Artemisia Gentileschi: il suo stupro dietro alla sua “Susanna e i Vecchioni”

Artemisia Gentileschi fu una grande artista che visse in un periodo della storia dove la figura della donna era ancora oggetto di discriminazioni. L’opera che più rappresenta questo suo stato sociale fu la tela “Susanna e i Vecchioni”, un dipinto che secondo la critica venne realizzato nel 1610. L’opera si trova a Pommersfelden, in Germania, presso la Collezione Graf von Schönborn. Molti studiosi mettono in dubbio che possa essere un’opera di Artemisia perché nel 1610 aveva solo 17 anni, ed era impossibile che avesse già una tecnica così raffinata.

Secondo recenti studi il dipinto potrebbe essere datato al 1612, spostando di fatto anche l’anno in cui, con altissima probabilità, Artemisia subì il celebre stupro da parte di Agostino Tassi. E’infatti noto che il Tassi, in quell’anno, si trovasse al Palazzo Pallavicini Rospigliosi in Roma con il padre di Artemisia, e cioè l’amico e collega Orazio Gentileschi. E’ dunque ipotizzabile che la violenza ai danni di Artemisia sia stata consumata all’insaputa del Cardinal Borghese, proletario del palazzo in quel periodo, proprio all’interno di queste mura.

La pittura di Artemisia è sempre molto autobiografica, era solita infatti ritrarre sé stessa nei suoi dipinti, anche a volte da martire, come nel caso della sua “Santa Caterina d’Alessandria” e questa composizione della “Susanna e i Vecchioni” è l’opera che più di tutte rappresenta un tassello importantissimo della sua vita. Il tema iconografico trattato nella tela è ispirato all’omonimo episodio biblico narrato nel capitolo 13 del Libro di Daniele, soggetto molto presente nelle raffigurazioni pittoriche, soprattutto nel periodo Barocco e soprattutto tra gli artisti che vissero e lavorarono a Roma nella prima metà del 1600.

Uno dei pittori più importanti del panorama barocco italiano che lavorò a questa iconografia pittorica è sicuramente il Maestro Guido Reni, che dipinse la sue due prime versioni, molto probabilmente nel 1612 quando si trovava anche lui al Palazzo Pallavicini.

E’ dunque possibile che Reni vide o sapesse ciò che era accaduto ad Artemisia?

Entrambi dipinsero l’opera nello stesso anno e nello stesso luogo, e non è un caso che il volto che Reni diede alla sua Susanna fosse molto simile a quello della nostra Artemisia, la quale come Reni e altri artisti, scelsero di dipingere proprio la scena centrale del racconto biblico. Nel dipinto la giovane e seducente Susanna sta facendo il bagno quando le si avvicinano i due anziani, questi ultimi nell’intento di avere un rapporto amoroso con lei, minacciandola di accusarla di adulterio in caso di rifiuto.

La bella Susanna rifiutò e venne dunque accusata dai due vecchi, ma sfuggì comunque alla pena di morte riuscendo a dimostrare la sua innocenza. Decisamente autobiografico il tema dell’opera, perché anche Artemisia riuscì in tribunale a dimostrare la sua innocenza, vincendo la causa contro il Tassi. Nel dipinto si nota il personaggio sulla destra raffigurato non poi così vecchio e, dai lineamenti e dai colori, sembra proprio ricondurci al Tassi, l’uomo che aveva abusato di lei.

Ovviamente le nostre sono ipotesi, ma se confermate da ulteriori studi potrebbero cambiare il corso di una storia che ha appassionato milioni di studiosi e non solo, che presi dalla voglia di scoprire la verità su questa vicenda si sono inoltrati nei più disparati e complessi pensieri, me compresa. Ma al di là della vicenda che si cela dietro a questa tela, quel che ci rimane è sicuramente il poter apprezzare un’opera bellissima che esprime tutta la grandezza di una donna, la prima e unica che seguì con minuzioso amore le orme del grande Caravaggio e che riuscì a imporsi come pittrice, rimasta nella storia come esempio di coraggio e di bellezza per tutte le donne che ogni giorno lottano contro la violenza.