Cartoni Ungheresi e Film Cechi: quando la TV dei Ragazzi veniva dall’Est

Chi è stato bambino mezzo secolo fa, se ha buona memoria, conserva il ricordo di una televisione intelligente e di grande buon gusto, una televisione inimmaginabile oggi che la dittatura dell’audience e degli sponsor ha ininterrottamente livellato verso il basso la qualità delle trasmissioni. Dalle origini, fino ai tardi anni ’70, la Rai, che deteneva il monopolio della Tv in Italia (anche se in molte aree del Nord Italia si riuscivano a captare anche trasmissioni della Tv svizzera italiana e dell’emittente jugoslava in lingua italiana, Tele Capodistria), era governata con un pugno di ferro implacabile per quanto concerne la censura: questo, da un lato escludeva molti artisti di valore dalla sua ribalta; ma, al tempo stesso, ne teneva fuori anche i cialtroni che ne sarebbero diventati padroni successivamente.

Soprattutto le trasmissioni per bambini, sebbene di solito brevi e limitate alla fascia oraria 17,00-18,00 dal lunedì al venerdì e 13,00-13,30 nei soli martedì e sabato, erano curatissime e affidate a personaggi di professionalità e spessore, che in seguito avrebbero avuto carriere brillanti anche se non sempre famosissime: ad esempio, l’attrice Lucia Poli, sorella del più noto Paolo, che nel 1972-73 condusse un piacevolissimo gioco a premi per bambini delle elementari (“Ma che cos’è questa cosa?”); o il pedagogista Marco Danè, autore e conduttore di celebri giochi culturali come “Giocagiò” (primi anni ’70) e “Paroliamo”(primi anni ’80), nonché di ottimi contenitori come “Tandem”, che tra l’altro fu il trampolino di lancio del simpaticissimo (già allora) Fabrizio Frizzi. Anche se ormai nessuno se ne ricorda, il fratello di Marco Danè, Roberto, illustre produttore discografico (di De Andrè, Fiorella Mannoia e tanti altri), nel 1972 fu il conduttore di “Gulp!”, il primo programma a proporre i fumetti in Tv, antesignano del più celebre “Supergulp!” di qualche anno dopo.

Era una televisione di prima scelta, che andava continuamente in cerca sia di autori capaci di inventare format originali e brillanti, sia di programmi stranieri che, compatibilmente con il non altissimo budget di allora (la pubblicità in Tv era pochissima e l’evasione del canone altissima, oltre al fatto che non tutte le famiglie possedevano l’apparecchio), valesse la pena di acquistare e proporre.

La Rai di allora, quindi, anche se governata da un partito (la DC) fortemente filo-americano, non di rado guardava a Est per procurarsi buonissimi prodotti a basso costo: una fortuna enorme per gli spettatori, specie per i bambini, che ebbero modo di conoscere degli artisti di notevole valore, anche se oggi noti quasi esclusivamente alla critica specializzata.

Per quasi tutta la prima metà degli anni ’70, l’appuntamento del sabato a ora di pranzo era con le comiche proposte da un programma che si intitolava appunto “Oggi le comiche” e che proponeva brevi ed esilaranti film muti girati a Hollywood prima del 1928: tra gli interpreti, a volte, c’erano nomi leggendari come Charlie Chaplin o la coppia Laurel-Hardy; ma più spesso si trovavano caratteristi meno noti, come lo strabico e irritabile Ben Turpin e lo sfortunato ciccione Roscoe “Fatty” Arbuckle, morto alcolizzato dopo che la sua carriera fu stroncata sul più bello da uno scandalo quasi completamente inventato in seguito a un’accusa di omicidio.

A condurre il programma era un famoso attore di teatro e tv, Renzo Palmer, di cui però si sentiva solo la voce. Il martedì, nello stesso periodo, andava invece in onda una serie di cartoni animati prodotti in Ungheria, intitolata “Gustavo” (in originale, “Gustav”), realizzata dalla Pannonia Film Studio in 120 episodi tra il 1961 e il 1977. Si trattava di brevissime storie (durata media 6-7 minuti: in genere ne andavano in onda 3 o 4 una dietro l’altra) incentrate sulle disavventure spesso paradossali o surreali di un uomo perseguitato dalla sua mediocrità e dalla sfiga, Gustav per l’appunto, una figura che assomigliava moltissimo ai vari Fracchia e Fantozzi di Paolo Villaggio.

Una caratteristica particolarmente esilarante era la lingua incomprensibile, ma lo stesso incredibilmente espressiva (un vero “grammelot”: del genere di quello di “Pingu”, per intenderci) parlata da lui e dagli altri personaggi. Divertentissima era anche la sigla, una sorta di improbabile “swing” composto da un tale dal nome indimenticabile, Zsolt Petho.

Negli anni in cui fu prodotta, la serie di “Gustavo” fu diffusa in tutto il mondo, perfino negli Usa, ed è ancora oggi considerata una pietra miliare nella storia dell’animazione. Ripensando a quel tempo, un ricordo comune riguarda quanto fossero preoccupate le mamme in quelle due mattine ogni settimana, quando i bambini uscivano da scuola (alle elementari statali, allora, si entrava alle 8,30 e si usciva alle 12,30) e si fiondavano immediatamente per strada, facendosi tutto il percorso fino a casa in una sola corsa a perdifiato per non perdersi neanche un minuto delle comiche o dei cartoni, visto anche che in quel periodo la Tv trasmetteva pochissimo sia delle une sia degli altri.

Fortunatamente, allora, di automobili in circolazione ce n’erano molte meno di adesso e, per un certo periodo, gli effetti della crisi petrolifera del 1973-74 (il famoso periodo dell’Austerity) indussero molta gente a lasciare la macchina a casa e a usare la bicicletta o i mezzi pubblici per spostarsi.

Dall’Est, però, non arrivò solo “Gustavo”. Nel 1975-76, quando la Rai cominciava a vedersela con la concorrenza delle prime Tv private (che all’epoca si chiamavano, romanticamente, “Tv libere”), qualche suo dirigente particolarmente lungimirante e acculturato si fece venire l’idea di proporre al pubblico dei ragazzi alcuni film d’animazione firmati dal ceco (allora si diceva cecoslovacco) Jiri Trnka.

Per dire che cosa rappresentasse una simile iniziativa a livello culturale, è il caso di raccontare in dettaglio la storia di un grande artista che oggi, purtroppo, è quasi dimenticato.

Trnka, nato nel 1912 a Pilsen, aveva cominciato la sua carriera come burattinaio ed era conosciuto soprattutto come illustratore, in particolare di fiabe classiche (in tale veste, nel 1968, ricevette il premio internazionale Andersen, che rappresenta l’equivalente il premio Nobel per la letteratura per l’infanzia, tant’è vero che viene anche definito “il piccolo Nobel”: si assegna dal 1956 nelle sezioni “autori” e “illustratori” e l’unico a vincerlo tra gli italiani è stato, nella sezione “autori” per il 1970, il più importante di tutti i tempi: Gianni Rodari). Trnka cominciò a dedicarsi all’animazione cinematografica con normali cortometraggi 2D (i cartoni animati classici), tra i quali “Animali e briganti”, che nel 1946 ottenne il primo premio per la categoria nella prima edizione del festival cinematografico di Cannes. Tuttavia, questo mezzo espressivo lo lasciava insoddisfatto e allora pensò di sfruttare la sua conoscenza di marionette e burattini per inventare una forma di animazione diversa. Con una incredibile pazienza, scattando come una fotografia ogni singolo fotogramma man mano che i burattini venivano messi in posa e mossi secondo le esigenze di copione, realizzò il suo primo film d’animazione in 3D, “Vecchie leggende ceche”, un lungometraggio di 91′ con il quale nel 1953 vinse il premio di categoria alla mostra di Venezia. Da quel momento, Trnka lavorò quasi esclusivamente con i burattini.

Ugualmente premiatissimo fu “Il buon soldato Sc’vejk” (1955), tratto da uno dei romanzi più celebri della letteratura in lingua ceca, una satira antimilitarista ambientata nella Grande Guerra, opera dell’umorista praghese Jaroslav Hasek.

Ma i film d’animazione di Trnka, apprezzati e premiati in tutto il mondo, sono tanti. Tra questi, spiccano i due che la Rai propose al suo pubblico di bambini e ragazzi di allora, “L’usignolo dell’imperatore” (1949) e “Il principe Bajaja” (1950), due piccoli capolavori da lasciare letteralmente a bocca aperta.

Un artista di questa levatura, che aveva firmato all’inizio della carriera dei cortometraggi fortemente antinazisti, non poteva sentirsi a proprio agio sotto una dittatura spietata come quella che si stava instaurando in Cecoslovacchia alla fine degli anni ’60. Nella sua ultima opera, il corto “Ruka” (“La mano”), risalente al 1965, trattò in modo fiabesco ma con esplicite allegorie delle limitazioni cui andava soggetta la creatività degli artisti sotto un regime autoritario. Si è detto addirittura che con quest’opera Trnka anticipò i temi della “Primavera di Praga”, la liberalizzazione culturale iniziata dal premier Alexander Dubcek nel 1969.

Trnka fu sicuramente partecipe di questo movimento e si oppose all’invasione militare sovietica che pose fine a questa effimera fase di libertà mettendo il potere in mano al premier fantoccio Gustav Husak, in realtà manovrato da Mosca. Ma non poté fare molto, perché morì improvvisamente d’infarto nel dicembre dello stesso anno. Subito dopo la sua scomparsa, tutte le copie di “Ruka” presenti in Cecoslovacchia furono sequestrate e la sua visione fu vietata per 20 anni, ossia fino a quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, la Cecoslovacchia si divise pacificamente in Repubblica Ceca e Slovacchia e il presidente ceco Vaclav Havel, un intellettuale perseguitato dal precedente regime, abrogò tutte le censure politiche del passato.


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