Come Josef Mengele divenne il “Dottor Morte”

L’olocausto è probabilmente il peggior crimine contro l’umanità della storia moderna; Auschwitz il luogo peggiore dove si consumò questo crimine; Birkenau è l’orrore nell’orrore di Auschwitz; Josef Mengele l’angelo della morte che contribuì a tutto questo.

Nel 1985 studi di esperti forensi brasiliani, statunitensi e tedeschi, stabilirono che l’uomo sepolto in una piccola località del comune di San Paolo (in Brasile) con il nome di “Wolfgang Gerhard” era in realtà Josef Mengele. Prove genetiche effettuate nel 1992 lo dimostrarono in modo conclusivo, con il 99,69% di probabilità.

Chi era quest’uomo, e come ha fatto a diventare il protagonista del più terribile incubo della storia moderna?

Gli Studi

Josef Mengele non aveva alle spalle un’infanzia difficile, che in qualche modo potesse, se non giustificare, almeno spiegare la motivazione nascosta dei suoi crimini. In realtà la sua era una famiglia agiata, seppur autoritaria, che non ebbe problemi a farlo studiare fino alla laurea in antropologia, conseguita nel 1935.

Dopo la laurea, Mengele lavorò a Francoforte con il dottor Otmar Freiherr von Verschuer, che era un fervente nazista eugenista. Il nazionalsocialismo da sempre affermava che gli individui sono il prodotto della loro eredità, e von Verschuer era uno di quegli scienziati nazisti il cui lavoro sembrava legittimare tale convinzione.

Le ricerche di von Verschuer ruotavano intorno alle influenze ereditarie sui difetti congeniti come la palatoschisi. Mengele, che era un assistente entusiasta di von Verschuer, lasciò il suo laboratorio nel 1938, con una raccomandazione entusiastica e una laurea in medicina.

L’adesione al nazismo

Mengele aderì al partito nazista nel 1937, quando aveva 26 anni, mentre ancora lavorava a Francoforte con il suo mentore. Nel 1938 entrò a far parte delle SS, e nel 1940 si arruolò volontario nelle Waffen SS, per combattere al fronte durante la seconda guerra mondiale.

Nel 1941, la sua unità fu mandata in Ucraina, e Josef Mengele, il ricco, simpatico e bravo studente, si distinse ancora una volta per il suo coraggio che sfiorava l’eroismo: salvò due soldati che rischiavano di morire bruciati all’interno di un carro armato in fiamme, conquistando la Croce di Ferro.

Auschwitz

Nel 1942, dopo essere stato ferito in battaglia, fu esonerato dal servizio in prima linea, e poi destinato ad Auschwitz, dove arrivò nel mese di maggio del 1943. Nel frattempo aveva ripreso i contatti con il suo vecchio mentore, von  Verschuer, che rese partecipe di tutte le sue ricerche, effettuate durante la permanenza al campo.

Mengele arrivò ad Auschwitz in un momento in cui le cose stavano cambiando: se fino all’inverno del 1942/43 il campo era prevalentemente un luogo di internamento e di lavori forzati, poi si trasformò in un luogo di sterminio, soprattutto nell’area di Birkenau, a cui Mengele era stato assegnato come ufficiale medico.

Quando i nazisti si videro costretti ad accelerare i tempi per arrivare alla famigerata “soluzione finale”, Auschwitz divenne “la fabbrica della morte”. Alcuni racconti dei sopravvissuti, ma anche di guardie naziste, descrivono Mengele come un entusiasta, che volontariamente si offriva per fare gli “straordinari”, con incarichi che andavano oltre ciò che era di sua competenza. Era perfettamente a suo agio nel campo, con l’uniforme impeccabile, e un leggero sorriso sempre stampato sul volto.

Ogni ufficiale medico doveva, nella parte del campo di sua competenza, selezionare i nuovi arrivati, per destinarli al lavoro o direttamente alle camere a gas. Molti colleghi di Mengele trovavano questo compito deprimente, invece a lui piaceva molto, ed era sempre pronto a sostituire i medici che non volevano farlo.

Durante la sua permanenza ad Auschwitz, si occupò di giustiziare gli ammalati ricoverati in infermeria, di assistere i medici tedeschi nel loro lavoro, di supervisionare il comportamento dei medici detenuti, e di condurre le sue ricerche su cavie umane, tra le migliaia di detenuti che selezionava personalmente, in quel programma di sperimentazione da lui stesso avviato e gestito.

La sperimentazione su cavie umane

Gli esperimenti di Mengele erano di una crudeltà che va oltre ogni immaginazione. Sfruttando l’incredibile opportunità di avere una riserva di cavie umane praticamente illimitata, Mengele proseguì il lavoro iniziato a Francoforte sul “fondamento biologico dell’ambiente sociale, la trasmissione dei caratteri e i tipi razziali”. I gemelli monozigoti erano utili a questo tipo di ricerca genetica, perché hanno geni identici: le eventuali differenze fra loro devono quindi essere il frutto di fattori ambientali.

Mengele studiò centinaia di coppie di gemelli, a cui iniettava sostanze misteriose, per poi monitorare la malattia che seguiva, oppure provocava la cancrena a braccia e gambe degli sfortunati. Quando uno dei due moriva, anche l’altro veniva immediatamente soppresso, poi i loro corpi venivano sezionati ed analizzati. Un suo assistente raccontò in seguito che il dottore, in una sola notte, riuscì ad uccidere 14 gemelli di origine rom.

Nel 1944, l’entusiasmo di Mengele gli valse la promozione a responsabile della sanità pubblica nel campo, ed anche in questo ruolo si distinse per la sua “efficenza”: scoppiò un’epidemia di tifo in una delle baracche in cui erano imprigionate molte donne, e il dottore risolse il problema facendo gasare le 600 persone dell’intero blocco.

Alla fine del 1944, con l’avanzare dell’Armata Rossa, il campo fu quasi completamente smantellato, nel tentativo di distruggere le prove del genocidio: un milione e centomila persone – stimate al ribasso – persero la vita nella “fabbrica della morte”; 960.000 erano ebrei.

La fuga e la latitanza

Josef Mengele impacchettò tutti i risultati delle sue ricerche e li consegnò ad un amico fidato, poi si diresse ad ovest per non incrociare l’Armata Rossa.

Il Dottore riuscì ad evitare la cattura fino a giugno del ’45, quando fu intercettato da una pattuglia americana. In quel momento Mengele circolava col suo vero nome, ma la lista dei criminali nazisti ricercati non era completa, e così fu lasciato andare. L’ex angelo della morte lavorò per qualche tempo come bracciante, ma nel 1949 decise di espatriare.

Il criminale nazista riuscì a lasciare l’Europa, partendo da Genova, grazie ai documenti falsi fornitigli dal comune italiano di Termeno, in Trentino Alto Adige, che già aveva aiutato un altro super-ricercato, il tenente colonnello Adolf Eichmann.

Utilizzando diversi pseudonimi, ma in alcuni periodi – come quello trascorso in Paraguay – anche il suo vero nome, Mengele riuscì ad evitare la cattura per decenni, aiutato anche dalla compiacenza dei governi di Brasile, Argentina e Paraguay, piuttosto solidali con i nazisti che si erano rifugiati in Sud America.

Anche durante l’esilio, e con tutto da perdere se fosse stato individuato, Mengele trovò il modo di infrangere la legge: nel 1950 aprì, senza le necessarie autorizzazioni, un ambulatorio medico dove, tra l’altro, praticava aborti illegali. Quando una delle sue pazienti morì, fu arrestato, ma poi rilasciato grazie ad una consistente mazzetta pagata al giudice che si occupava del caso.

Gli sforzi dei servizi segreti israeliani per catturarlo non furono fruttuosi, e il dottore iniziò a preoccuparsi solo dopo la cattura di Eichmann. Cambiò diverse identità e molte abitazioni, fino a fermarsi in Brasile, dove visse per 25 anni, prima di morire di morte naturale nel 1979: mentre nuotava nell’oceano fu colpito da un attacco cardiaco e annegò.

Nel marzo del 2016, un tribunale brasiliano ha affidato i resti riesumati di Mengele alla facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo. Forse, e sarebbe una fin troppo indulgente nemesi, quel che resta del “dottor morte” sarà utilizzato da professori e studenti per la ricerca medica.


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