Carcasse de boeuf: trafugare carcasse per farci opere d’arte

La carne da macello non è soltanto l’alleata fedele di chi lavora negli scannatoi ma è anche la musa ispiratrice di numerosi artisti figurativi che scelgono, spesso e volentieri, di porla al centro di grandi opere d’arte. Questo perché, oltre a simboleggiare parte della nostra memoria primitiva, è capace di offrire spunti di riflessione veramente preziosi, come sbatterci in faccia quelle che sono le nostre paure più primordiali.

Chaïm Soutine, Carcasse de boeuf, 1925

[Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Vanilla Magazine #2 (luglio 2023), la nostra rivista cartacea bimestrale. Non perderti altri numeri; acquistala subito sul nostro shop. Clicca qui]

Nel corso della storia, molte anime sensibili si sono sentite attratte in maniera morbosa da tale argomento e una di queste è sicuramente Chaïm Soutine, un pittore russo naturalizzato francese e vissuto a Parigi nella prima metà del Novecento.

Nato nel 1893 in una famiglia ebrea di Smilavichi – un piccolo villaggio dell’Impero russo, oggi territorio bielorusso – è uno dei meno celebrati esponenti della famosa École de Paris, la stessa a cui appartengono Amedeo Modigliani, Constantin Brâncusi, Tsuguharu Foujita e Moïse Kisling, giusto per citarne qualcuno. Eppure, nonostante in vita non vi abbia mai aderito ufficialmente, è considerato – vuoi per l’uso di colori vividi ai limiti della psichedelia, vuoi per le pennellate materiche e nervose – uno dei maggiori esponenti dell’Espressionismo. Come per Edward Munch ed Egon Schiele, entrambi suoi contemporanei, la pittura di Soutine è quanto di più tormentato possiate immaginare, il tragico specchio di un’esistenza fatta di povertà, emarginazione, insuccessi e malattia.

Chaïm Soutine (1893-1943) – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia

Rappresentante solitario di quella Generazione Perduta – come fu battezzata da Gertrude Stein, donna di cultura e mecenate degli artisti nella Parigi dell’epoca – che conta tra i suoi numerosi membri mutilati e profughi di guerra, xenofobi e antisemiti, geni letterari e artisti dirompenti, potremmo considerare Soutine come quel genio onnivoro che, nel fagocitare il mondo, restituisce un universo fatto di miseria e privazione: gli stessi tormenti che lo minano nel corpo e, soprattutto, nell’anima.

Quanto all’opera incriminata, Carcasse de boeuf nasce come replica di Bue macellato del sommo Rembrandt – di cui esistono quattro versioni, ognuna leggermente diversa dalle altre – e rappresenta la ciliegina sulla torta del tormento del suo autore.

Rembrandt, Bœuf écorché, 1925 – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia

Un’opera nuda – e cruda, è proprio il caso di dirlo – in cui, come in un vero e proprio sacrificio fatto a a suon di pennelli, il bielorusso denuncia non solo un dolore universale, ma anche un personale male oscuro che lo divora dall’interno.

E poco importa che sia residente nel quartiere dei mattatoi di Parigi, che trafughi la bestia sventrata direttamente da uno di questi e la porti a casa sua, dove la irrora di sangue fresco per ravvivarne il colore .  L’animale macellato che trasuda fetore – tanto da costringere la gendarmeria a sfondare la porta dell’appartamento e sequestrare tutto – per Soutine è sia la musa sia il mezzo volto a esorcizzare quel vuoto incolmabile, che lo accompagna sin dall’infanzia e da cui vuole disperatamente liberarsi.

Gli aneddoti sulla realizzazione dell’opera sono vari, come le interpretazioni che se ne possono dare. Tra i più significativi c’è sicuramente quello riguardante le tecniche di realizzazione, che vedono l’artista all’opera, lo abbiamo detto, mentre tira delle grosse secchiate di sangue fresco sulla carne affinché resti sempre lucente, intanto che la sua assistente scaccia via le mosche con un ventaglio.

Il fatto che, a un certo punto della performance, inizi a iniettare alla bestia formalina liquida per tenere a bada il forte odore di putrefazione, è soltanto un dettaglio; ciò che è veramente importante è il messaggio che riesce a trasmettere, che ha a che fare con la convivenza forzata tra l’uomo e la grande ferita nascosta nella coscienza collettiva, la cui comprensione è possibile soltanto andando oltre la semplice decomposizione della carne.

Chaïm Soutine, Il coniglio, 1923 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Ed è proprio il sangue l’elemento chiave: un nettare prezioso ed eterno, esattamente come il colore che lo riproduce. La figura in se serve solo a veicolare energie, materializzandosi man mano che si osserva il dipinto in una fusione cromatica che esprime un’impellente fame di caos – come a voler divorare tutto per riempire un vuoto spaventoso – mentre le tonalità del rosso dominano la tela, esattamente come il sangue scorre nelle vene.

Nella cultura ebraica, l’animale deve essere abbattuto il più rapidamente possibile, perché ogni sofferenza superflua è considerata peccato. Dopo averlo acquisito da morto sulla sua tela, l’artista – anch’egli ebreo – lo unge con del vero liquido organico per restituirgli una propria personale sacralità – a dispetto di ogni precettistica giudaica, e in particolare quella che vieta ogni rappresentazione di carni sacrificali – esprimendo all’osservatore un caos intenso che, in realtà, è soltanto desiderio di accettazione, di attenzione, di amore.

Chaïm Soutine, Il pollo spennato, 1925 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Se, da un lato, il buon ebreo errante aveva scelto di esiliare il verbo sulla sua tela, dall’altro aveva creato un’oscuro presagio di morte; morte che, per Soutine, sarebbe sopraggiunta giusto vent’anni dopo, ironia della sorte, proprio a causa di una perforazione intestinale. Quel troppo vuoto lo aveva talmente saziato, che aveva finito per ucciderlo.

«Una volta vidi il macellaio del villaggio tagliare il collo di un uccello e svuotarlo del suo sangue. Avrei voluto gridare, ma la sua espressione gioiosa mi bloccò il suono in gola… questo grido, lo sento sempre lì. E quando dipinsi Carcassa di manzo, era sempre di quel grido che volevo liberarmi. Non ci sono ancora riuscito».


Pubblicato

in

da