Montgisard, anno di grazia 1177, 25 novembre. Da una parte c’è lui, Ṣalāḥ al-Dīn Yūsuf ibn Ayyūb, famoso come il “Saladino”, sultano d’Egitto, Siria, Yemen e Hijaz, onorato del titolo di “sovrano vittorioso”, condottiero come pochi se ne sono visti nella storia, che all’epoca dei fatti ha quarant’anni.

Dall’altra c’è Baldovino IV, Re di Gerusalemme, di appena sedici anni, agguerrito nell’animo ma fragile nel fisico, malato fin dall’infanzia di una malattia incurabile e devastante, che provoca orrore solo a nominarla:
La Lebbra
I due si scontrano, con forze del tutto sbilanciate a favore di Saladino, a Montgisard. La battaglia è fortemente voluta da Baldovino, che coglie di sorpresa il Sultano dopo essersi liberato dall’assedio di Ascalona. Insieme a lui ci sono meno di 400 cavalieri e poche migliaia di fanti (tra i 2500 e i 4000), ai quali si aggiungono in extremis 80 Cavalieri Templari.
Saladino parte dall’Egitto alla conquista di Gerusalemme con un esercito di circa 26.000 uomini, ma in quel giorno non è chiaro quanti fossero presenti, visto che il Sultano, conoscendo l’esiguità delle forze cristiane, li aveva sparpagliati sul territorio per compiere delle razzie. In ogni caso i guerrieri musulmani non sono meno di 10.000, molti di più dei cristiani.

L’Antefatto
Baldovino IV, all’inizio del 1177, progetta di invadere l’Egitto contando sull’appoggio navale dell’imperatore bizantino e il sostegno personale del cugino Filippo d’Alsazia, appena arrivato in Terra Santa come “pellegrino”. In realtà Filippo contava di far sposare due suoi vassalli con le sorelle di Baldovino. La cosa non va giù ai nobili del Regno, sempre impegnati in intrighi e lotte di potere, così non se ne fa niente e Filippo parte per altre battaglie, verso il principato di Antiochia. A lui si uniscono molti Cavalieri Ospitalieri e Templari, con il risultato di lasciare praticamente sguarnita Gerusalemme.

Quando Saladino scopre che Gerusalemme è quasi senza difese non si fa sfuggire l’occasione e pianifica l’invasione del Regno di Gerusalemme. Baldovino IV avrebbe potuto aspettare che Saladino arrivasse a Gerusalemme, costringendolo a un lungo e logorante assedio, evitando di affrontare in campo aperto un esercito tanto superiore numericamente. Invece quel fragile adolescente, col fisico già in parte compromesso dalla lebbra, decide di andare incontro al nemico e si sposta nella città di Ascalona, dove spera di organizzare la difesa. Saladino dirotta sulla città un piccolo contingente, per bloccare il sovrano, e un altro a Gaza, dove c’è una piazzaforte dei Cavalieri Templari, e poi dirige verso la Città Santa. Il sultano non può immaginare che sia Baldovino con il suo piccolo esercito sia i Templari riescano a farla in barba ai suoi uomini e che si mettano al suo inseguimento, per intercettarlo prima che possa raggiungere Gerusalemme, rimasta praticamente sguarnita.

La battaglia
I cristiani colgono quindi di sorpresa Saladino e il suo esercito, in una località chiamata Montgisard (il sito non è ancora stato identificato), nella regione di Ramla.
Oltre all’effetto sorpresa i cristiani sono avvantaggiati dal fatto che i musulmani sono stanchi e viaggiano appesantiti da molti carri. Una circostanza fortuita aiuta i cristiani – o volontà divina, per chi ci crede – : i carri rimangono impantanati, forse nel letto paludoso di un fiume, forse in un terreno fangoso, così gli uomini di Saladino devono attardarsi a recuperare le loro armi dal convoglio.
C’è una gran confusione, i musulmani sono colti alla sprovvista e vengono obbligati in tutta fretta a schierarsi in posizione di battaglia, mentre le esigue truppe cristiane rimangono comunque quasi impietrite davanti alla preponderanza delle forze nemiche.
Baldovino capisce che deve in qualche modo spronare i suoi uomini: scende da cavallo (deve essere aiutato, per via della sua malattia), ordina al vescovo di Betlemme di portargli la reliquia della Vera Croce e poi, chissà con quanta fatica, si prostra davanti ad essa e prega, prega con tutta la forza della sua fede e del suo spirito battagliero, prega perché Dio aiuti i suoi soldati a vincere la battaglia.
Poi si rialza, risale a cavallo, e incita alla carica i suoi uomini

Il fragile Baldovino è in prima fila a guidare l’attacco, almeno secondo quanto racconta la leggenda che ne seguì, forte dell’immagine di San Giorgio e della santa reliquia.
I pochi cristiani sbaragliano i tanti musulmani, che contano molti morti, fra i quali avrebbe potuto esserci anche Saladino, se non avesse montato un cammello da corsa (questo ce lo racconta un cronachista inglese dell’epoca, vai tu a sapere se poi sia vero).
Quella vittoria, tanto incredibile quanto insperata, pur se non in grado di fermare per sempre la conquista di Saladino, ha il merito di rendere onore al tenace Baldovino, che non si fa piegare da una malattia terribile e invalidante e conduce i suoi crociati a un’incredibile successo.

Chi fu Baldovino IV?
Baldovino nasce nel 1161 nel Regno di Gerusalemme, da Amalrico I e Agnese di Courtney, contessa di Giaffa e Ascalona, mentre il nonno paterno è Folco di Gerusalemme, che prima di sposare l’erede del regno di Gerusalemme, Melisenda, era conte d’Angiò. Sempre per un complicato intreccio di parentele Baldovino è cugino di Enrico II d’Inghilterra, anche lui conte d’Angiò prima di fondare la dinastia inglese dei Plantageneti. Tutto questo per dire che a governare gli Stati d’Oltremare ci sono famiglie nobili europee che, grazie anche alle “sante” crociate (come le definivano loro) sono in cerca di “un posto al sole”, nuovi territori dove fondare regni indipendenti e garantire sicurezza marittima ai commerci con l’oriente (non per niente le Repubbliche Marinare italiane si lanciano in quell’avventura).

Baldovino dunque nasce a Gerusalemme in una famiglia di altissimo lignaggio, anche se rischia presto di essere considerato illegittimo.
Quando Amalrico sale al trono dopo l’improvvisa e prematura morte del fratello, che non aveva figli, il suo matrimonio viene invalidato, ufficialmente per un vizio di consanguineità (gli sposi avevano un trisavolo in comune) ma in realtà perché Agnes, oltre a essere poco gradita alla nobiltà di Gerusalemme, è considerata troppo ambiziosa e quindi potenzialmente pericolosa.
Amalrico accetta l’annullamento del matrimonio – una condizione posta dall’Alta Corte di Gerusalemme per approvare la sua incoronazione – ma pretende che i due figli, Baldovino e Sibilla, nati dal matrimonio con Agnes, siano considerati legittimi e quindi eredi al trono.
Così Baldovino cresce senza la presenza della madre, che viene allontanata dalla corte, ed educato come si conviene ad un futuro re. Il precettore è un personaggio d’eccezione, Guglielmo di Tiro, erudito di grande levatura a cui si devono molte informazioni sulle prime crociate, sui nuovi regni d’oltremare e sul mondo musulmano dell’epoca.
E’ proprio Guglielmo ad accorgersi, quando Baldovino è ancora bambino, che c’è qualcosa che non va: il piccolo mostra insensibilità nel braccio destro, che poi risulterà semi-paralizzato. Ma è ancora presto per fare una diagnosi, e nemmeno i medici arabi chiamati a curare il principe, pur sospettando che si trattasse di lebbra, azzardano a pronunciarsi, anche per preservarlo dall’inevitabile stigma associato a quella malattia deturpante e incurabile.

D’altronde il bambino ancora non mostra i segni evidenti della malattia, ma solo l’incapacità di usare il braccio destro, che lo costringe, tra l’altro, a imparare a cavalcare facendo uso solo delle gambe, una cosa poco pratica quando occorre guidare un cavallo durante la battaglia.
Nel mentre Amalrico si preoccupa di trovare un reggente da affiancare a Baldovino, in caso di una sua precoce dipartita a causa della Lebbra. E qui entra in scena la sorella maggiore del principe, Sibilla, educata da una prozia badessa in convento. Negli anni a venire la principessa sarà la figura centrale di tutta una serie di intrighi e lotte di potere, merce di scambio per alleanze tra i vari feudi d’oltremare.

Amalrico vorrebbe sposarla a un conte francese, che lui vedeva bene come reggente e, nell’infausta eventualità di una diagnosi di lebbra anche come sovrano-consorte di Gerusalemme al posto di Baldovino. La cosa però non va in porto e, neanche a dirlo, Amalrico muore prematuramente, l’11 luglio del 1174, di dissenteria.
A quel punto non c’è i membri dell’Alta Corte non hanno scelta: devono incoronare il tredicenne Baldovino, perché tutti i possibili pretendenti sono considerati inadatti per ragioni politiche.

Intanto però occorre trovare al più presto un marito per Sibilla, in modo che la successione sia garantita se quel sospetto sulla malattia di Baldovino si fosse rivelato fondato. Purtroppo per il Re i sospetti più infausti sono verificati, e la lebbra aggredisce il sovrano in una forma aggressiva (lebbra lepromatosa) subito dopo la sua ascesa al trono.

Intanto viene nominato un reggente non ufficiale, Milo di Plancy, odiato praticamente da tutti – “un attaccabrighe e un calunniatore, sempre attivo nel provocare guai”, dice di lui Guglielmo di Tiro – che viene fatto fuori, non si sa bene da chi, nel giro di pochi mesi.
Comunque il suo posto era stato rivendicato, già prima della sua morte, da Raimondo III di Tripoli, cugino di Amalrico. Nei due anni di reggenza Raimondo stipula un trattato di pace con Saladino e avvia le trattative andate a buon fine per un matrimonio tra Sibilla e Guglielmo di Monferrato, che non è solo figlio di un importante feudatario dell’Italia del nord, ma è anche cugino di Luigi VII di Francia e, addirittura, dell’imperatore Federico Barbarossa.
Baldovino e il reggente non potevano sperare di meglio, perché non si tratta, naturalmente, solo di una questione di lignaggio, ma anche di parentele che possono garantire sostegno militare ed economico al Regno di Gerusalemme.
Il 15 luglio del 1176, due anni dopo l’incoronazione, il maggiorenne Baldovino prende in mano le sorti del suo regno e attua una politica totalmente in contrasto con quella pacifista di Raimondo: Saladino si è allargato un po’ troppo, avvicinandosi ai confini dei Regni Crociati, e deve essere fermato. Il giovanissimo sovrano comincia con qualche azione di disturbo in Siria e nella valle della Beqā, che comanda personalmente, da vero condottiero.
Ma non basta, Baldovino vuole l’Egitto, un po’ per rispetto a un accordo stipulato dal padre con l’imperatore bizantino, del quale aveva sposato la figlia, Maria Comnena, dopo la separazione da Agnes, e un po’ per motivi strategici, sempre in funzione della sicurezza delle rotte commerciali navali.

Grazie a un’ambasceria di Rinaldo di Châtillon, Baldovino si assicura il supporto navale dei Bizantini, in vista dell’invasione dell’Egitto, ma poi non se fa niente per quel pasticcio combinato da Filippo di Fiandra, arrivato a Gerusalemme probabilmente solo allo scopo di mettere lo zampino nella successione di Baldovino. Le carte per la successione si sono nuovamente rimescolate: Sibilla è rimasta vedova quasi subito e con un bimbo in arrivo, mentre è ancora senza pretendenti, perché piccolissima, la sorellastra di Baldovino, Isabella, nipote dell’imperatore bizantino Manuel I.
Insomma, lì in quel piccolo stato d’oltremare dove si trova la città santa, Gerusalemme, si incontrano e scontrano gli interessi dei più potenti regni europei dell’epoca, dal Sacro Romano Impero al regno di Francia, dall’Impero Bizantino al regno d’Inghilterra.
Dopo il trionfo di Montgisard – per Saladino una sconfitta “grande come una catastrofe” – Baldovino patisce alcune perdite in battaglia, durante le quali rischia più volte di morire: una volta gli salva la vita, rimettendoci la sua, il conestabile del regno, Umfredo II di Toron, mentre nella battaglia di Marj ʿUyūn sopravvive grazie a un uomo della sua guardia che se lo carica sulle spalle, dopo che un nemico lo aveva disarcionato (Baldovino non era in grado di rimontare a cavallo senza aiuto).
Nel mentre a corte, dove ha ripreso un certo potere anche la ripudiata Agnes, ognuno cerca di tirare l’acqua al suo mulino per la scelta del nuovo marito di Sibilla, che comunque ha dato alla luce un figlio maschio, chiamato anche lui Baldovino, e qui la faccenda si complica a causa di questa omonimia.
Lo scontro al vertice si fa tanto stringente che Boemondo di Antiochia e Raimondo di Tripoli marciano in armi verso Gerusalemme, per obbligare il re a far sposare Sibilla con uno degli Ibelin, famiglia nobile legata alla vedova di Amalrico, Maria Comnena.

Baldovino però li mette nel sacco, perché combina in tutta fretta – sebbene controvoglia perché avrebbe preferito un nobile straniero – il matrimonio della sorella con Guido di Lusignano, nelle grazie della madre Agnes. Un matrimonio d’amore, almeno per quanto riguarda Sibilla.

E’ il 1180, Baldovino è stremato dalla malattia e vorrebbe abdicare, ma la palese inettitudine del cognato lo frena, almeno fino al 1182, quando ormai cieco e incapace di camminare, lo nomina reggente. Una scelta della quale però si pente subito, quando nel 1183 Guido subisce senza reagire un attacco di Saladino al castello di Kerak, dove si stavano festeggiando le nozze della principessa Isabella.

Tocca a lui, nelle pessime condizioni in cui si trova, spezzare l’assedio posto dal sultano. Subito dopo revoca la reggenza a Guido e tenta anche, senza riuscirci, di far annullare le nozze della sorella.

Nomina come suo successore il primogenito di Sibilla, figlio di Guglielmo “spadalunga” di Monferrato, Baldovino, che all’epoca ha solo cinque anni. Questa decisione viene accolta favorevolmente dai nobili del regno, ostili ad Agnes e quindi anche a Guido di Lusignano. Viene designato anche il reggente: sarà, ancora una volta, Raimondo di Tripoli.
Il 16 marzo 1185 Baldovino IV probabilmente accoglie come una liberazione la morte.
Aveva solo 24 anni

Sale al trono il nipote, con il nome di Baldovino V, ma il piccolo muore dopo appena un anno, probabilmente per cause naturali. Accade allora quello che il Re lebbroso aveva voluto a tutti i costi scongiurare: Sibilla succede al figlio, con al fianco, come re-consorte, l’inetto Guido di Lusignano.

Con lui inizia la disfatta del Regno di Gerusalemme, che passa attraverso la sanguinosa battaglia di Hattin e si conclude con il trionfale ingresso di Saladino nella Città Santa, il 2 ottobre del 1187. Baldovino IV era morto solo due anni prima e la città santa era già caduta nelle mani dei musulmani, visti dalla parte dei cristiani gli odiati infedeli.

Chissà cosa avrà pensato dall’aldilà il Re Lebbroso. Un uomo il cui coraggio è riuscito a vincere non solo i nemici ma anche la sua devastante malattia, le cui gesta hanno ispirato canzoni e ballate, il cui cuore e mente avevano un unico, luminosissimo faro:
La propria, incrollabile fede in una missione voluta da Dio
Baldovino, come tutti gli uomini, si è dovuto arrendere alla caducità della carne. Nel suo caso la malattia lo aveva ridotto a un handicappato deforme, potenzialmente oggetto di scherno da parte dei crociati franchi che arrivavano dall’Europa, ma la sua forza d’animo e intelligenza lo avevano elevato sopra tutti, rendendolo un condottiero leggendario.