Non Personaggio storico e donna icona del suo tempo. Testimone di tradizione italiana (figlia di Lorenzo II de’ Medici, duca d’Urbino) e soprattutto francese (regina consorte di Enrico II di Valois e, poi, regina madre di tre futuri sovrani della nazione).

Caterina de’ Medici è stata tramandata alla memoria collettiva rivestita da una lugubre aurea nera. Come se questo fosse anche il colore della sua anima e della sua natura mortale. Si è parlato di lei in molte serie tv – tra le tante “Reign” – e anche in questo caso si assiste alla rappresentazione di una donna spietata, crudele e mossa da sincera devozione e commozione solo in alcune e sporadiche circostanze.
I grandi cronisti della storia hanno scattato una fotografia ben precisa di Caterina nei secoli: despota, regina assolutistica e machiavellica.
Il vero male, quello puro e incarnato

Anche le rappresentazioni televisive ci fanno conoscere una donna senza alcun freno, avvezza alle arti magiche e ai sortilegi. Una regina incapace di amare e pronta a dimostrare il suo odio, quello viscerale e che conduce a una sola destinazione: la morte.
Complice di questa rappresentazione è anche la relazione che ha intrattenuto, per tutta la vita, con il famoso Nostradamus e con altri maghi, soprattutto italiani.
Una donna coinvolta in intrighi, cospirazioni e ben disposta a rimettere le sue sorti in veleni e amuleti magici, nonostante la fervente fede cattolica. Una moglie arrabbiata e delusa, rancorosa e ostile: suo marito le ha preferito, per tutta la vita e fino alla fine dei suoi giorni, un’amante.

La moda comune dei sovrani dell’epoca non si discosta di molto da questo resoconto. Ai sovrani spettava di diritto avere delle amanti, delle vere e proprie concubine che si prendevano cura dei bisogni di chi avvertiva il peso della corona, degli impegni e delle questioni politiche.
Ma Enrico II di Valois aveva una favorita, riconosciuta da tutti, presentata al popolo e alla nazione come l’unica donna che gli aveva rubato il cuore, la mente e il corpo: Diana di Poitiers.

Una donna diversa da Caterina, molto abile nel guadagnarsi i favori del suo re. Caterina, in quanto regina consorte, fece suo soprattutto un dovere: mettere al mondo una cospicua discendenza. Ma anche in questo caso, l’ennesima beffa: fu Diana a occuparsi dell’educazione dei suoi figli. Lo fece come dovrebbe fare una madre. E quei figli una madre l’avevano.
Che cosa restava a quella donna? Che cosa aveva Caterina da offrire a un marito che le ha preferito per tutta la vita una favorita?

Caterina offrì la sua devozione. Ha amato il suo re per tutta la sua vita. Anche se vessata, anche se eterna seconda. Ha amato i suoi figli allo stesso modo, con coraggio e ostinazione: erano il frutto di quel suo amore tormentato e brutale.
Nel 1559, per rispettare un accordo politico, Enrico diede in sposa la figlia Elisabetta a Filippo II di Spagna. Per celebrare l’unione e la pace ritrovata decise di partecipare a un torneo. Era vestito di nero e di bianco: i colori della sua dama, l’amata Diana.

Un affronto per Caterina, l’ennesima sfida a cui avrebbe dovuto assistere. Un’altra freccia da schivare e pubblicamente esposta. Il sovrano partecipò alla giostra e nello scontro diretto con un nobile fu trafitto in pieno volto da una lancia.

Fu ucciso da un’infezione all’occhio che spinse al trono il giovane delfino di Francia, Francesco II di Valois, e costrinse Caterina a dire addio all’uomo che aveva sposato e che in fondo amava, anche se non corrisposta.

Infatti, nonostante tutto, nonostante l’intricata passione che legò Enrico a Diana, Caterina restò al capezzale del re fino al suo ultimo respiro. Era una donna intelligente, dotata di uno squisito senso dell’umorismo. Era dotta, brillante e la sua natura vivace fece breccia nel potente suocero – Francesco I – che la volle come moglie per suo figlio.

Odiata da molti, osteggiata da tantissimi e rispettata dagli uomini di potere dell’epoca. Ha partecipato alla storia ricoprendo un ruolo di prestigio, ma quei giorni furono i più bui e vuoti della sua esistenza.
Ha subito i maltrattamenti di suo marito, le sue vessazioni pubbliche. Era un re egocentrico e non amava sua moglie. Nonostante questo, nonostante lo spettro di un’altra donna – sempre presente nella sua vita coniugale – Caterina è rimasta accanto a suo marito fino al sopraggiungere della morte.

Lo amava profondamente, in modo autodistruttivo e senza vergognarsene. Per questo, poco dopo la morte del suo re, scelse un nuovo vessillo: una lancia spezzata e una frase latina, portatrice di tormento e disperazione.
“Lacrymae hinc, hinc dolor.” “Da qui vengono le mie lacrime e il mio dolore.”
Henricvs II, gallor, rex, invictis et catharina eivs vxor. Hinc dolor hinc lacrymae, 1559 *
Diana non riuscì a spezzare l’amore di Caterina, ma ci riuscì quella lancia che – come un gioco beffardo del destino – trascinò l’immagine di Enrico via da quegli occhi che lo avevano amato.
Caterina è stata raccontata da molti e tantissimi hanno contribuito a costruire la sua immagine di sovrana pronta a schiacciare le persone come fossero formiche. Complice di questa rappresentazione storica sono gli eventi francesi di quegli anni e il suo ruolo da protagonista nella cosiddetta notte di San Bartolomeo.

Ma negli anni ha ricevuto la dovuta riabilitazione: era una donna appassionata, devota alla sua famiglia e squisitamente connessa all’arte e alla cultura. Una donna che ha lottato per conquistare il suo posto alla guida di una potente nazione ma che non è mai riuscita a presidiare l’unica posizione a cui ambiva davvero: il cuore di suo marito.

Si dice abbia portato in Francia la forchetta (da molti resoconti pare che i francesi, prima dell’arrivo della sovrana italiana, mangiassero con le mani) e persino il primo profumo (oggi la Francia vanta i “nasi” più delicati del mondo), ma ciò che sappiamo con certezza è che ha amato come poteva. Dall’inizio alla fine, senza arrendersi nemmeno per un secondo.