Artemisia I di Alicarnasso: il Coraggio della Donna che sfidò gli uomini Greci

Leggenda vuole che la poetessa greca Saffo – considerata già ai suoi tempi (VI-V secolo a.C.) la “decima musa”, per quei suoi versi rarefatti e purissimi che ancora oggi incidono l’anima – si sia suicidata per un amore non corrisposto: la donna si getta da una rupe dell’isola di Leucade perché quel tuffo, si diceva, poteva guarire dal mal d’amore.

La poetessa Saffo ritratta in un kalpis del 510 a.C. circa

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Cinicamente, si potrebbe affermare che un salto del genere poteva guarire da ogni male, vista la morte certa a cui si andava incontro.

Antoine-Jean Gros – Saffo a Leucade – 1801

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Il Patriarca Fozio di Costantinopoli, erudito del IX secolo d.C., è l’autore di un’opera monumentale, Myrióbiblos, che è praticamente un sunto di 279 opere di letteratura greca e bizantina. Fozio riporta una leggenda secondo la quale l’indomita Artemisia I di Caria, praticamente la prima donna ammiraglio della storia, si sarebbe innamorata di un giovane principe di nome Dardano, che però non era interessato a lei. La donna, incapace di accettare il suo rifiuto, gli cava gli occhi ma non smette di amarlo. Così, forse seguendo il responso di un oracolo, decide di gettarsi dalla rupe di Leucade, come cura per le sue sofferenze sentimentali.

Ritratto (immaginario) di Artemisia – XVI secolo

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Muore così, per un banale mal d’amore, una donna straordinaria, una che fu definita “più coraggiosa di un uomo”, e affermare una cosa del genere nel V secolo a.C. non poteva considerarsi (come accadrebbe oggi) una cosa politicamente scorretta, ma un grande elogio.

Appare evidente l’analogia tra le due leggende sulla morte di Saffo e di Artemisia, tanto da metterle in dubbio.

Potrebbe essere credibile un suicidio per amore della poetessa di Lesbo, che tante volte aveva cantato le sue pene sentimentali, se non fosse che quell’uomo di cui si narra fosse perdutamente innamorata senza essere corrisposta, sia in realtà un personaggio mitologico, Faone, un vecchio marinaio al quale la dea Afrodite aveva regalato una seconda giovinezza.

Una delle prime immagini sopravvissute di Saffo, circa 470 a.C. Viene mostrata con in mano una lira e un plettro insieme al poeta Alceo

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Parlando di Artemisia, lo scetticismo sul suo suicidio è ancora più lecito: se è vero che non esiste alcuna prova a sostegno dell’ipotesi di Fozio, è altrettanto vero che non c’è nulla che possa categoricamente smentirla. In realtà però, ciò che si sa sulla sua vita e sul suo carattere indomito e battagliero rende poco credibile la leggenda sulla sua morte.

Artemisia I di Caria (nell’odierna Turchia) non è una donna qualunque: diventa regina di Alicarnasso quando muore suo marito, un perfetto sconosciuto del quale non ci è stato tramandato il nome. D’altra parte lei è anche figlia del satrapo di Alicarnasso e governa in nome del figlio Pisindeli, ancora troppo piccolo per salire al trono.

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All’epoca Alicarnasso, in origine una colonia greca dell’Anatolia, è soggetta all’impero Persiano, una satrapia dove Dario I insedia Ligdami, il padre di Artemisia. Lei ha però anche sangue greco nelle vene visto che per parte di madre che è originaria di Creta.

Per questo alcuni greci la considerano una traditrice: ad esempio il medico Tessalo, figlio del famoso “padre della medicina” Ippocrate, ne parla malissimo, perché proprio lei viene inviata da Serse a sottomettere i riottosi abitanti della sua isola natia, Coo (o Kos), che non vogliono proprio saperne di diventare sudditi dell’impero persiano. Artemisia viene sconfitta in una prima spedizione, grazie all’intervento degli dei, che con un fulmine distruggono le sue navi. La seconda volta però non fallisce e conquista l’isola, della quale diventa regina. Il fatto che Serse abbia scelto proprio Artemisia per una missione del genere la dice lunga sulla considerazione che aveva di lei.

Serse I

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Perché Artemisia è sì regina, ma ai lussi della corte preferisce di gran lunga l’odore del mare e la carezza salata del vento sulla pelle, ma non solo. Vivere l’ebbrezza di essere lì, su una trireme quando infuria la battaglia: questo è pane per i suoi denti. E lo dimostra nella battaglia di Capo Artemisio, quando Serse I, nel 480 a.C. tenta di conquistare la Grecia.

Mentre alle Termopili gli Spartani combattono eroicamente per rallentare l’avanzata via terra dell’esercito di Serse, a Capo Artemisio la flotta persiana e quella ellenica si fronteggiano, senza però arrivare a un risultato decisivo. La regina di Alicarnasso contribuisce con cinque trireme, ed è lì a combattere, mentre avrebbe potuto rimanere tranquillamente a casa. La stessa cosa accade a un mese di distanza, nella successiva battaglia di Salamina, decisiva per le sorti della guerra.

La battaglia di Salamina di Wilhelm von Kaulbach, 1868

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A Salamina Artemisia si distingue tra tutti i comandanti della imponente flotta persiana in due modi diversi: prima sconsiglia a Serse di intraprendere quella battaglia navale, ma visto che il suo suggerimento rimane inascoltato, partecipa attivamente e si fa notare per l’astuzia e il coraggio.

A raccontarci la vicenda è lo storico Erodoto, che avrebbe potuto avere parole meno benevole, in considerazione delle sue vicende personali, mentre invece si legge tra le righe la sua ammirazione per la donna.

Busto di Erodoto

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Erodoto, nato ad Alicarnasso intorno al 485 a.C., è costretto a fuggire dalla sua città perché coinvolto, pare, in una rivolta contro il sovrano, Ligdami II, nipote di Artemisia. Vive quindi in esilio, almeno fino al 455 a.C, quando Alicarnasso torna sotto l’influenza di Atene.

Erodoto, nelle sue Storie, parla talmente bene e a lungo di Artemisia, riguardo alla battaglia di Salamina, da suscitare le critiche di storici successivi, che gli rimproverano di aver tralasciato altri importanti aspetti della vicenda per focalizzare l’attenzione solo sull’unica comandante donna della flotta persiana. E d’altronde, lo dice lui stesso apertamente:

Tralascio tutti gli altri ufficiali [dei Persiani] perché non c’è bisogno che li citi, tranne Artemisia, perché trovo particolarmente notevole che una donna abbia preso parte alla spedizione contro la Grecia. Ha assunto la tirannia (la parola tirannia all’epoca non aveva un’accezione negativa) dopo la morte del marito, e sebbene avesse un figlio adulto e non avesse bisogno di unirsi alla spedizione, il suo coraggio virile l’ha spinta a farlo… Il suo era il secondo squadrone più famoso dell’intera marina, dopo quello di Sidone. Nessuno degli alleati di Serse gli diede consigli migliori di lei” (VII.99).

Dopo la disfatta dei greci alle Termopili, la situazione bellica sembrava tutta a favore dei Persiani: l’esercito di Serse marcia spedito verso Atene e la rade al suolo. La coalizione ellenica abbandona Capo Artemisio e fa rotta verso lo stretto di Salamina, che divide appunto l’isola di Salamina dall’Attica.

Immagine satellitare dell’isola di Salamina: lo stretto è lo specchio d’acqua che si trova al centro, l’accesso di destra fu teatro dello scontro

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Il comandante ateniese Temistocle vuole indurre i Persiani alla battaglia, in quella stretta striscia di mare, per contrastare un più che probabile tentativo di conquista del Peloponneso. E il grande Serse, il Re dei Re, cade nella trappola del generale ateniese.

Serse, dopo la sua avanzata via terra, con Atene bruciata, deve decidere quali mosse intraprendere per arrivare alla vittoria definitiva. Convoca quindi un consiglio di guerra dove chiede, per tramite del suo generale Mardonio, il parere dei comandanti alleati sull’opportunità di affrontare nuovamente i greci in una battaglia navale.

Tutti si dicono favorevoli. Solo una voce esce dal coro unanime, quella di Artemisia:

… Risparmia le navi, non combattere sul mare; loro sul mare sono tanto più forti dei tuoi uomini quanto gli uomini lo sono delle donne. Ma poi, che bisogno hai di rischiare flotta contro flotta? Non possiedi già Atene, l’obiettivo della tua spedizione, e non possiedi anche il resto della Grecia? Nessuno ti si oppone; e quelli che ti hanno resistito sono finiti come meritavano.

Te lo dico io come andranno le cose per i nostri nemici: se tu non ti fai trascinare in una battaglia sul mare, ma tieni le navi qui, presso la costa, che tu stia fermo o che avanzi sul Peloponneso, facilmente, mio signore, raggiungerai lo scopo che ti eri prefissato con la tua spedizione, perché i Greci non sono in grado di tenerti testa a lungo…” (VIII, 68)

Serse rimane impressionato dal ragionamento di Artemisia, tanto che la sua stima nei suoi confronti aumenta ma, purtroppo per lui, non le dà retta. E’ convinto della superiorità della sua flotta (che era innegabile, numericamente parlando) e ritiene che il deludente risultato di Capo Artemisio fosse dovuto alla sua assenza. Nella nuova battaglia però, lui sarà lì presente, ad assicurarsi, dall’alto del Monte Egaleo, che tutti i suoi ammiragli facciano il loro dovere. D’altronde, si tratta solo di bloccare i due accessi allo Stretto per arrivare a una facile vittoria: la flotta greca sarebbe rimasta senza via d’uscita.

Schieramento iniziale della Battaglia di Salamina

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Il Re dei Re non immagina di andare incontro a una clamorosa sconfitta, perché l’astuto Temistocle lo ha attirato in una trappola: il grande numero di navi dei Persiani (addirittura 1207 secondo Erodoto, a fronte delle 378 greche – ma il calcolo non è affidabile), probabilmente invincibili in mare aperto, diventano uno svantaggio nella piccola baia, perché si ostacolano a vicenda. Artemisia è presente con le sue cinque trireme.

Le navi greche affrontano con i loro rostri la prima linea dello schieramento persiano, che è costretta ad arretrare, impacciando così le manovre della seconda e terza linea. Quando muore Ariabigne, fratello di Serse, la flotta persiana piomba nel caos, tanto che le navi fenicie, considerate le migliori, finiscono per arenarsi. A recuperare il corpo di Ariabigne, secondo il racconto di Plutarco, è proprio Artemisia, che incurante della taglia di 10.000 dracme posta sulla sua testa dai greci, non smette di combattere come una leonessa. Nel caos di acqua, frecce, fasciame che si schianta, la trireme di Artemisia viene presa di mira da una nave ateniese. La sua contromossa ha dell’incredibile:

Quando ormai le forze del re erano in preda a una terribile confusione, la nave di Artemisia si trovò braccata da una nave attica; non poteva più sfuggire (davanti aveva altre navi amiche, la sua era la più vicina a quelle nemiche) ed ecco cosa decise di fare, e riuscì nel suo intento: inseguita dalla nave attica, speronò una nave amica di gente di Calinda, sulla quale era imbarcato il re dei Calindi in persona, Damasitimo. Non so dire davvero se avesse qualche conto in sospeso con lui, di quando stavano ancora all’Ellesponto, e se fece quel che fece con premeditazione o se la nave di Calinda si trovò per caso in rotta di collisione. Dopo averla speronata e affondata, ebbe la fortuna di trarne due vantaggi: il trierarca della nave attica, vedendola assalire una nave barbara, credette che la nave di Artemisia fosse greca oppure che stesse cambiando bandiera e passando a difendere i Greci; perciò virò di bordo e attaccò altre navi“.(VIII, 87)

La Battaglia di Salamina – particolare di Artemisia

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La manovra non passa inosservata a Serse, convinto che Artemisia abbia affondato una nave nemica. Erodoto continua: “Fra l’altro, a quanto si narra, le andò anche bene che nessuno della nave di Calinda abbia potuto salvarsi per accusarla. Pare che Serse abbia allora così commentato l’informazione ricevuta: ‘Gli uomini mi sono diventati donne, e le donne uomini’.” (VIII, 88)

Secondo un esperto di tattiche militari del II secolo d.C, Polieno, nonostante Serse sia poi venuto a conoscenza della vera dinamica dei fatti, premia Artemisia regalandole un’armatura oplitica completa, mentre dona al comandante della nave un fuso e una conocchia, per sottolineare come la regina si fosse distinta rispetto ai suoi ufficiali (maschi). Polieno racconta anche che Artemisia usava abitualmente uno stratagemma per trarre in inganno i nemici: cambiare le sue insegne e la bandiera a secondo della nave che si trovava di fronte, sia per potersi allontanare da una situazione di pericolo, sia per sferrare un attacco a sorpresa.

Serse chiede nuovamente il parere di Artemisia sul comportamento da tenere dopo quella clamorosa sconfitta. Il consiglio di Artemisia è saggio, e Serse questa volta lo segue: lascia Mardonio in Grecia e lui se ne torna a casa:

… perché se, da una parte, [Mardonio] ottiene la conquista che promette e l’impresa che intende intraprendere va a buon fine, voi, signore, guadagnerete molto aggiungendo quei vassalli ai vostri domini; d’altra parte, se l’affare va a Mardonio contrariamente a quel che pensa, non sarà una perdita considerevole per lo stato, lasciandoti al sicuro, e gli altri interessi della tua casa e del tuo impero ben costituiti …” (VIII, 102)

Come ultimo incarico, Serse affida ad Artemisia alcuni dei sui figli illegittimi, che lo avevano seguito nella spedizione, perché li accompagni a Efeso. Questa è l’ultima notizia che Erodoto fornisce su Artemisia, poi della sua vita non si sa più nulla, fino a quando Fozio non ne torna a parlare, molti secoli dopo, raccontando del suo suicidio.

Ma secondo voi è credibile che una donna con il temperamento di Artemisia si sia uccisa per problemi di cuore?


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