Benvenuti nel bunker antiaereo n. 87. Numero 87, perché? Perché si tratta dell’ottantasettesimo su 135 ricoveri di fortuna ad uso pubblico allestiti dal Comune di Milano durante la Seconda Guerra Mondiale. Nato il 5 ottobre 1940, il nascondiglio fu realizzato nel seminterrato della scuola elementare Giacomo Leopardi. Capienza 440 persone, affluenza media 350. Segni particolari: museo di se stesso.
L’ambulacro sotterraneo della scuola “leopardiana” è progettato a ferro di cavallo. Se metà di quest’area è occupata dal rifugio, completamente puntellata con delle travi in legno per sostenere il peso delle macerie sovrastanti, l’altra metà è priva di puntellatura e si presenta come uno spazio abbandonato a se stesso e mai ripulito. Fa sicuramente effetto pensare a quando questa finestra sul passato, dotata di riscaldamento, cucina, bagni e docce, fosse un luogo riservato all’insegnamento. Soprattutto durante la guerra quando il pericolo incombeva.
“La mia grande passione sono gli acquedotti antichi. Ai rifugi antiaerei ci sono arrivato un po’ per caso, forse anche perché da dieci anni a questa parte ci stanno conducendo verso un clima di guerra e vorrei terminare la mia carriera con l’elmetto da speleologo e non con quello metallico”. Queste sono le parole di Gianluca Padovan, presidente della federazione nazionale cavità artificiali. Lui, uno dei guru indiscussi della Milano sotterranea, autore di diversi libri, grande cultore di bunker, quello di Mussolini nel cuore della città di Milano non fa eccezione, domenica, con il supporto della professoressa Maria Antonietta Breda, docente del politecnico di Milano, ha messo al servizio di Neiade – realtà milanese specializzata nella promozione dell’arte e della cultura – i suoi studi sui cosiddetti rifugi antiaerei. “Non chiamateli rifugi ma ricoveri perché alle orecchie della gente suona meno sinistro – precisa lo speleologo – Si tratta di una raccomandazione ricorrente quando ci si imbatte nelle diverse fonti che i documenti d’epoca riportano”.
Insomma, chi meglio di Padovan avrebbe potuto accompagnare il folto gruppo di persone incontratesi alle 15.00 nel piazzale della scuola Giacomo Leopardi, con la speranza di toccare con mano episodi e vicende insudiciate di terrore e macchiate di sangue, interpellabili in alternativa soltanto sui libri di scuola. Per troppo tempo questi luoghi abbandonati a se stessi sono stati ingiustamente e ingiustificatamente muti testimoni di un passato, che se non fosse stato per queste visite guidate, non avrebbe mai potuto esser degnamente ricordato. Voci, che l’attuale dirigente scolastico dell’istituto Leopardi, Laura Barbinato, ha voluto ascoltare a grandi orecchie prendendosi l’onere di riportarle in vita. Come quella de “Il ragazzo di Bovisa”, libro autobiografico di Ermanno Olmi. Siamo negli anni ’40 del Novecento, Ermanno è studente alla Leopardi e come molti bambini della sua età vive la guerra, o come scherzo giocando alle bombe contraeree, oppure giocando a nascondino nelle cantine della propria abitazione, il tutto per sfuggire all’attacco dei “cattivissimi” ordigni bellici.
Da allora la Barbinato, fortemente stigmatizzata dalle parole del ragazzo di Bovisa, si proporrà come fermo intento quello di far rivivere questo spazio caduto per quasi un secolo nell’oblio. Tanto che l’ambulacro aprirà i battenti nel 2010. “Insieme a Lega Ambiente abbiamo ripulito settant’anni d’abbandono riempiendo l’intera ribalta di un camion. Lega Ambiente si occupa di un progetto chiamato “Puliamo il mondo”, il nostro progetto noi l’abbiamo chiamato “Puliamo il buio”” dice con aria compiaciuta Padovan.
La scuola che oggi porta il nome Leopardi (nata nel ’27) ai tempi di Olmi, si chiamava Rosa Maltoni Mussolini. La maestra Maltoni era la mamma del Duce. Solo terminata la Seconda Guerra Mondiale l’edificio scolastico “a prova di bomba” opterà per il titolo che oggi veste con grande fierezza.
Anche se è utopia pensare che il rifugio n. 87 fosse a prova di bomba. A confessarlo è lo stesso Padovan: “Un vero rifugio antiaereo è realizzato in cemento armato, deve possedere impianti antigas, porte e serramenti blindati. Questo ricovero, insieme agli altri 134 che il Comune di Milano adibì a riparo per la popolazione civile, non possiede nessuna di queste caratteristiche”.
Insomma, 135 ricoveri di fortuna di nome e di fatto:“Era tutto un si sperava che: – continua lo speleologo – si sperava che la bomba cadesse perpendicolarmente al terreno, si sperava che non fosse pesante, si sperava che esplodesse prima di arrivare a piano scantinato. Come non bastasse, durante la Grande Guerra una pratica molto diffusa era il terror bombing, che si prefiggeva di gettare letteralmente nel panico la popolazione, soprattutto attraverso l’incessante suono della sirena”.
Non appena ci si accinge a varcare la porta del refettorio “leopardiano”, a catturare immediatamente l’attenzione è una stanza in particolare, allestita con una lavagna, delle sedie e delle panchine. E’ in quest’“aula” che le maestre insieme ai loro bimbi amano trattare i temi più scottanti della guerra. Per una memoria che non deve rimanere sotterrata.
Immagini di Sara Cariglia