Ci sono storie che, anche se non sono notissime dal pubblico più vasto, appena vengono conosciute da qualcuno finiscono puntualmente per affascinarlo. E, dunque, anche se finora il loro destino è stato sempre quello di tornare a essere seppellite in qualche recondito angolo della memoria collettiva (dal quale, prima o poi, qualche studioso le tirerà fuori di nuovo), si può stare certi che prima o poi emergeranno, per un pubblico che le scoprirà per la prima volta.
Sotto, il video sul canale di Vanilla Magazine:
La storia del vero e del falso Martin Guerre ne rappresenta un esempio perfetto. Tra il 1982 e il 1993 uscirono due famosi film basati su questo soggetto: uno francese che cerca di mantenere un certo rigore nel racconto (“Il ritorno di Martin Guerre” di Daniel Vigne, con Gérard Depardieu e Nathalie Baye) e uno statunitense che invece sposta l’azione negli USA di tre secoli dopo (“Sommersby”, di John Amiel, con Richard Gere e Jodie Foster). Nel 1983 fu pubblicato un saggio che ai tempi ebbe una vasta diffusione anche in Italia e che ora, dopo qualche decennio di oblio, sta per essere finalmente ristampato nel nostro Paese, “Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento”, della studiosa statunitense Natalie Zemon Davis. Poco tempo fa è giunto finalmente in Italia anche il celebrato romanzo che nel 1941 la scrittrice americana Janet Loxley Lewis (1899-1998) dedicò a questa vicenda, “La moglie di Martin Guerre”.
Trailer del film con Gérard Depardieu:
Insomma, ci troviamo in un periodo in cui Martin Guerre è tutt’altro che dimenticato. Quindi è una buona occasione per parlare della sua vera storia.
Siamo in Francia, nel sedicesimo secolo. Il luogo è Artigat, un paese sul versante francese dei Pirenei, non distante da Toulouse. Martin Guerre e Bertrande de Rols, nati entrambi nel 1524, vengono fatti sposare dalle relative famiglie (come si usava a quel tempo) nel 1538, appena quattordicenni. Dovranno però aspettare il 1546 per avere un figlio, Sanxi Guerre. In paese circolano voci per cui la coppia sarebbe stata oggetto di una sorta di maledizione che l’ha resa sterile e che questa maledizione sia stata disattivata da una serie di messe e da un rituale magico suggerito da un sacerdote.
La famiglia di Martin Guerre è originaria di Hendaye, un paese che si trova sulla costa a oltre 300 km da Artigat (anche Martin è nato lì e aveva tre anni quando i suoi genitori si sono trasferiti ad Artigat). I Guerre sono considerati un po’ forestieri in paese, perché appartengono alla minoranza basca. Non è che cambi molto, perché si tratta di una famiglia benestante, che possiede un’attività di produzione di mattoni e tegole. Anche quella di Bertrande non è una famiglia originaria di Artigat, ma è comunque una famiglia economicamente ben posizionata. Il matrimonio non è stato combinato per caso.
Una volta superato il problema della sterilità coniugale, la coppia sembra destinata a un felice avvenire. Ma, soltanto due anni dopo la nascita di Sanxi, Martin Guerre scompare misteriosamente. O, per meglio dire, se ne va senza lasciare tracce. L’occasione la fornisce una circostanza molto imbarazzante: nel 1548 viene denunciato per aver rubato dei sacchi di cereali. Da chi? Dal suo stesso padre.

Le poche notizie disponibili dicono che, prima di essere arrestato, prende la via per la Spagna, dopodiché non si sa più niente di lui.
Passano più di otto anni, poi nel 1557 Martin Guerre torna a casa. Oddio, si direbbe che è lui, ma anche che è un po’ cambiato. Sì, sembrerebbe il Martin Guerre di sempre, ma che strano il fatto che sia diventato più basso. Però non ci sono dubbi sulla sua identità, perché sa tutto della vita passata di Martin Guerre, perfino le cose più private. Bernarde, la sposa, è entusiasta di averlo ritrovato e lo riaccoglie entusiasticamente in casa.
Sembra che le cose vadano di nuovo bene e, in effetti, è così, per circa tre anni. Martin e Bernarde vivono d’amore e d’accordo e hanno altre due figlie, una delle quali, purtroppo, morirà nella prima infanzia.
Però c’è sempre un problema da risolvere. Durante la sua assenza il padre di Martin è morto e il suo fratello minore (quindi zio di Martin), Pierre Guerre, ha deciso di mettere le mani sull’intera eredità. Non solo: poiché sia lui sia la madre di Bertrande sono rimasti vedovi e si sono risposati tra loro (l’esigenza di tenere uniti i grossi patrimoni sarà la causa principale dei matrimoni in Europa fino a tutto il XIX secolo, come dimostra anche Carlo Macry in un bel saggio intitolato “Ottocento”, che tratta dei rapporti familiari nella Napoli di quel tempo), Pierre ha preso di mira anche le proprietà della figliastra e del nipote.
Già nel 1559 Pierre accusa Martin di aver dato fuoco alla fattoria di un vicino. Martin è processato e assolto l’anno dopo. In quest’occasione, Pierre sostiene anche che il nipote non sia il vero Martin Guerre, ma non riesce a dimostrare l’accusa. Bertrande pare sempre dalla parte del marito: ma, dopo il suo ritorno a casa in seguito all’assoluzione, lo denuncia anche lei e pretende un risarcimento per essere stata ingannata.
Cos’è successo? È successo che un militare di passaggio per Artigat ha raccontato di aver conosciuto Martin Guerre, il quale sarebbe stato suo commilitone e avrebbe perso una gamba in seguito a una ferita riportata durante la battaglia di San Quintino, combattuta tra francesi e spagnoli il 10 agosto 1557.
Martin Guerre è arrestato di nuovo. Mentre è detenuto, Pierre non resta con le mani in mano: va in giro a fare domande, sguinzaglia amici e conoscenti dappertutto e alla fine mette insieme abbastanza testimonianze da provare che “Martin”, in realtà, non è Martin. La sua vera identità sarebbe quella di Arnaud du Tilh, detto Pansette, un truffatore originario di Sajas, paese a una cinquantina di km da Artigat.
Il processo viene tenuto a Rieux, in Garonna, a oltre 500 km da Artigat, e vede la deposizione di oltre 150 testimoni. Benché la maggior parte di questi sia favorevole a “Martin”, comprese le sue quattro sorelle che affermano di averlo riconosciuto con certezza e compresa la stessa Bertrande che, dopo averlo denunciato, ha ritrattato tutto dicendo di essere stata costretta a farlo dalle minacce e dalle violenze di Pierre e dei suoi figli, l’imputato viene riconosciuto colpevole di violazione dell’ordine matrimoniale e di stupro, in quanto avrebbe carpito in mala fede il consenso della donna. La pena per questi delitti è quella capitale:
La decapitazione
Gli avvocati di “Martin” non ci stanno e propongono immediatamente appello al Parlamento di Toulose, l’organo competente per giudicare queste cause.
Il procedimento d’appello sembra andare in modo favorevole per l’imputato. I giudici di Toulouse sembrano prendere molto sul serio i testimoni a suo favore. A un certo punto, ordinano l’arresto di Bertrande e di Pierre con l’accusa di falsa testimonianza e false accuse.
Ma arriva un altro colpo di scena.

Nel bel mezzo del dibattimento, si presenta un uomo con una gamba di legno e afferma di essere il vero Martin Guerre. Racconta di essere scappato in Spagna, di essersi arruolato nell’esercito, di aver perso la gamba a San Quintino.
I giudici mettono i due Martin Guerre a confronto sul passato e quello con tutte e due le gambe sembra avere il sopravvento, appare molto più credibile dell’altro.
L’ultimo passaggio è il riconoscimento diretto da parte dei testimoni principali. Una sorta di confronto all’americana in cui i due Martin Guerre devono essere valutati dai parenti dell’uomo. Quando si trova davanti l’uomo con la gamba di legno, Bertrande si mette a tremare, scoppia in lacrime e lo abbraccia: è lui il suo vero marito.
Anche gli altri familiari le danno ragione.
Il vero Martin Guerre racconta che Arnaud è stato un suo commilitone nell’esercito. Martin era un gran chiacchierone, Arnaud lo lasciava parlare e lo ascoltava e, grazie a un’eccellente memoria, ha imparato tutto sulla sua vita.
In seguito, i due si sono separati e non si sono più visti, perché una volta rimasto invalido, Martin è andato a curarsi in un monastero e non si è mai allontanato da lì per tre anni. Intanto, un giorno, Arnaud si è accorto che altri ex commilitoni lo scambiavano per Martin e gli è venuta l’idea della truffa.
La sentenza d’appello condanna di nuovo Arnaud a morte, stavolta per impiccagione. In realtà c’è ancora qualche perplessità ma tutti dubbi vengono fugati il 16 settembre 1560, giorno dell’esecuzione, che si tiene ad Artigat. Sul patibolo, confessandosi, Arnaud ammette la sua colpevolezza e chiede perdono a Bertrande per averla ingannata. Morirà assolto da tutti i peccati, quasi in odore di santità, circondato da una folla commossa che prega per lui.
Invece, almeno inizialmente, Martin non sembra intenzionato a perdonare Bertrande, rea di non aver riconosciuto l’impostore. Poi le ragioni familiari e patrimoniali prendono il sopravvento e i due si riappacificano. Non solo: la sentenza di condanna definitiva di Arnaud riconosce espressamente che Bertrande è stata ingannata e che quindi ha operato in perfetta buona fede. Conseguenza di questo è che entrambe le sue bambine, quella viva e quella morta, sono da considerarsi figlie legittime, perché concepite da una madre convinta di trovarsi con il proprio marito.
Il libro della Zemon Davis è ispirato soprattutto dal principale testo contemporaneo a trattare la vicenda: si tratta di “Arrest memorable”, di Jean de Coras, uno dei giudici di Toulouse che si occuparono della vicenda. Jean de Coras è un giurista molto moderno, che si pone anche molte questioni etiche, non limitandosi a trattare l’argomento dal punto di vista giuridico. E sente il bisogno di affrontare il tema della giustizia davanti a un pubblico il più vasto possibile, tant’è vero che scrive il suo libro in Francese e non in Latino, come invece era consuetudine per gli studiosi del tempo.
Leggendolo, si ha la sensazione che parteggi più o meno inconsciamente per Arnaud, che rispetto agli altri gli appare come una sorta di figura eroica. Anche la sua capacità di ingannare Bertrande gli sembra affascinante.
La Zemon Davis sostiene invece che Bertrande avesse sempre saputo che Arnaud non era suo marito, e che scelse deliberatamente di sostenerne il ruolo finché le convenne. Nella condizione in cui l’aveva lasciata Martin, non aveva la stessa libertà di un uomo, non aveva un uomo accanto e non poteva permettersi di averne uno nuovo perché non era ufficialmente vedova, si trovava alla mercé dell’avidissimo Pierre e degli altri parenti del marito e l’arrivo di Arnaud dovette sembrarle un evento provvidenziale. A questo si deve aggiungere il fatto che Arnaud sembrava un uomo molto più gentile e amabile dello sgradevole Martin, troppo incline ai colpi di testa, per cui tutta la convivenza non deve esserle sembrata uno sforzo insostenibile. Come scrive Pasquale Palmieri su “Doppiozero”, recensendo il libro della Loxley Lewis e presentando la prossima ristampa di quello della Zemon Davis, la sentenza finale sarà amara soprattutto per lei, che si ritrova liberata da entrambe le passioni e da entrambi gli uomini, ormai condannata a una rispettabile ma triste solitudine.