle trentuno poesie contenute nel testo e a qualche mio dipinto… Lascio a voi che leggete l’interpretazione, l’emozione e il gusto di assaporare parole, colori, tratti e … lasciare libera la vostra anima… Buona lettura e buona vita a tutti…
“Maestro passato”
Occhi di bimbi
illuminati da stupore,
anni che scivolano via,
ricordi che riaffiorano.
Cuore che gonfiandosi
lacera le membra.
Tu accanto a me che non lasci la presa,
ed io che continuo il mio viaggio
con lo sguardo volto al futuro,
senza dimenticare il maestro passato.
“Maturità interiore”
Accetta, non giudicare,
ascolta, non prevaricare,
proponi, non imporre,
chiedi, non pretendere,
perdona e liberati.
Per saperne di più: h.segrada@libero.it