È un pomeriggio caldo, a Medellin, in Colombia, il 24 giugno 1935. All’aeroporto “Olaya Herrera”, due velivoli Ford 5-AT (un trimotore usato per i trasporti passeggeri) si apprestano a partire. Alle 14:51, uno dei due, appartenente alla compagnia SACO (colombiana) e registrato con la matricola F-31, si avvia sulla pista di decollo ma, anziché prendere il volo, a un certo punto sbanda lateralmente e colpisce l’altro, appartenente alla compagnia SCADTA (a capitale misto tedesco e colombiano) e registrato con la matricola C-31, ancora impegnato nel rullaggio. Entrambi gli aerei prendono fuoco: muoiono tutte e 7 le persone a bondo del C-31 e 10 delle 13 a bordo dell’F-31.
La tragedia è grave, sia per il numero di vittime sia per le circostanze in cui è maturata, ma non è una notizia da fare necessariamente il giro del mondo. Invece, finisce rapidamente sulle telescriventi di tutte le agenzie giornalistiche. Una delle vittime a bordo dell’F-31 è infatti Carlos Gardel, il “re del tango”, il più famoso cantante sudamericano della sua generazione.
Carlos Gardel in una tipica cartolina d’epoca:
Gardel è nato probabilmente a Tolosa, in Francia, probabilmente l’11 dicembre 1887. L’uso dei due “probabilmente” è d’obbligo e introduce già alla tipologia del personaggio, caratterizzata da una impressionante quantità di leggende e segreti. Sebbene sia cittadino argentino, da giovane Gardel presenta dei documenti da cui risulta che è nato a Tacuarembo, in Uruguay, per evitare di prestare il servizio militare. Ma i documenti, forse, sono contraffatti, e l’unica cosa certa è che Gardel è arrivato in Argentina a due anni, insieme alla madre Berthe Gardes. Il padre manca, perché la relazione tra i genitori è di tipo adulterino, ma dovrebbe chiamarsi Paul Laserre ed essere francese.
“El morocho de Abasto” (il moretto di Abasto, quartiere di Buenos Aires in cui è cresciuto), chiamato anche “El Francesito”, rivela presto un notevole talento musicale ma, per potersi mettere alla prova, è costretto a cercarsi, a 19 anni, appena lasciata la scuola, un lavoro nell’ambito teatrale, come macchinista. Forse (anche qui le notizie sono incerte) a scoprirlo è un cantante di successo, Arturo De Nava, che gli insegna a trarre il meglio dalla sua virile voce baritonale e a suonare la chitarra. Nel 1911 forma un duo con un altro cantante, José Razzano, e l’anno dopo il gruppo diventa un trio con l’arrivo del chitarrista Francisco Martino. Arrivano anche i primi ingaggi e le prime incisioni, per la casa discografica Taggini, di canzoni popolari argentine.
Gardel non è solo un importante cantante di tango argentino:
Del tango argentino è addirittura l’inventore
E anche questa invenzione è avvolta nella leggenda. L’origine starebbe in parte nel tanguillo (o tango flamenco) e nel fandango andaluso di origine araba, entrambi importati in Sudamerica dagli spagnoli, in particolare nella varietà di fandango chiamata tango gitano, che si ballava a distanza ma in cui la dama assumeva pose parecchio sensuali; ma soprattutto in danze tipiche dell’area della Pampa o di quella rioplatense, come la milonga e soprattutto l’habanera cubana. Il tango argentino prende forma più o meno tra il 1880 e il 1920 (cosiddetto “periodo della Vecchia Guardia”) ma Gardel darà un contributo determinante a codificarne la struttura. E qui arriva subito un’altra, suggestiva leggenda, che secondo i musicologi è perfettamente verosimile: come modello di pezzo per il tango argentino, Gardel avrebbe preso una canzone napoletana, ascoltata dagli emigranti, “Comme se canta a Napule”, scritta da E. A. Mario (lo stesso autore di successi come “La leggenda del Piave”, “Balocchi e profumi” e “Tammurriata nera”) e pubblicata del 1911.
Sotto, la folla per il funerale di Gardel:
I dischi e i concerti (a volte piuttosto movimentati: nel 1915, Gardel si becca pure un proiettile vagante al petto e dovrà restare fermo per alcuni mesi) hanno un tale successo da portare Gardel nei più importanti teatri prima del Sudamerica e poi del mondo: in questo modo, gli appassionati di musica e ballo vengono a conoscenza di questa singolare forma musicale, in cui si balla quasi sempre al ritmo di canzoni eseguite in “lunfardo”.
Ma cos’è, esattamente, il lunfardo?
Uno specialista risponderebbe: il lunfardo è un argot. E siamo punto e daccapo. Allora vediamo di essere più chiari.
Un “argot” è un registro linguistico, qualcosa di più complesso di un gergo o di uno slang, tipico di un particolare gruppo sociale, nato con lo scopo di escludere dalla comunicazione tutti quelli che non appartengono a quel gruppo. In altri termini, è un caratteristico linguaggio in codice della malavita. Accidentalmente, però, capita che alla sue evoluzione contribuiscano persone di genio, capaci di renderlo una lingua ricca e suggestiva, amata dagli scrittori che se ne servono per far parlare i loro personaggi (in Francia, autori come Villon, Hugo, Balzac, Zola e Céline ne fanno ampio uso).
Un assaggio degli argot italiani si può avere leggendo il libro “I gerghi della malavita dal ‘400 a oggi” dello scrittore torinese Ernesto Ferrero.
Il lunfardo dunque è un argot spagnolo della regione rioplatense, pieno di contaminazioni italiane e perfino africane, e a dargli dignità letteraria è stato (e non poteva essere altrimenti!) un “poeta maledetto” morto tisico a 29 anni nel 1912, Evaristo Carriego, celebrato addirittura da uno dei maggiori scrittori del ‘900 (nonché uno di quelli dal gusto più difficile), ossia Jorge Luis Borges, con una biografia romanzata. I versi di Carriego diventano i testi dei primi famosi tanghi e da lì parte la gara a chi saprà emularlo meglio.
Sotto Evaristo Carriego:
Intanto Gardel è passato alla prestigiosa casa discografica Glucksmann ed è stato ingaggiato come attore per dei film (paradossalmente, film muti). Però, per poter recitare, è costretto a dimagrire, con una dura disciplina di dieta e palestra, da 120 a 75 kg (è alto 171 cm). Poi reciterà anche in diversi film sonori, ovviamente spesso film musicali.
Possiamo dire che, da questo momento (1917) in poi, la sua vita sarà un susseguirsi di successi, fino al fatale incidente. Ma, prima di trattare in dettaglio dell’incidente, che è un po’ il maggiore mistero della vita di Gardel, occorre citare un’altra leggenda, molto suggestiva.
Gardel faceva sempre il pieno di pubblico nei suoi concerti, ma aveva fama di essere uno jettatore. Si diceva infatti che la sfortuna perseguitasse chi lo aveva ascoltato in una esibizione privata.
La sera del 29 luglio 1930, a Montevideo, Gardel si trova nello stesso hotel in cui alloggia la nazionale di calcio argentina, di cui si dice che sia tifosissimo. Gli argentini, il giorno seguente, devono affrontare l’Uruguay nella finale del primo campionato mondiale di calcio. I giocatori e i dirigenti lo riconoscono e lo invitano a unirsi al loro tavolo per la cena. Dopo le portate, si fa qualche brindisi e, a questo punto, arrivano le richieste di cantare qualche pezzo. Gardel non si fa pregare e canta finché non si fa l’ora di coricarsi. Il giorno dopo, l’Argentina perde a sorpresa la finale per 4-2:
Ancora una volta, la sfiga di Gardel ha fatto centro
Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, tra il serio e il faceto, rifacendosi a quei vecchi documenti che lo volevano nato a Tacuarembo, afferma che questa circostanza è la prova che Gardel era nato davvero in Uruguay: e, quella sera, cantò apposta per portare sfortuna agli argentini.
E veniamo finalmente all’incidente
Il rapporto ufficiale delle autorità colombiane lo attribuisce a due fattori: uno, le piccole dimensioni dell’aeroporto; due, delle violente raffiche di vento soffiate all’improvviso, un fenomeno caratteristico della località. Molti giornalisti sudamericani, però, hanno trovato queste spiegazioni insufficienti e si sono messi a intervistare testimoni e superstiti, ottenendo delle dichiarazioni al limite dell’incredibile.
Ne vengono fuori diversi scenari, uno più romanzesco dell’altro.
Uno dei superstiti dell’F-31, José Maria Aguilar, nel 1936, parlò espressamente di rivalità tra i due piloti, Ernesto Samper Mendoza della SACO e Hans Ulrich Thom della SCADTA. Mendoza avrebbe diretto intenzionalmente il proprio aereo verso quello di Thom per spaventare quest’ultimo, per poi cambiare direzione all’ultimo istante, ma il velivolo gli sarebbe sfuggito di mano.
Sotto, un filmato mostra l’F-31 SACO coinvolto nell’incidente:
Una biografa di Gardel, Isabel del Valle, diversi anni dopo, mentre scriveva un libro uscito nel 1990, intervistò di nuovo Aguilar, e questo cambiò versione: nei giorni precedenti c’erano stati forti contrasti tra Gardel e il suo paroliere-manager Alfredo Le Pera, che si era dimostrato piuttosto inetto nell’organizzazione di alcuni importanti eventi. I due avrebbero discusso violentemente a bordo dell’aereo, insultandosi, finché Le Pera avrebbe estratto una pistola e sparato verso Gardel, mancandolo e colpendo invece il pilota Mendoza, che avrebbe perso così il controllo dell’aereo.
Sotto, Alfredo le Pera, a destra:
C’è poi una terza versione di Aguilar, datata 1939, secondo la quale l’aereo sarebbe stato reso incontrollabile soprattutto dal peso eccessivo del carico. In questa versione, Aguilar fornisce anche dei dettagli sulle ferite riportate da Gardel, che sono smentiti dalle risultanze dell’autopsia.
Ora, quale sarà quella giusta, ammesso che ce ne sia una davvero giusta?
L’esperto aeronautico argentino Terencio Spaini, che ha dedicato un lungo studio al caso, ritiene che le spiegazioni dell’inchiesta ufficiale rappresentino delle concause dell’incidente ma che la versione di Aguilar del 1936 sia verosimile, perché effettivamente esisteva una forte rivalità tra i piloti della SACO e della SCADTA e i comportamenti rischiosi erano all’ordine del giorno.
Invece, Spaini trova inverosimile l’ipotesi dell’incidente provocato dal carico eccessivo. Spaini, citando l’autopsia compiuta dal dottor Tamayo Leyos, conferma che il cadavere del pilota Mendoza fu rinvenuto con un proiettile di pistola nel cranio: ma tale proiettile era penetrato dal volto, quindi non poteva provenire dalla cabina passeggeri, che era alle spalle.
A proposito di questa possibilità, esiste un’altra versione, opera dello scrittore colombiano Mario Sarmiento Vargas, che scrisse un libro su Gardel nel 1945 (la bibliografia su Gardel, come si può intuire, è pressoché sterminata): il co-pilota del C-31, Wilhelm Furts, si sarebbe sparato vedendo l’F-31 che gli puntava addosso, preferendo una morte istantanea a quella orribile in un rogo. Secondo Spaini, in realtà, Furts estrasse la pistola ma sparò verso l’F-31, colpendo Mendoza e rendendogli impossibile la svolta con cui aveva intenzione di evitare il C-31 all’ultimo istante.
Lo scrittore uruguiano Federico Silva, per un libro su Gardel uscito nel 1971, ascoltò un ex dirigente della SCADTA, Gilberto Lopez, e questo gli riferì che il pilota Mendoza della SACO era noto per il suo modo di fare irresponsabile, tanto che tutti quelli che lavoravano all’aeroporto “Olaya Herrera” si aspettavano che prima o poi provocasse un incidente.
Una delle più incredibili risultanze dell’inchiesta fu che l’F-31 andò addosso al C-31 con una traiettoria rettilinea e non cercò nemmeno di frenare. Questo deporrebbe a favore della manovra intenzionale da parte di Mendoza.
Nel 1984, lo scrittore Horacio Ferrer intervistò il giornalista Antonio Henao Gaviria, nato nel 1903, ultimo testimone in vita dei fatti. Gaviria, che partecipò ai soccorsi salvando il segretario di Gardel, José Playa (gli scaricò addosso il contenuto di un estintore mentre l’uomo era avvolto dalle fiamme), ricordava invece che l’F-31 si era avviato lungo la pista ma, dopo circa 200 metri, aveva deviato bruscamente verso il C-31. Anche Gaviria confermò la rivalità tra le due compagnie aeree e in particolare tra i due piloti Mendoza e Thom.
Hans Ulrich Thom (1908-1935)
Playa, che aveva riportato gravi ustioni e danni alle mani tali da restare invalido, fu invece intervistato nel 1969 dal giornalista spagnolo Jaime Sureda Prat e raccontò un retroscena che aggiunge un ulteriore tocco di romanzesco alla vicenda.
Gardel non doveva trovarsi lì quel giorno
L’F-31 doveva partire all’alba del 23 giugno da Bogotà per Calì, in modo da attraversare le Ande prima che si formasse la nebbia sulle cime, costringendo l’aereo a salire e quindi a consumare più carburante. Tuttavia, la sera del 22, piloti e passeggeri si erano trattenuti troppo tempo nella hall dell’albergo di Bogotà, bevendo e giocando a poker, fino a fare le ore piccole, e poi non si erano svegliati abbastanza presto per partire in orario. Questo li aveva poi costretti a un viaggio più disagevole e alla sosta a Medellin per fare rifornimento.
Comunque sia andata, dunque, il mistero della morte di Carlos Gardel non è ancora completamente spiegato. Si sa soltanto che è una di quelle storie in cui la realtà sembra superare di gran lunga la fantasia di qualunque scrittore.
Ricardo Ostuni, che ne ha scritto sulla rivista argentina “Club de Tango” nel 1995, conclude dicendo che sicuramente questo è uno dei tanti casi, e nemmeno il più importante, in cui un evento è stato determinato dall’iniziativa di qualche persona folle, allucinata, visionaria, imprudente o nevrotica. E corre un brivido lungo la schiena al pensiero di potersi trovare, senza rendersene conto prima, in qualche situazione simile, un giorno o l’altro.