E’ passato da pochi giorni l’anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma dove il 16 ottobre 1943 fra le 5:30 e le 16:00, vennero arrestati e poi deportati 1.022 ebrei, soprattutto anziani, donne e bambini. Tornarono solo in 16, 15 uomini e 1 donna. Nei mesi seguenti furono arrestati altri 747 ebrei, buona parte di questi erano gli uomini giovani che erano riusciti a scappare al primo rastrellamento.
Porta Ottavia, ingresso al Ghetto:
A Roma risultavano abitare circa 13.000 ebrei, circa l’83% di loro si salvò nascondendosi in campagna o da persone di buon cuore e di gran coraggio, alcuni perfino in case di fascisti che non condividevano le persecuzioni ebraiche, altri si rifugiarono in chiese e conventi. Alcuni si erano uniti alla resistenza. E’ curioso notare come venissero sempre aiutati senza compenso dai civili mentre a quelli ospitati in strutture religiose venisse spesso chiesto un pagamento, come dichiarato dai superstiti.
Gli ebrei romani erano relativamente tranquilli avendo versato, come da accordi del settembre 1943 fra Herbert Kappler (comandante della Gestapo, del SD e della SiPo servizio di sicurezza e polizia di sicurezza di Roma) e il presidente della comunità israelitica Ugo Foà, 50 kg di oro per la loro salvezza.
Fotografia di un rastrellamento (probabilmente non di Roma)
L’oro fu spedito in Germania a Ernst Kaltenbrunner (successore di Heydrich a capo delle RSHA, il Reichssicherheitshauptamt o Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich) che non aveva alcuna intenzione di risparmiare gli ebrei. La cassa con i 50,3 kg di oro fu poi ritrovata intatta nel suo ufficio.
Il 14 ottobre i tedeschi avevano sequestrato i documenti del Collegio Rabbinico di Roma e fra questi si trovavano i nomi e gli indirizzi degli ebrei romani, e fu quindi gioco facile scovarli e arrestarli due giorni dopo approfittando del sabato ebraico, giorno di festa, architettando un’incursione quando erano ancora tutti a dormire.
Il 15 ottobre Mussolini aveva ricevuto la visita di Karl Wolff , comandante delle SS in Italia, e Friedrich Moellhausen, console generale del Reich accompagnati da Guido Buffarini Guidi , ministro dell’interno della RSI. Lo scopo dell’incontro non è noto ma si può presumere che fosse per avvisarlo dell’intervento del giorno seguente a Roma o che comunque Mussolini ne sia stato informato.
Quindi sapeva? Probabilmente sì. Era d’accordo? Probabilmente no. Avrebbe potuto fare qualcosa? Probabilmente no, qualunque fosse il suo parere non aveva modo di opporsi a una simile decisione, si può ritenere che ne sia stato informato in anticipo per “cortesia”, e niente di più.
Il 16 ottobre iniziò la retata su ordini di Kappler e di Theodor Dannecker, responsabile della soluzione ebraica a Roma nel 1943. Fu come sempre questione di fortuna, non c’erano italiani fra i militari che dovevano effettuare il rastrellamento poiché venivano giudicati inaffidabili, ma anche fra i tedeschi c’erano quelli ligi alle liste che arrestavano scrupolosamente solo chi era segnato, e c’erano gli zelanti che portavano via tutti, indistintamente.
Rastrellamento a Roma:
Il 18 ottobre partì da Roma il treno con i 1.022 ebrei arrestati durante l’incursione con destinazione Auschwitz.
Il 16 ottobre il Papa Pio XII era stato informato della retata. Dopo aver contattato l’ambasciatore tedesco e averlo pregato di “intervenire in favore di quei poveretti” per “evitare che il Vaticano dovesse schierarsi” ed aver chiesto la liberazione degli ebrei battezzati, che non venne comunque concessa, il Vaticano si limitò a chiedere di non effettuare ulteriori arresti per evitare che il Papa dovesse “prendere posizione personalmente”.
Il 25 ottobre Pio XII chiese ai religiosi di accogliere gli ebrei e di proteggerli. I chierici naturalmente lo fecero come del resto alcuni di loro avevano già fatto dietro iniziativa personale, ma il treno del 18 ottobre era già arrivato a Auschwitz il 22 e probabilmente buona parte dei 1022 ebrei era già polvere nel vento.
Nonostante le richieste del Papa gli arresti continuarono, senza interventi della Santa Sede e, se arrestare gli ebrei durante l’incursione fu quasi un gioco, per l’arresto degli altri 747 servirono degli “aiutini”.
Il biglietto consegnato alle famiglie ebree il 16 ottobre 1943:
I ferventi fascisti o nazisti denunciarono per ideologia ma c’è chi fece di peggio e denunciò per ricompensa:
Portieri che denunciarono gli abitanti del palazzo, chi denunciò i vicini, i conoscenti, perfino ex fidanzati/e che denunciarono i loro ex
C’è chi denunciò per odio personale, per risentimento, per vendicarsi di uno sgarbo ma la maggior parte lo fece per tornaconto economico.
Fra i delatori ci fu anche una donna ebrea, Celeste Di Porto, detta la “Stella di Piazza Giudia” per la sua bellezza, oggi piazza Giudia si chiama Piazza delle Cinque Scuole. Molto chiacchierata per il suo comportamento spregiudicato per l’epoca, dopo l’8 settembre 1943 per proteggere la sua vita e per denaro collaborò attivamente con i tedeschi nella segnalazione di ebrei.
Celeste di Porto:
Le venne dato il soprannome di “Pantera Nera”. Nonostante avesse solo 18 anni a lei si deve l’arresto di 26 ebrei dei quali conosceva i nascondigli fra i quali suo cugino e suo cognato e Lazzaro Anticoli, un pugile ebreo, che durante la detenzione nella cella 306 di Regina Coeli lasciò scritto sul muro:
Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste. Arivendicatemi
Lazzaro Anticoli:
Nelle retate finì anche il fratello di Celeste che lei riscattò facendolo sostituire proprio da Anticoli nelle liste degli ostaggi da uccidere nelle Fosse Ardeatine. Scappata da Roma dopo l’arrivo degli Alleati per timore della vendetta degli ebrei romani, si rifugiò a Napoli, qui venne riconosciuta e gli statunitensi riuscirono salvarla dal linciaggio, ma venne arrestata e condannata a 12 anni per le sua attività di collaborazionismo. Ne scontò solo 7 grazie all’amnistia.
Riguardo la storia di Celeste di Porto trovate il documentario “Celeste di Porto: la Pantera nera del Ghetto” su Raiplay.
Non era un problema solo romano, in tutta Italia (ed Europa) ci furono delatori. Furono spesso civili senza scrupoli, ma in Italia nacquero vere e proprie bande specializzate nella caccia all’ebreo, alcune per ideologia, altre per solo per motivi economici. Un uomo ebreo valeva 5000 lire, una donna 3000, un bambino 1500 (il listino era stabilito da Kappler) e non esitavano a torturare ebrei e membri della resistenza per ottenere informazioni e per poterne catturare altri.La più famosa fu la banda Koch di via Tasso ma ce ne furono molte altre.
Fino all’8 settembre gli ebrei venivano segnalati per “preservare la razza” ma gli ebrei non rischiavano la vita, le leggi razziali italiane del 1938 non contemplavano l’eliminazione, limitavano solo i diritti civili ed è per questo che il numero di vittime totali italiane fu molto limitato rispetto a quello di altri paesi europei.
Lello Di Segni, l’ultimo sopravvissuto del rastellamento mostra la sua casa:
Nel 1942 Himmler aveva prospettato a Mussolini la soluzione finale, il Duce aveva fatto orecchie da mercante e non era successo nulla in Italia, ma dopo l’ 8 settembre e con la Repubblica Sociale, in teoria fascista ma in pratica in mano ai tedeschi, la situazione cambiò radicalmente e con il Manifesto di Verona, che dichiarava gli ebrei stranieri e nemici, da ottobre/novembre 1943 iniziarono le deportazioni in base alle leggi razziali del Reich.
Bisogna sfatare almeno in parte il mito di italiani brava gente, prendendo a prestito il titolo del film del 1964 di Giuseppe De Santis. Erano bravi quanto gli altri, in maggioranza non erano antisemiti, ma la nota “furbizia” italiana, non pregio ma notevole difetto, arrivava a livelli di crudeltà quasi senza pari.
Ci furono delatori che intascarono 3 volte un compenso per la stessa persona, dai tedeschi alla prima denuncia, dalla famiglia della vittima, sfruttando la loro buona fede e la disperazione, sostenendo di poter liberare il loro caro e intascando oro e denaro e dopo averlo fatto fuggire e nascondere lo denunciavano nuovamente ai tedeschi per un’altra ricompensa.
Alcuni si spacciarono per avvocati, sostenendo di avere agganci con i tedeschi e poter, dietro pagamento, proteggere e far fuggire i familiari degli arrestati per sapere dove si nascondevano o addirittura spacciandosi per ebrei con un congiunto moribondo e arrivare a farsi indicare dove era nascosto un rabbino per stanarlo con la scusa dell’ultima unzione.
Non c’è da stupirsi che i delatori riuscissero nel loro intento, spesso erano conosciuti o avevano conoscenze comuni, la paura e la disperazione abbassavano il livello di guardia degli ebrei.
Dopo la fine della guerra la Comunità ebraica cominciò a raccogliere dati e informazioni dai superstiti e cominciarono ad affiorare le figure dei delatori con tutto l’orrore del caso.
Gli elenchi relativi alla città di Roma sono consultabili presso gli uffici della Comunità Ebraica Romana (ma solo dagli studiosi). Ci sono nomi e cognomi di quelli che poterono essere identificati, alcuni furono giudicati, altri purtroppo no, ma se ne ricava un quadro sfaccettato rispetto a quello che la storiografia mediatica post-bellica ci ha sempre riportato, e che non ci fa onore.
Per chi vuole approfondire: “Gli specialisti dell’odio” – di Amedeo Osti Guerrazzi Ed. Giuntina. “Stella di Piazza Giudia” – di Giuseppe Pederiali, romanzo basato sulla vicenda di Celeste Di Porto.