Andorra è un microstato montuoso arroccato sui Pirenei, tra Spagna e Francia. Il suo territorio misura 468 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 85 mila abitanti. La capitale Andorra La Vella (in catalano: La Vecchia) dista 192 chilometri da Barcellona e 184 chilometri da Tolosa.
Politicamente, la nazione è retta da due coprincipi: da una parte, il vescovo della diocesi di La Seu d’Urgell, città in terra spagnola a pochi chilometri dal confine andorrano; dall’altra, il Presidente della Repubblica francese.
Lo Stato di Andorra
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Andorra, assieme alla Repubblica di San Marino governata da due Capitani Reggenti, è l’unica diarchia al mondo, ed è l’unico caso in cui i capi di Stato provengono dalle nazioni confinanti. I coprincipi sono, prevalentemente, figure simboliche: la democrazia andorrana, di tipo parlamentare, concentra il potere esecutivo nelle mani del capo del Governo e quello legislativo nel Consiglio Generale delle Valli. A Francia e Spagna è delegata invece la gestione della difesa: Andorra è, infatti, uno dei pochi paesi al mondo senza forze armate.
Casa de la Vall, sede del Parlamento di Andorra
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Quello dei due coprincipi è un sistema di rappresentanza che regge, ininterrottamente, dal 1278. Rischiò di sgretolarsi nel 1934, quando un apolide di origini russe, Boris Skossyreff, giunse da perfetto sconosciuto ad Andorra: presentò agli abitanti e ai politici locali un programma di modernizzazione di stampo liberale e a luglio si autoproclamò Re, col nome di Boris I di Andorra.
Boris Skossyreff nel 1923
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Boris Skossyreff nacque a Vilnius, oggi capitale della Lituania, il 12 gennaio 1896. Il padre proveniva da una famiglia di commercianti e fu inviato a Vilnius in quanto militare dell’Impero Russo. La madre discendeva dalla piccola nobiltà russa e frequentava i salotti di San Pietroburgo. La sua vita sarà un continuo susseguirsi di eventi che oscillano tra realtà e leggenda: si inizia a conoscerne i tratti, pur vaghi, solo durante la prima guerra mondiale.
Appartenente all’esercito zarista, Boris si distingueva dagli altri compagni grazie alla sua grande abilità con le lingue straniere: nel 1917, nell’anno della Rivoluzione Russa, divenne interprete per le truppe britanniche. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, con l’arrivo dei Soviet e la pace di Brest-Litovsk (firmata con gli Imperi Centrali il 3 marzo 1918) che stabilì l’uscita della Russia dalla guerra, Boris, rimasto filo zarista, riuscì a trovare asilo in Gran Bretagna.
Da quel momento iniziò la vita da vero e proprio nomade in giro per l’Europa, tra certezze e fantasie.
Passaporto olandese di Skossyreff – 1923
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Boris affermò più volte di avere studiato ad Oxford e di avere lavorato, grazie alle sue doti di poliglotta, per conto del Ministero degli Esteri e del Commonwealth, come agente segreto in Unione Sovietica, USA e Giappone, fino ad abbandonare il proprio posto nel 1925. Altre notizie, provenienti dai numerosi interrogatori a cui fu sottoposto nella sua vita, presentano un ragazzo che viveva di espedienti, dedito alla truffa e per questo espulso da ogni paese nel quale era ospite: potrebbe essere fuggito dall’Inghilterra già nel 1920, a causa della falsificazione di diversi assegni.
Quel che è certo, tuttavia, era lo strumento con cui l’apolide Boris riusciva a cambiare nazione: grazie all’asilo ottenuto dopo la Rivoluzione Russa, gli fu rilasciato un documento d’identità e, nel 1925, ottenne il Nansen, un passaporto accordato ai rifugiati di guerra e riconosciuto da 52 nazioni. Il documento fu ideato, a guerra conclusa, dal norvegese Fridtjof Nansen, premio Nobel per la pace nel 1922.
Dopo l’Inghilterra, la versione “diplomatica” racconta di un ragazzo a servizio della Casa Reale olandese, in quanto “lontano parente”, come Boris ha sempre ribadito, della regina Guglielmina: da qui, si attribuì il sedicente titolo di “Conte Orange”, accanto a quello, dichiarato quando era sbarcato in Gran Bretagna, di Barone russo.
La versione “vagabonda” riporta, invece, di un trasferimento della madre in Polonia e di una quotidianità volta alla microcriminalità: riciclaggio di denaro sporco nei casinò in Germania e creazione di assegni falsi, che gli valsero l’arresto e poi la scarcerazione nel 1923.
Arrivato poi in Olanda, partì, senza meta, per altri paesi: si spostò in Svizzera, Francia, Spagna e conobbe per la prima volta, di passaggio, Andorra.
Boris Skossyreff nel 1936
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Tra le sue varie “imprese”, si può ricordare anche l’abitudine di entrare nei ristoranti e alla fine, con disinvoltura, uscire senza pagare il conto. Rinchiuso nel 1924 nel carcere di Dax, cittadina francese prossima all’Atlantico e alla Spagna, venne poi estradato in Svizzera e da lì, ancora in Francia. Le due versioni, ora, si uniscono: dopo l’ennesima liberazione, dal 1926 al 1930 andò in Italia. Racconterà, a posteriori, che “lì arrivò in qualità di dirigente di un’impresa d’esportazione colombiana”.
Tornato di nuovo in Francia, sposò nel 1931 la marsigliese Marie Louise Parat: lui trentacinque anni, lei cinquanta.
Attraverso il matrimonio, tentò di ottenere la cittadinanza: mentì, modificando il suo nome da “Skossyreff” a “Skosyrew”, dichiarando di essere figlio di Michel de Skosyrew e di Elisabeth Mawrusow. Scoperto, fuggì a Maiorca: come da lui riportato, a Palma lavorò in qualità di insegnante di inglese. In realtà, incontri segreti avvenuti sull’isola potrebbero essere la chiave di svolta per i progetti politici verso Andorra: ebbe due amanti, con cui fuggì nel microstato. L’inglese Phyllis Peel Heard e la milionaria statunitense Florence Marmon.
Il motivo nascosto dietro al tentativo di conquistare Andorra, resta con un punto di domanda. Da una parte, spicca l’ipotesi economica: pare che a Maiorca, nell’alta società che era solito frequentare, fosse stato convinto a quel passo da Florence e da altri uomini d’affari di Chicago legati al governo statunitense, che in Catalogna concentravano le proprie ricchezze; dall’altra, visti i suoi trascorsi, c’erano ragioni personali: Andorra poteva finalmente diventare la sua terra e donargli, da Re, l’immunità.
Era il 1933: Boris Skossyreff voleva trasformare Andorra in un paradiso fiscale sul modello del Principato di Monaco e di Lussemburgo.
Come mai, uno Stato così piccolo, è indipendente? La sua storia trae origine dall’alto medioevo: secondo la leggenda, Andorra sarebbe nata grazie a Carlo Magno che doveva difendere l’immenso Impero Carolingio dall’avanzata dei saraceni. A cavallo tra 700 e l’800 d.C. Carlo era all’apice del successo e il figlio Ludovico il Pio, Re dei Franchi, strappò agli arabi le città di Girona e Barcellona, entrando trionfante nel capoluogo catalano sulle note del Te Deum, inno cristiano del IV secolo. Fu una vittoria strategica: l’Impero Carolingio, per separarsi in sicurezza dall’Emirato di Córdoba, creò uno scudo ai piedi dei Pirenei attraverso una serie di contee-cuscinetto, che diedero origine alla Marca Hispánica. Tra queste, nel cuore dei Pirenei, sorgeva anche Andorra. Qui, i carolingi poterono contare su un esercito di circa quattromila uomini: in cambio, Carlo garantì loro autonomia nell’805 e oggi, Andorra, resta l’unica traccia rimasta della Marca di Spagna.
Le tensioni per il potere, poi, tra gli interessi dei vicini conti occitani da una parte e la Chiesa col Vescovo di La Seu d’Urgell dall’altra portarono, nel 1278, al compromesso: l’accordo tra il Conte di Foix e il Vescovo di Urgell garantì la nascita della diarchia su Andorra.
Oggi, l’inno nazionale El Gran Carlemany è un omaggio a Carlo Magno, il leggendario padre della patria.
Tornando a Boris Skossyreff, arrivato nel piccolo Stato dei Pirenei si insediò in una casa a Santa Coloma che ribattezzò “La Casa dei Russi”: era stata abitata, in precedenza, dai suoi connazionali che tra le valli andorrane insegnavano le tecniche di coltivazione del tabacco. Integratosi nella società andorrana grazie al suo fluente spagnolo e al suo forte appoggio alla recente rivolta dei giovani locali, fu proprio a loro, oltre ai contadini, agli artigiani e ai politici dei borghi locali, che rivolse il discorso. E non fu, per Boris, così impegnativo: all’epoca, il paese contava solo quattromila abitanti, in un clima generale di malcontento economico e sociale. La nazione necessitava di una profonda modernizzazione per uscire dall’arretratezza in cui versava: Boris proponeva l’accoglienza dei capitali esteri attraverso l’istituzione di diversi istituti di credito, regolando la tassazione in base ai principi di altri paradisi fiscali. Volle dare, allo scenario andorrano, una ricetta liberale sul modello americano e britannico e, soprattutto, senza limiti finanziari. In cambio, Boris chiedeva al popolo il suo riconoscimento a Re, col nome di Boris I di Andorra.
Dopo il tour per le strade andorrane, spinto anche dalle persone che incontrava, presentò un report col suo programma, il 17 maggio 1934, al Consiglio Generale delle Valli, ma la risposta ebbe esito negativo. Nonostante il parere fosse a favore quasi all’unanimità, Boris trovò un ostacolo: gli stranieri, ad Andorra, non potevano occuparsi di politica.
Il 22 maggio ricevette quindi l’ordine di espulsione dal capo dello Stato, Albert Lebrun, e dal capo Religioso, Justino Guitart y Vilardebó: Boris non si diede per vinto e andò ad alloggiare all’hotel Mundial di La Seu d’Urgell.
Cominciò, a pochi chilometri a sud del confine, a organizzare la propaganda e il caso divenne internazionale: rilasciò interviste telefoniche all’estero, specie ai giornali britannici e americani. Si chiedeva, Boris, come fosse possibile che una Repubblica, quella francese, rappresentasse un Principato: soprattutto, rivendicava il dominio della Casa di Orleans su Andorra, legittima erede della dinastia di Foix, che per prima dal medioevo, dopo il 1248, rappresentò Andorra da parte occitana. L’allora Duca e pretendente al trono di Francia, Giovanni d’Orleans, appoggiò la missione ma non intervenne pubblicamente: contando sul comune consenso del popolo andorrano, attese gli sviluppi.
Intanto, Boris scrisse anche quella che sarebbe diventata la nuova Costituzione, in 17 articoli, e ne stampò diecimila copie: i principi fondamentali parlavano di libertà individuali e collettive; di diritti e doveri del cittadino; di funzionamento del fisco. Il tutto, attraverso un piano di modernizzazione dei vecchi ordinamenti che ostacolavano il progresso sociale. Una delle copie, però, finì nelle mani del coprincipe episcopale di Andorra, monsignor Justino Guitart: non accettò, naturalmente, quel piano, dal momento che il suo ruolo sarebbe stato compromesso.
Boris I, re di Andorra (1933)
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Eppure, per Boris Skossyreff, la strada era tutta in discesa: il 6 luglio si autoproclamò Re, col nome di Boris I di Andorra. Si legittimò in qualità di “Reggente per il Re di Francia, Giovanni d’Orleans, Duca di Guise”.
Il 7 luglio 1934 venne convocato il Consiglio. I temi riguardanti prosperità e benessere, lanciati da Boris, erano appetibili e quasi tutti i ventiquattro deputati andorrani presenti in aula erano d’accordo: si doveva attuare una profonda trasformazione finanziaria del paese. Mancava però l’unanimità: l’unica Parrocchia (il nome delle province di Andorra) contraria fu quella di Encamp, legata particolarmente al coprincipe di La Seu d’Urgell.
Scoperto il risultato, vittorioso, Boris non esitò a tornare ad Andorra. Si stabilì a San Julián de Loria, in attesa del via libera, e la cittadina fu chiamata dai suoi fedelissimi nientemeno che Borisgrado.
Dal 10 luglio, Boris sentiva concretizzarsi il trionfo: la Francia, affidandosi all’azione del coprincipe Guitart, non intervenne prontamente. Accettò la decisione del Consiglio andorrano, sapendo di poter controllare gli sviluppi sul piccolo Stato ma suggerì, alla Parrocchia contraria di Encamp, di informare nei dettagli l’altro coprincipe: Boris restava pur sempre un pregiudicato, in Francia.
Il 14 luglio, né il principe di Urgell, né il presidente della Repubblica francese, Albert Lebrun, riconobbero la nuova monarchia. La Spagna guardò subito con preoccupazione alla vicenda, e il caso fu discusso in aula a Madrid: una monarchia, retta da due Repubbliche (anche la Spagna, allora, lo era), non era pensabile. Dovette temporeggiare, aspettando la presa di posizione francese onde evitare possibili crisi diplomatiche. Le due nazioni confinanti, tuttavia, erano entrambe contrarie alla presa di Andorra.
All’interno del paese, invece, lo scenario era diverso: tra i civili e i politici l’ondata di entusiasmo portato dalla novità creò ampio consenso, data la ricchezza finanziaria che il paradiso fiscale avrebbe garantito in futuro, dopo anni di arretratezza, fame e povertà.
Il 17 luglio, il governo provvisorio istituito il 9 luglio precedente dichiarò lo Stato libero di Andorra, rimarcando l’assoluta libertà politica, religiosa e di stampa. Mediante decreto, fu sciolto il Consiglio Generale e fu concessa l’amnistia a tutti i condannati in precedenza. Il programma di Re Boris I prevedeva protezione e assistenzialismo verso i bisognosi, un’educazione universale attraverso un piano di laicizzazione e di scolarizzazione, una grande diffusione dello sport in tutto il territorio e l’apertura dei casinò. Le elezioni, sarebbero state indette all’inizio di agosto.
Stemma di Boris I come re di Andorra
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Lo Stato Libero di Andorra fu una vera e propria dichiarazione di guerra, da parte di Boris, al Vescovo di Urgell: sostenne, infatti, di avere dalla sua parte cinquemila volontari in Spagna e Francia e di poter contare su un grande consenso interno. Sentitosi minacciato, il coprincipe volle chiudere al più presto quel convulso e surreale momento di crisi: chiamò Madrid e chiese l’invio di alcuni uomini della Guardia Civil, la polizia spagnola, che entrò ad Andorra e arrestò Boris il 20 luglio. Portato a Barcellona per l’interrogatorio, fu trasferito nel carcere di Madrid il 24: su Boris, dopo il soggiorno a Maiorca, pesava già un mandato di espulsione e nel giro di pochi mesi, a novembre, lasciò definitivamente la Spagna. La popolazione andorrana, dinanzi all’improvviso arresto, non reagì, ma grazie a quella nuova propaganda capì, da quel momento, che il settore finanziario sarebbe divenuto, prima o poi, il principale motore di sviluppo interno.
Boris Skossyreff, dopo l’ennesima espulsione, ritornò di nuovo a una vita dove è difficile distinguere tra realtà e fantasia: le cronache più diffuse parlano di uno spostamento tra Gibilterra, Nord Africa e Portogallo. Nel 1938, ritornato dalla moglie in Francia, ad Aix-en-Provence, senza alcun documento valido fu, per l’ennesima volta, arrestato: finì in un campo di concentramento a Camp Vernet, vicino a Tolosa, accanto ai detenuti “pericolosi alla sicurezza pubblica”.
In realtà, si trattava perlopiù di esuli, italiani e spagnoli, antifascisti e antifranchisti, fuggiti dal paese d’origine e qui rinchiusi, in quanto “stranieri indesiderati”. Quando i tedeschi, dopo la caduta della Francia del 25 giugno 1940, istituirono la Repubblica di Vichy, il lager passò nelle mani della Germania e vi arrivarono, di passaggio prima del viaggio verso i campi di sterminio, gli ebrei occitani ed aquitani.
Boris, grazie alla conoscenza del tedesco, riuscì a fuggire (forse aiutato dai gerarchi), a recarsi in Germania e ad arruolarsi come Sonderführer, da vero e proprio mercenario. Fu inviato alla frontiera est, ancora una volta da interprete: caduto nelle mani americane nel 1945 come prigioniero tedesco, fu rilasciato grazie alla sua parlata russa e grazie al suo fluente inglese che gli permise di raccontare, mentendo, la sua versione dei fatti.
Borís Skósyrev in uniforme della Wehrmacht
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Negli anni della seconda guerra mondiale, la sua militanza tra i corpi nazisti gli permise di tentare, per la cittadinanza, la via tedesca: la moglie, nel 1944, si trasferì a Boppard e lì la raggiunse. Ma il suo nome circolava negli ambienti sovietici: trovandosi nel 1948 ad Eisenach, città appartenente alla Germania dell’Est fino al 1949, il suo collaborazionismo con la Germania nazista gli valse l’arresto. Inviato nei gulag siberiani, fu liberato nel 1956 grazie all’amnistia concessa dal presidente sovietico Nikita Krushëv e tornò, definitivamente, a Boppard, nella Renania-Palatinato, in Germania Ovest, dove morì anziano nel 1989.
Andorra, dopo i concitati dieci giorni del luglio 1934, si trovò esposta al pericolo della guerra civile spagnola, coi franchisti che col tempo giunsero in prossimità del confine: la Francia mandò, dal 1936 al 1940, le sue truppe a difesa del Principato. Durante la seconda guerra mondiale, furono inviati diversi uomini della Wehrmacht di stanza nella Repubblica di Vichy per favorire il mercato nero con la Spagna franchista.
Divenuta poi una destinazione turistica montana di rilievo, riuscì a diventare un fiorente centro fiscale solo a partire dagli anni ‘80, quando la transizione e la democratizzazione della Spagna, dopo la morte di Franco nel 1975, permise di rendere più dinamici i propri movimenti economici verso l’estero: da quel momento, a livello finanziario, Andorra iniziò a godere di una maggiore centralità geografica tra la Francia e la Spagna.