Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, una strana coppia di archeologi lavora agli scavi della città ittita di Carchemish, al confine odierno tra Turchia e Siria: uno è l’archeologo britannico Charles L. Woolley, e l’altro è Thomas E. Lawrence, ricordato da tutti come Lawrence d’Arabia.
Woolley (a destra) e Lawrence con una lastra ittita a Carchemish durante gli scavi, tra il 1912 e il 1914
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Woolley è un “vero” archeologo, per la verità uno dei primi ad approcciarsi con metodi moderni alla ricerca sul campo, anche se molto più avanti negli anni confesserà che al suo primo scavo, in un sito romano in Inghilterra, non aveva “mai studiato metodi archeologici nemmeno sui libri”, e non aveva la minima idea “di come fare un rilievo o una planimetria”.
Lawrence, che tutti conoscono per la sua carriera militare (in particolare per il ruolo svolto durate la rivolta araba del 1916/1918), ha una laurea in storia (conseguita all’università di Oxford, con lode) che gli consente di lavorare per il British Museum, prima di diventare il famoso Lawrence d’Arabia.
Lawrence e Woolley (a destra ) a Carchemish, primavera 1913
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Tra il 1912 e il 1914 Woolley e Lawrence sono a Carchemish, certo per partecipare agli scavi, ma anche per passare informazioni ai servizi segreti britannici sulla costruzione della ferrovia Berlino-Baghdad, voluta e finanziata quasi interamente dai tedeschi per avere un accesso al Golfo Persico. Un’opera controversa, osteggiata da Russia, Francia e Gran Bretagna per le implicazioni politico-economiche che ne conseguivano, ma questa è un’altra storia.
Lawrence, allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola volontario nell’esercito britannico, e poi proseguirà nella carriera militare, mentre Woolley, che inizialmente è con lui al Cairo, poi si sposta ad Alessandria dove deve occuparsi di spionaggio navale. Finisce in un campo di prigionia turco, ma alla fine della guerra riprende il suo lavoro di archeologo: partecipa agli scavi di Amarna, torna a Carchemish, ma è nella città mesopotamica di Ur (tra il 1922 e il 1934) che fa le sue scoperte più importanti: il toro di rame, la lira dalla testa di toro, e la straordinaria coppia di arieti in un boschetto, rinvenuti nel cimitero reale, che conta 1800 tombe, dove furono probabilmente sepolti molti sovrani sumeri.
Lira della Regina
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Woolley trova la tomba della “Regina” Pu-Abi, stranamente non violata dai saccheggiatori nel corso dei millenni. Il corredo funerario di questa donna di rango elevatissimo (forse una regina o una sacerdotessa vissuta all’incirca nel 2600 a.C.) è ricchissimo: un complicato e prezioso copricapo, gioielli di ogni genere, cinture, oggetti d’oro.
Il copricapo e alcune collane trovate nella tomba di Pu-abi
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Insieme ai resti mortali di Pu-abi ci sono, nella stessa camera funeraria, anche quelli di altre tre persone, ciascuna con i propri ornamenti. Si tratta probabilmente dei servitori più vicini alla donna, forse sacrificati perché continuassero a occuparsi di lei anche nell’aldilà.
I resti di una giovane donna che indossa un copricapo d’oro, gioielli d’oro, lapislazzuli, corniola e conchiglia, dalla fossa della morte di Pu-abi
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Intorno alla tomba di Pu-abi ci sono due “fosse della morte”, dove giacciono i resti di molti uomini e donne (74 in una e 52 in un’altra). Non è chiaro se tutte queste persone, sepolte con ornamenti preziosi, siano collegate anch’essa alla sepoltura della Regina, ovvero se facessero parte di un corteo che l’accompagnasse dopo la morte.
Pianta della tomba di Pu-abi
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Analisi condotte di recente dall’Università della Pennsylvania sui resti di due defunti dimostrerebbero una loro morte violenta, dovuta a un corpo contundente pesante e appuntito. Il tipo di ferite osservate sarebbero compatibili con uno strumento rinvenuto e catalogato da Woolley, simile a un martello.
Testa di leone in argento, terminale per il bracciolo di una sedia, dalla fossa della morte all’ingresso della camera di Pu-abi
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Nella città di Ur Woolley trova anche le prove geologiche del cosiddetto Diluvio Universale, la grande alluvione descritta nell’Epopea di Gilgamesh (un racconto epico risalente a quattromila anni fa) e poi nella Bibbia, nel libro della Genesi. L’archeologo identifica lo strato di un’inondazione “lungo 400 miglia e largo 100 miglia”. Certo, non è tutto il pianeta, “ma per gli occupanti della valle era il mondo intero”, secondo il parere di Woolley.
Calice d’oro dalla tomba di Pu-abi

A collaborare con Woolley si aggiunge, nel 1924, un’ex infermiera con la passione per il disegno, Katherine E. Keeling, che per due anni presterà la sua opera gratuitamente.
Membri della spedizione della terza stagione, 1924-25. Da sinistra a destra: probabilmente J. Linnell, Katherine Keeling (poi Woolley), Leonard Wooley e padre Leon Legrain, epigrafo della spedizione e curatore della sezione babilonese del Museo dell’Università della Pennsylvania:
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L’arrivo della giovane donna, vedova da poco – il marito si è suicidato qualche mese dopo il matrimonio, proprio sotto la Piramide di Giza, in Egitto, per motivi mai chiariti – non è gradito ai finanziatori della missione (Università della Pennsylvania e British Museum), che vedono in quell’unica presenza femminile al campo un possibile motivo di scompiglio tra i quattro uomini che convivono nella casa degli scavi. Lei però è brava, talmente tanto che Woolley, pur di non rinunciare alla sua opera, nel 1927 la sposa (anche se il matrimonio, per volontà di lei, non verrà mai consumato).
Casa degli scavi e il personale della spedizione, 1928-29. Max Mallowan (terzo da sinistra), Hamoudi, Leonard Woolley, Katherine Woolley, padre Eric R.
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La donna, a lungo andare, non è troppo ben vista dai membri della spedizione, che la definiscono “esigente”, “manipolatrice” e “pericolosa”, talmente temuta da essere in grado di placare controversie tra gli operai solo con la sua presenza.
La sopporta poco (almeno apparentemente) anche uno degli assistenti di Woolley, l’archeologo Max Mallowan, che poi sposerà la celebre scrittrice di romanzi gialli Agatha Christie, giunta in visita agli scavi durante uno dei suoi viaggi in oriente.
Prima di quel fortuito evento, Woolley, Mallowan e Katherine, fanno una scoperta incredibile. Sono alle prese con gli scavi nel complesso del palazzo e della ziggurat di Ur, quando trovano dozzine e dozzine di oggetti ordinatamente collocati in poche stanze. La cosa straordinaria è che tutti quei manufatti appartenevano a epoche diverse: l’oggetto più “nuovo” era di settecento anni più vecchio della pavimentazione dell’edificio, mentre il più antico risaliva addirittura a due millenni prima. Accanto a ciascun manufatto c’è un piccolo tamburo cilindrico, inciso addirittura in tre lingue diverse: è la spiegazione dell’oggetto, insomma la versione antica delle etichette esplicative dei moderni musei.
Un cilindro di argilla inscritto con una descrizione in tre lingue
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Quelle sale sono dunque, secondo la ricostruzione di Woolley:
Un museo di antichità locali gestito dalla principessa Ennigaldi
Suo padre, ultimo sovrano dell’impero babilonese, è Nabonide, che regna tra il 556 e il 539 a.C., quando viene sconfitto dal persiano Ciro II. Nabonide è considerato il primo archeologo della storia, perché amava recuperare antichità in prima persona, che poi restaurava personalmente, facendo dei veri e propri scavi nei territori del suo regno. Sembra senza precedenti anche l’istituzione del museo. A dirigerlo c’è Ennigaldi, che usa quegli oggetti per insegnare la storia del suo popolo, in una scuola per sacerdotesse che esiste già da 800 anni, dove peraltro le ragazze imparano anche un tipo di scrittura usato nei testi letterari solo dalle donne.
Scavi archeologici nel Palazzo di Ur:
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Agatha Christie visita gli scavi di Ur nel 1929, e ha naturalmente modo di conoscere Woolley, la moglie Katherine e il suo futuro marito Max Mallowan, che sposerà un anno dopo. Katherine fa un’eccezione per la scrittrice, già famosa: di solito non accetta che donne sole arrivino agli scavi, perché vuole (a detta degli altri) l’attenzione tutta per sé.
L’atmosfera al campo non deve essere idilliaca, perché Katherine aveva, pare, il potere “di affascinare coloro che le erano accanto, quando era dell’umore giusto, o al contrario, di creare un’atmosfera carica di veleno; vivere con lei significava camminare sul filo del rasoio”, almeno secondo l’opinione di Mallowan.
Eppure è lui che nel 1926 fa ampliare la casa degli scavi, proprio per garantire a Katherine una maggiore privacy. E Agatha, quando ancora non ha iniziato la relazione con Mallowan, ha la sensazione che a Max piacesse un po’ troppo Katherine, e che a lei piacesse un po’ troppo quel suo gradimento…
Comunque Agatha e Katherine diventano amiche, ma quando nel 1930 l’archeologo sposa la scrittrice, i rapporti si raffreddano: la Christie non è più la benvenuta a Ur e poco dopo anche Mallowan abbandona la spedizione.
Agatha Christie e Max Mallowan nel 1950
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Agatha Christie trova ispirazione nelle persone conosciute a Ur, compreso un frate epigrafista, per uno dei suoi romanzi più famosi, Murder in Mesopotamia (il titolo in Italia è Non c’è più scampo), dove viene uccisa la moglie del capo archeologo, che aveva perso il primo marito in circostanze misteriose. Un personaggio affascinante, ma a tratti sgradevole, che ispira un sentimento di odio-amore, nel quale si può facilmente riconoscere Katherine.
La donna non si risente della cosa, anzi, è compiaciuta della notorietà acquistata grazie al romanzo. La sua vita però è difficile: nel 1929 Woolley chiede il divorzio, motivandolo con la non consumazione del matrimonio, ma poi rinuncia, perché alla donna viene diagnostica una sclerosi multipla. Nonostante la malattia, Katherine continua ad aiutare il marito nel lavoro, fin che può agli scavi, e poi disegnando, scrivendo e pubblicizzando l’opera dell’archeologo.
Charles Woolley, quando la moglie muore, l’8 novembre 1945, scrive un necrologio, abbastanza impersonale, dove però le riconosce il notevole contributo apportato alle sue ricerche:
“Katharine Woolley era un’archeologa, come suo marito, e ha condiviso con lui il lavoro di scavo a Ur dei Caldei, ad Al Mina, sulla costa della Siria settentrionale, e ad Atchana (Alalakh), nell’Hatay, fino allo scoppio del guerra. Era corresponsabile con lui del rapporto pubblicato nel 1939 sull’Archaeological Survey of India. Dal 1943 in poi, quando fu nominato consulente archeologico del War Office, fu sua assistente. Nonostante la malattia, il dolore costante e debolezza crescente, vi ha proseguito il suo lavoro fino a due giorni prima della sua morte, avvenuta l’8 novembre (…)”
Woolley invece morirà il 20 febbraio del 1960, senza mai più risposarsi.