Comunicare in una nuova lingua: relazione, linguaggio e apprendimento

“Chi apprende una lingua diventa plurilingue e sviluppa interculturalità. Le competenze linguistiche e culturali di ciascuna lingua vengono modificate dalla conoscenza dell’altra e contribuiscono alla consapevolezza interculturale, al saper essere e al saper fare…”

( Dal “Quadro comune di riferimento per le lingue: apprendimento insegnamento valutazione”)

Tra i bisogni dell’infanzia un posto di rilievo è occupato dal bisogno di relazione. Non a caso, infatti, alcuni studiosi fanno coincidere la nascita psicologica del bambino con la sua capacità di mettersi in rapporto con gli altri significati, e il suo sviluppo con la capacità di costruire ed instaurare scambi profondi con le persone e le cose del suo ambiente di vita. L’intelligenza del bambino si attiva ed entra in funzione attraverso le sollecitazioni e le stimolazioni offerte dalle prime relazioni oggettuali. Indubbiamente, l’attenzione e l’interesse conoscitivo verso gli altri sono legati in modo decisivo alla qualità affettiva del rapporto, a un’intesa fatta di sguardi, di contatto corporeo, di soddisfazione e di sicurezza.

Il bambino diviene gradualmente più curioso e più disponibile ad esplorare e conoscere quanto più soddisfacente è il clima socio – emotivo e sono ricche e qualificanti le sue relazioni di base.

Il Metodo ACA, ad esempio, sottolinea l’importanza dell’approccio in lingua straniera fin dalla più tenera età e sostiene che “Lo sguardo è fondamentale affinché possa instaurarsi la relazione ed iniziare l’approccio comunicativo”; uno dei componenti fondamentali per dare vita a scambio e relazione, quindi, è proprio il fattore fisico ed emozionale, primo fra tutti, lo sguardo… Questo è solo un esempio, ma il fattore riguardante il linguaggio non verbale è importantissimo.

E’ attraverso il corpo e il suo linguaggio che il bambino impara a relazionarsi e, sempre attraverso il movimento riesce a dare sfogo ai suoi primi messaggi.

Dopo questa premessa, possiamo affermare che la vita di relazione non solo riveste un ruolo fondamentale per il bambino, ma che conoscere l’intercultura (intesa come occasione per conoscere, collaborare e cooperare, per decentrarsi dal sé e approssimarsi agli altri in modo naturale e spontaneo) è importante tanto quanto costruirla. In questo contesto, prende spunto l’idea di inserire l’utilizzo della lingua straniera (L2).

Iniziare presto l’apprendimento delle lingue straniere, già a partire dalla scuola dell’infanzia, è un’idea che ha preso piede ormai ovunque, sia in Italia sia nella Comunità Europea. In realtà, la cosa veramente importante è l’utilizzo di una lingua “nuova”, diversa come mezzo privilegiato per interagire, costruire relazioni, per capire e farsi capire.

Apprendere i primi elementi di un’altra lingua comunitaria orale è un’operazione importante e delicata. Ogni lingua differente da quella madre, oltre ad essere un mezzo per comunicare, contribuisce a formare una più ricca visione del mondo: è il primo passo per conoscere e costruire l’intercultura.

Per questi motivi, l’attività motoria e musicale in lingua favoriscono ed integrano possibili realtà diverse: rappresentano uno strumento idoneo e concreto per mettere tutti “nella stessa situazione”. Infatti, possiamo facilmente trovare nazionalità differenti non solo all’interno di una scuola dell’infanzia, ma addirittura all’interno della sezione stessa.

La lingua straniera diviene, così, un comune denominatore in grado di mettere tutti d’accordo e, soprattutto, tutti sullo stesso piano… Tramite l’utilizzo della L2, bambini italiani e non hanno la reale possibilità di mettersi in relazione con l’altro attraverso nuovi codici e non solo per mezzo del linguaggio: l’ambito motorio riveste un ruolo di primaria importanza.

Partendo dallo sguardo fino ad arrivare all’attività motoria vera e propria, il bambino mette in pratica una serie di meccanismi che si avvicendano in maniera del tutto spontanea e naturale (cosa che l’adulto, invece, ha perso). Non dimentichiamo, infatti, che il linguaggio corporeo è il primo linguaggio non verbale: attraverso i gesti e le azioni il bambino riesce a farsi capire e utilizza questa modalità come primo veicolo comunicativo. Grazie alla padronanza del proprio corpo, il bambino rappresenta la realtà che lo circonda e si rende conto di saper dare ai diversi momenti dei significati. Il corpo comunica tramite svariati segnali: mimica, postura, tonicità (tensione o distensione), movimento, voce… Per esempio, traducendo dei giochi motori della tradizione, (“Strega comanda colore”, “Palla prigioniera”, “Sacco pieno, sacco vuoto”, solo per citarne alcuni…). In L2, ciascun bambino mette in gioco sé stesso in maniera completa e spontanea, dovendo prestare un’attenzione del tutto particolare al nuovo codice linguistico utilizzato.

Cosa succede in Italia… Utilizzare un CLIL (Content and Language Integrated Learning) di qualità per favorire esperienze e crescita…
Negli ultimi anni, il Ministero della Pubblica Istruzione si è mosso per promuovere non solo l’inserimento della seconda lingua nella scuola ma, soprattutto, per rendere il plurilinguismo il più naturale e fruibile possibile agli studenti, partendo proprio dalla Scuola dell’Infanzia.

Non a caso, infatti, il protocollo numero MPIAOODRLO R:U. 10829 del 12.11.2007 segnala il seminario “Per un CLIL di qualità: esperienze e prospettive” indirizzato ai docenti di ogni ordine e grado.

Tale opportunità ha messo in evidenza l’importanza della L2 e del suo utilizzo nelle scuole, partendo dalla definizione di CLIL, ovvero: “Content and Language Integrated Learning”, apprendimento integrato di lingua e contenuti, riferito all’insegnamento di qualunque materia non linguistica per mezzo di una lingua seconda o straniera (L2).

Sintetizzando, possiamo dire che il CLIL è:

  • Un approccio educativo a supporto della diversità linguistica e pertanto a favore del plurilinguismo, uno strumento capace di determinare in futuro un forte impatto sull’apprendimento delle lingue.
  • Un approccio innovativo all’apprendimento, in quanto costituisce un tentativo per superare i limiti dei curricola scolastici tradizionali, favorendo l’integrazione curriculare e formando una conoscenza “complessa” e “integrata” del sapere.
    Uno strumento migliorativo perché sviluppa la competenza nella seconda lingua, le conoscenze e le abilità nelle aree non linguistiche.

Come possiamo constatare, le iniziative a favore dell’integrazione e dello sviluppo della L2 hanno avuto inizio diversi anni fa… Ma oggi cosa stiamo facendo? Non possiamo ridurre l’ingresso della L2 alla Scuola dell’Infanzia come ad un approccio di conoscenza del vocabolario straniero, del “come si dice questo? Cosa vuol dire quello?…”. Proprio per questi motivi, è bene approfondire la tematica, citando il “Quadro comune di riferimento per le lingue”.

Nel testo si evince chiaramente che: “… il plurilinguismo non coincide con il multilinguismo… l’approccio plurilingue mette l’accento sull’integrazione: cioè, man mano che l’esperienza linguistica di un individuo si estende dal linguaggio domestico del suo contesto culturale a quello più ampio della società e poi alle lingue di altri popoli, queste lingue e queste culture non vengono classificate in compartimenti mentali rigidamente separati; anzi, conoscenze ed esperienze linguistiche contribuiscono a formare la competenza comunicativa, in cui le lingue stabiliscono rapporti reciproci ed interagiscono…”.

Come possiamo notare, anche il Quadro comune europeo di riferimento sottolinea quanto abbiamo detto fino ad ora, cioè che la lingua diviene veicolo, strumento privilegiato dell’atto comunicativo in grado di favorire molto di più del semplice “sapere l’inglese” o qualsiasi altra lingua. In altre parole, significa che il livello rispetto a qualche anno fa è profondamente cambiato: se prima l’inserimento della L2 era diventato un nuovo approccio ludico che tanto piaceva ai genitori, ora la prospettiva è mutata; non si tratta di imparare delle parole in L2, bensì di comunicare in una lingua differente da quella madre per avvicinarsi in maniera concreta alla multiculturalità e al plurilinguismo.

Concludendo, è bene sottolineare che non è solo l’introduzione di una lingua straniera a fare la differenza. Nel nostro Paese dobbiamo cambiare l’approccio e la modalità con cui la L2 viene proposta. Come ricordato in precedenza, non è tanto imparare a memoria molti vocaboli, piuttosto imparare ad utilizzarli nel contesto: dal sapere al saper fare al saper essere… Questo atteggiamento fa la differenza. Non dobbiamo essere dei “traduttori simultanei”, bensì individui in grado di comunicare e relazionarci nei diversi contesti e per farlo prima si inizia e meglio è. Dopotutto è solo l’esperienza che genera competenza…


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