In Irlanda, in Scozia e nella cultura europea più in generale, sin dall’antichità, esistono centinaia di leggende e tradizioni legate al mondo fatato. Nella gran parte, si tratta di fiabe e storie che si rifanno alla devozione degli esseri umani per le creature dei boschi. Esiste anche, però, una serie di aneddoti che riconduce al ben più oscuro mondo della superstizione:
Si tratta della leggenda dei Changeling
Si narra che un tempo, le fate, tutt’altro che creature buone e gentili, rapissero i bambini, scambiandoli per creature della loro stirpe. I bambini sottratti al regno dei mortali prendevano, da quel momento, il posto dei changeling. In pratica, i piccoli umani venivano rimpiazzati, all’interno delle loro culle, durante la notte, da fate e spiritelli. Il giorno dopo, i poveri genitori si ritrovavano ad avere a che fare con creature bizzarre dall’aspetto stregato e malaticcio, senza riuscire a capire che fine avessero fatto i propri figli.
Der Wechselbalg (Changeling in tedesco) di Henry Fuseli, 1781:
In altri casi, le fate rivolgevano i loro incantesimi a un pezzo di legno annerito (solitamente di quercia), per farlo assomigliare al bambino che erano intenzionate a rapire. In seguito a un tale sortilegio, capitava che questo tipo di changeling, apparentemente identico al bambino sano rapito, si ammalasse in poche ore e morisse nell’arco della notte. A quel punto l’unica consolazione, per i genitori, era sperare che il vero figlio si trovasse ormai nel Regno delle Fate. Talvolta capitava che le famiglie vittime del sortilegio conducessero sulla Collina delle Fate il changeling defunto sperando che, lasciando quest’ultimo nei pressi degli alberi sacri alle Fate, venisse ridato loro il vero bambino.
Perché le fate avevano bisogno di rapire i mortali?
Le motivazioni addotte dalle leggende popolari sembrano ricondurre tutte a due principali teorie: la prima, di stampo cristiano, sosteneva che le fate, un tempo angeli caduti puniti da Dio per la loro superbia e per questo scacciate dell’Eden e costrette ad abitare nel sottosuolo e sulla Terra, avessero bisogno di sangue umano per poter assicurare a se stesse la riconquista del Paradiso.
Una seconda teoria sostiene invece che i figli delle fate non fossero tanto belli e vitali quanto quelli dei mortali e così, le magiche creature dei boschi desiderose di portare avanti una stirpe di tutto rispetto, rapissero i bambini umani.
Secondo una terza ipotesi, il latte (e non il sangue) dei bambini mortali era fondamentale per la sopravvivenza del popolo fatato, tanto che quest’ultimo sceglieva spesso di rapire anche alcune donne mortali affinché allattassero non solo i bimbi mortali ma anche le creature fatate, ridando loro vitalità e longevità. Si dice infatti che i changeling piangessero costantemente e che, nonostante mangiassero a quattro palmenti, la loro crescita veniva interrotta o proseguiva in maniera sproporzionata (in ogni caso, morivano molto presto).
Dipinto di John Bauer di due troll con un figlio umano:
La tradizione narra anche che le fate fossero in grado di fare incantesimi sul changeling, al punto da farlo sembrare identico al bimbo mortale rapito. In un secondo momento, però, la differenza tra le due creature iniziava a emergere: i changeling erano molto precoci e capaci di parlare e scavalcare le culle anche quando erano in fasce, al contrario dei veri infanti. Le mamme dei bambini, consapevoli della predilezione delle fate nei confronti dei maschietti, usavano vestire i loro figli da femmina, con tanto di gonne e indumenti rosa, e appendevano, vicino alle culle, crocifissi e pezzi di ferro (metallo odiato dalle fate), sperando che questi ultimi avessero una funzione apotropaica di salvezza per i loro piccoli.
Quando invece lo scambio era presumibilmente già avvenuto, il primo tentativo per capire se si avesse a che fare con un bambino delle fate consisteva nel provare la vera natura di quest’ultimo preparando della camomilla e versandola in un guscio d’uovo. A quel punto, il changeling, stupefatto, avrebbe esclamato: “In tanti anni della mia esistenza ne ho viste di cose, ma mai versare della camomilla in un guscio d’uovo…” ; dopodiché sarebbe sparito.
Purtroppo, però, nella realtà dei fatti, i bambini considerati changeling e che non rispondevano alla prova dell’uovo, rischiavano seriamente la propria vita, a causa di prove ed esorcismi cui venivano sottoposti da chi gli stava intorno. In alcuni casi, veniva utilizzata la prova del fuoco: si gettava il bambino “spiritato” nel fuoco, in attesa che, dalla cima del camino, sbucasse di nuovo, sotto la forma originaria di quello rapito.
Altre volte, si adoperava il metodo della frusta; come racconta Cassandra Eason a tal proposito: “Nel 1843 il giornale West Brighton riportò il caso di un tal J. Trevelyan di Penzance, accusato di aver maltrattato uno dei suoi figli. Il piccolo raccontò di essere stato regolarmente picchiato dai suoi genitori e dai loro servitori e di essere stato lasciato fuori di casa da quando aveva quindici mesi. I suoi genitori si difesero dicendo che quello non era il loro bambino, ma un changeling, e il caso contro di loro fu archiviato”.
Il diavolo scambia un neonato con un changeling, raffigurazione di Martino di Bartolomeo:
Un altro terribile caso fu quello di Bridget Cleary, la donna irlandese che nel 1895 venne uccisa dal marito in seguito a una serie di convulsioni dovute in realtà a una bronchite presa durante un temporale, ma che egli sosteneva fosse colpa di una visita che la donna aveva fatto ai “forti delle fate”, nel bosco. La Cleary, sottoposta a diversi esorcismi da parte di un prete e dei suoi famigliari, venne infine colpita a morte dal marito, che la gettò nel fuoco e poi ne condusse il corpo in quello stesso bosco, presso i fairy forts, sperando che le fate gli ridessero in cambio la vera moglie.
Quanto era labile, dunque, la differenza tra un concreto problema di salute e il sospetto di un rapimento (fenomeno di abduction) da parte delle fate?
Cassandra Eason, in un’intervista al Dottor Clarke, medico generico dell’Università di Essex, ci spiega: “La descrizione di un changeling non è identificabile con patologie particolari, ma rimanda piuttosto a una serie di disabilità che, prese apertamente o insieme, indicherebbero un bambino come “diverso”. Quando, in passato, nascevano bambini con una qualche stranezza, si preferiva pensare che fossero impossessati dal diavolo. In realtà, le carenze alimentari erano spesso responsabili dell’arresto del normale sviluppo di una persona, soprattutto nelle famigli indigenti. All’epoca, un’alta percentuale di bambini aveva problemi di crescita e la mortalità infantile si avvicinava al 50/60 %. La teoria dei changeling era una sorta di conforto per i genitori sfortunati che davano alla luce un bambino socialmente inaccettabile”.
Un conforto, quello descritto dal Dottor Clarke, che nel corso degli anni iniziò a tradursi in una reale spiegazione che i genitori di bambini con disabilità cercarono di dare a se stessi anche nel caso in cui i figli soffrissero di autismo o sindrome di Asperger, disturbi che spesso subentrano non già alla nascita, ma verso il secondo, terzo anno di vita. I bambini smettono improvvisamente di parlare, dimenticando le parole precedentemente apprese, e assumono comportamenti ripetitivi e stereotipati, dimostrando una perenne attrazione per un mondo invisibile agli occhi di chi li circonda, come se ci fosse qualcosa o qualcuno a distrarne la mente verso un’altra dimensione.
A proposito di questo fenomeno, è interessante citare la poesia del poeta irlandese William Butler Yeats “The Stolen Child”, successivamente musicata dalla cantante canadese Loreena Mc Kennitt, che in uno dei suoi versi, tradotti qui in italiano, recita:
Vieni via, Oh bambino umano
Verso l’acqua e la selva
Mano nella mano, con una fata,
Perché il mondo è più pieno di lacrime
Di quanto tu possa capire.
Yeats sosteneva, durante i suoi studi e le sue gite nel bosco, di aver avuto a che fare con la regina delle Fate in persona, la quale, parlando con lui, lo aveva minacciato di non approfondire troppo le sue ricerche sul Regno delle Fate, pena la sua stessa vita. Il poeta, infatti, esperto conoscitore delle tradizioni celtiche e delle leggende connesse, era anche molto amico di Lady Speranza Wilde (madre del celebre Oscar e anch’ella cultrice delle fate).
Bland Tomtar och Troll, dell’artista svedese John Bauer, 1913:
Nella prima serie di estratti dalla sua opera intitolata “Handbook of the Irish Revival: An Anthology of Irish Cultural and Political Writings 1891-1922”, riportati in un articolo dell’Irish post, egli descrisse “Come fantasmi e goblins ancora vivono e hanno potere nell’immaginazione degli uomini e delle donne Irlandesi, e non sono solo nei luoghi remoti, ma anche vicino alle grandi città”. “Ad Howth”, dichiarò Yeats, “Per esempio, a dieci miglia da Dublino, c’è un “fairies path” (percorso delle fate), lungo il quale una grande colonia di creature dell’altro mondo viaggiano, durante la notte, dalla collina verso il mare e poi di nuovo verso casa. C’è anche un campo che, sin da quando in un capannone si era diffusa l’epidemia del colera per alcuni mesi, è popolato da fate e spiriti maligni”.
Proseguendo la sua trattazione, Yeats parlò anche della città di Sligo e del suo ponte di accesso per il Regno Fatato. Tutti luoghi, insomma, rintracciabili sulla carta geografica. Un’idea, questa, che trova d’accordo anche la celebre scrittrice Hannah Kent, che ha deciso di ambientare uno dei suoi romanzi sui changeling non in un luogo sperduto e immaginario, bensì nella contea di Kerry e più nello specifico, nella celebre cittadina di Killarney.
Al giorno d’oggi, in Italia, esiste un’associazione a sostegno di autismo e disabilità, dal nome “I bambini delle fate”. Fondata nel 2005 dall’imprenditore veneto Franco Antonello, dopo aver scoperto che il figlio Andrea soffriva di una grave forma di autismo, quest’associazione, il cui nome è tutt’altro che casuale, costituisce ad oggi uno dei modelli di maggiore integrazione sociale ed economica per i soggetti che soffrono di autismo, fornendo una speranza a migliaia di genitori italiani. La storia di Franco e Andrea, padre e figlio che hanno deciso di affrontare insieme il “Regno delle Fate” facendolo proprio, anziché rinnegarlo in funzione di drastiche terapie mediche, ha ispirato il libro di Fulvio Ervas dal titolo “Se ti abbraccio non aver paura”, nonché centinaia di interviste e programmi tv.
Franco Antonello, esempio di padre modello, ha deciso di fare dei viaggi on the road la via della guarigione per il figlio Andrea, che ora ha imparato ad abbracciare, a sorridere e a dare un senso al proprio mondo interiore nel dialogo con l’esterno. Una terapia, quella del paesaggio e della natura, che con grande nobiltà d’animo lancia un messaggio preciso: non possiamo pretendere di cambiare i bambini delle fate, ma piuttosto cercare, insieme a loro, di penetrare un Regno a noi invisibile.