Curiosa è la storia che lega il più grande drammaturgo del Settecento italiano, Vittorio Alfieri, all’ultimo pretendente al trono di Scozia, il leggendario Bonnie Prince Charlie. Carlo Edoardo Stuart, soprannominato “Bonnie Prince Charlie” per la sua bellezza, figlio di Giacomo III Stuart e di Maria Clementina Sobieska, è ricordato per aver guidato l’insurrezione giacobita del 1745, volta alla restaurazione della sua dinastia sul trono di Gran Bretagna.
Carlo Edoardo ritratto da William Mosman:
L’impresa, che culminò nella disastrosa sconfitta di Culloden, benché fallimentare e non priva di responsabilità personali da parte di Carlo, lo consegnò per sempre alla storia come il simbolo, romantico ed eroico, della ribellione scozzese all’oppressione inglese.
La battaglia di Culloden, olio su tela, David Morier, 1746:
Trascorsa l’iniziale ondata di solidarietà, gli anni dell’esilio di Bonnie Prince Charlie furono amari ed umilianti: osservato a vista dalle spie del Foreign Office inglese, accolto con maggiore o minore simpatia dai paesi europei a seconda delle relazioni diplomatiche intrattenute con Londra, lo Stuart si stabilì infine a Roma, città dove era nato ed in cui il fratello, Enrico di York, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica. La scelta non fu casuale. Frammentata in tanti piccoli regni e priva di un reale peso politico internazionale, la Penisola era infatti il paese che meglio si prestava ad accogliere il “Giovane Pretendente” e le sue aspirazioni, sempre più improbabili, al trono inglese.
Carlo Stuart nel 1745, dipinto di Allan Ramsey:
Nel 1766, alla morte del padre, Bonnie Prince Charlie assunse il nome di Carlo III Stuart, ma preferì esser chiamato “conte d’Albany ” (o d’Albanie, secondo l’ortografia scozzese) durante la permanenza in Italia. Appesantito dagli anni, di temperamento sempre più iroso ed intrattabile, raramente sobrio, il Giovane Pretendente non era più da tempo l’affascinante principe che aveva mietuto consensi e conquistato tanti cuori femminili.
Nel 1771 un evento parve scuotere la sua grigia esistenza, l’inaspettata convocazione da parte di un ministro di Luigi XV di Francia
Carlo si affrettò a partire, illudendosi di poter ottenere un sostegno armato alla sua causa, ma le sue speranze si rivelarono subito vane: la convocazione oltralpe non aveva nulla a che fare con un impegno militare da parte della Francia, dal momento che gli venne invece suggerita in moglie una principessa belga di soli 18 anni, Luisa Stolberg-Gedern, discendente per linea materna da Robert Bruce, sovrano scozzese del XIV secolo. Se la candidata accettò subito di buon grado l’idea del matrimonio, fu Carlo a temporeggiare, gli sembrava infatti azzardato convolare, ormai cinquantenne, a nozze con una donna tanto più giovane di lui; la ragion di stato tuttavia prevalse ed il 17 aprile del 1772 Carlo III Stuart, re d’Inghilterra e d’Irlanda, come venne pomposamente qualificato all’altare, prese in moglie la giovane Luisa.
Carlo Edoardo in età matura, nel 1775 circa, ritratto da Hugh Douglas Hamilton:
Nel 1777 la coppia, delusa dall’accoglienza riservatale da Roma, decise di stabilirsi a Firenze, nel Palazzo di San Clemente, ancora oggi noto come “Palazzo del Pretendente”, una dimora sontuosa, arredata con i cimeli dell’illustre passato degli Stuart. L’accoglienza che Firenze riservò a Carlo non fu tuttavia più amichevole di quella romana: se il Granduca di Toscana aveva subito messo in chiaro che riconosceva come unico re d’Inghilterra Giorgio III di Hannover, il console inglese Horace Mann, dal suo palazzo in Via Santo Spirito, rappresentava il vero polo di attrazione degli intellettuali britannici ed italiani presenti a quel tempo a Firenze.
Stemma del Giovane Pretendente (Stemma dell’Inghilterra) a Palazzo di San Clemente, Firenze. Fotografia si Sailko condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Sempre più deluso ed amareggiato, nel frattempo, l’ormai scomodo Pretendente, o “ Pretendente cronico”, come veniva definito irriverentemente da alcuni, si mostrava ubriaco in pubblico, giungendo ad eccessi, scoppi d’ira e violenze ai danni della moglie e dei domestici. Inutile dire che il matrimonio si stava rivelando disastroso: Carlo non aveva ottenuto né il sospirato erede maschio, né un maggiore riconoscimento sul piano della diplomazia internazionale. L’irrequieta Luisa, non meno delusa, legata ad un principe anziano e senza prospettive, tentava di dare una parvenza di normalità allo scorrere dei giorni animando un cenacolo di intellettuali molto alla moda in città. Una sera si presentò ad una riunione serale di palazzo San Clemente un giovane aristocratico piemontese, il conte Vittorio Alfieri. Fu il colpo di fulmine.
Vittorio Alfieri dipinto da François-Xavier Fabre, Firenze 1793. Dietro questo quadro, Alfieri ricopiò un “sonetto autoritratto” del 1786:
Per lo scrittore, uomo dalla vita avventurosa e dalla natura appassionata, si trattò dell’amore della vita; così descrisse infatti, nella sua celebre autobiografia, l’incontro con Luisa:
“Un dolce foco negli occhi nerissimi accoppiato (che raro addiviene) a candidissima pelle e biondi capelli davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito o conquisto“.
Se gli anni vissuti accanto alla contessa d’Albany furono tormentati, risultarono anche tra i più proficui sotto il profilo della produzione artistica del letterato.
Inevitabilmente, tuttavia, la relazione con Luisa alimentò i pettegolezzi a Firenze e le conseguenti scenate di gelosia da parte del marito tradito, scenate sempre più furiose e disperate sfociate, pare, persino in un tentativo di uxoricidio da parte di Carlo.
Vittorio Alfieri e la contessa d’Albany. Dipinto di François-Xavier Fabre:
I due amanti decisero allora di fuggire insieme. Con la complicità del governo granducale e l’aiuto di un’amica compiacente, la contessa finse di recarsi ad acquistare della biancheria ricamata in un convento di suore, accompagnata dal marito. Al momento convenuto, tuttavia, ella lestamente si riparò in un portone e la notte stessa, scortata dalla polizia granducale, lasciò Firenze in carrozza diretta a Roma, con l’Alfieri.
La moglie separata di Carlo Edoardo, Luisa di Stolberg-Gedern, dipinto di François-Xavier Fabre:
Carlo si astenne dall’inseguire i fuggiaschi e si rinchiuse in un dignitoso silenzio. Unica decisione che si rivelò sensata fu quella di chiedere a Charlotte, la figlia nata da una relazione giovanile con una borghese, di raggiungerlo. La giovane, da lui legittimata col titolo di “Duchessa d’Albany”, portò un po’ di serenità negli ultimi anni di vita dello sfortunato Stuart. Charlotte si rivolgeva al padre con un rispetto che rasentava l’adorazione e lo difese senza riserva contro i detrattori.
Clementina Walkinshaw, amante di Carlo Edoardo dal 1752 fino al 1760, e madre di sua figlia Charlotte Stuart, duchessa di Albany:
In occasione di un soggiorno dell’Alfieri a Firenze, scrisse indignata allo zio, vescovo a Roma: “Ciò che fa ribrezzo è che quest’uomo ha preso qui una casa per quattro mesi, e che di continuo il re trovasi nel caso d’incontrarlo, motivo di dispiacere e d’inquietudine. Per di più questo cattivo arnese pare arrogantissimo ed ha l’aria di beffare il mio augusto genitore”.
Charlotte Stuart, la figlia che Carlo Edoardo ha avuto da Clementina Walkinshaw. Ritratto di Hugh Douglas Hamilton, Scottish National Portrait Gallery
L’augusto genitore si spense a Roma, nel 1788, per un ictus. Si concludeva così, tristemente, la vita dell’ultimo discendente di Maria Stuarda, un personaggio controverso che, dopo aver alimentato speranze, suscitato illusioni e travolto vite in Scozia, usciva dalla storia in modo, ahimè, meno romantico di quanto la sua leggenda abbia voluto tramandare.