Sud America – Pizarro era impegnato nella conquista del Perù. Il suo nome era sulla bocca di tutti e le sue storie facevano fantasticare gli arditi conquistatori che tutto avevano scommesso sul Nuovo Mondo e sulle promesse di terre ricche d’oro nascoste in quell’inesplorato continente in attesa che qualcuno le scoprisse e depredasse.
La ricca famiglia di banchieri tedeschi dei Welser aveva ormai fondato i suoi interessi sulla costa settentrionale del Venezuela dove, mentre il governatore Ambrosius Ehinger era in viaggio nell’entroterra alla ricerca d’oro, inviò il giovane rampollo di una ricca famiglia: Nicolaus Federmann.
Nicolaus Federmann:
Poco dopo l’arrivo del giovane, Ehinger tornò a Coro, la colonia fondata in nome della famiglia di banchieri, per poi ripartire subito dopo per Santo Domingo alla ricerca di fondi in vista di un’altra spedizione. Federmann si trovò a dover sostituire il connazionale nell’amministrazione della piccola e tranquilla colonia, un compito che gli andava assai stretto.
Infatti anch’esso decise di partire, guidando un corposo gruppo di europei e portatori indigeni, verso le sconosciute contrade meridionali. Foreste e colline di difficile percorrenza dovettero essere superate, mentre gli attacchi dei nativi che le abitavano non gli davano quartiere, prima di tornare indietro portando oro e storie delle ricchissime terre dell’ovest. Ehinger sarebbe morto a breve, lasciando il posto a Federmann, presto declassato dall’arrivo del nuovo governatore Hohemut, mosso anch’esso dalla cupidigia che lo porterà nell’entroterra, orientato dalle storie dei suoi predecessori, perciò avanzando praticamente alla cieca.
Nonostante ciò, si spinse abbastanza in là da individuare l’altopiano che, secondo i nativi, ospitava una ricca tribù e la sorgente del fiume Meta (il corso d’acqua da tempo considerato la via per la terra dell’oro). La sorgente, nonostante gli assalti e le incessanti piogge, fu raggiunta. Proseguendo avrebbe trovato il fatidico regno. Le montagne erano, però, impervie e il valico per raggiungere l’agognata destinazione introvabile. Hohemut dovette, perciò, ritornare a Coro. Ma Federmann non si trovava lì ad accoglierlo. Era partito anche lui, in direzione sud-ovest, tenendosi alla larga dal governatore.
Era il 1536. Dalla città spagnola di Santa Marta partiva Gonzalo Jimenez de Quesada, sotto comando di de Lugo, il promotore della spedizione di Pizarro in Perù.
Gonzalo Jiménez de Quesada:
Costantemente attaccati dalle frecce indigene, attraversarono la foresta sino al fiume Magdalena, aprendosi il sentiero a colpi di machete e subendo gli attacchi dei feroci predatori. Alla foce del fiume avrebbero dovuto incrociare dei brigantini inviati con uomini e provvigioni. La stagione delle piogge era giunta, il fiume ingrossava, l’accampamento stava ormai su un acquitrino e gli indigeni divenivano sempre più ostili. Intanto le provviste scarseggiavano e le febbri indebolivano gli uomini. I brigantini erano stati colpiti dalla piena che trasportava verso il mare pericolosi detriti. Alcune navi vennero perdute. Quesada intanto era partito, contando di incontrare i rinforzi più avanti. Lungo il percorso incontrò disertori della spedizione Ehinger, accampati lì da ben cinque anni. Il corpo proseguì con non poche difficoltà, perdendosi nella giungla e navigando controcorrente a bordo di fragili canoe. Vennero comunque raggiunti dai brigantini. Santa Marta era nel caos e de Lugo morto.
Quesada si ritrovava dimenticato da tutti in una foresta inestricabile, che si era rivelata un pericoloso labirinto di alberi, fiumiciattoli e pantani. Il Magdalena era l’unico riferimento. Malattie e animali selvatici insidiavano la spedizione. Gli insediamenti di nativi erano già stati distrutti da Ehinger. Non c’era niente da saccheggiare. Un solo villaggio verrà trovato più avanti insieme a campi di grano. Provvidenziale sarà la scoperta di alcune canoe abbandonate più in là, dove verrà trovato del sale in blocchi, merce che sapevano, da alcune storie raccontate da nativi di insediamenti siti a nord, trasportato dalle tribù del sud. E proprio proseguendo verso sud arriveranno a una vasta pianura. Nei villaggi riuscirono a riprendere fiato. Presto ripresero la marcia, ma una piena improvvisa distrusse le loro provviste. Dovevano proseguire. Gli uomini perivano, ma finalmente raggiunsero un villaggio, dove chiesero di essere guidati fino alla terra dell’oro. Un’ultima serrata battaglia precederà l’arrivo degli spagnoli a Cundinamarca.
Contemporaneamente, passando dalla palude di Maracaibo, Federmann si inoltrava nei llanos dell’Orinoco, imbattendosi in un gruppo di disertori della spedizione d’Ortal (esploratore che un anno prima tentò, infelicemente, la ricerca del fatidico luogo). Uscito da questa zona attraversò il Meta. Ben presto gli giunse notizia delle difficoltà incontrate da Hohemut più a sud. Decise così di dirigersi in quella direzione, ma non per dare man forte al governatore, bensì per trovare il valico. Dimezzato e logorato dalle fatiche, il contingente marciava su un terreno accidentato, in un territorio caratterizzato da forti sbalzi di temperatura, stanco e avvilito. Le loro fatiche verranno, tuttavia, ricompensate. Dopo innumerevoli tentativi la distesa erbosa dell’altopiano era di fronte ai loro occhi. Avevano raggiunto la cima. Federmann non perse tempo e mandò il suo ufficiale Limpias in ricognizione. Non erano soli.
L’altopiano stava per essere raggiunto da un altro spagnolo: Sebastian de Belalcazar.
Compagno del conquistatore Pizarro, dopo l’assassinio del sovrano peruviano Atahualpa venne inviato a presidiare la città di San Miguel: ordine puntualmente disatteso. Aveva ricevuto notizie dell’oro di Quito, da parte di una tribù ostile all’ormai debole controllo inca. La città era spoglia e la ricerca si accompagnò alla messa a ferro e fuoco della regione. Sarà un nativo originario della regione di Bogotà a raccontare allo spagnolo dell’oro e dell’uomo dorato (pare sia stato proprio Belalcazar a coniare l’appellativo El Dorado).
Era il 1536. La partenza non poteva più aspettare. Doveva arrivare al suo tesoro. A sua insaputa anche Federmann e Quesada stavano partendo. Bogotà era l’obiettivo, circondata da spregiudicati cercatori d’oro. Belalcazar si diresse subito a nord, verso la provincia di Popayan, rapidamente conquistata facendo terra bruciata. Seguendo il Rio Cauca verso nord, stabilì un paio di basi in cui lasciare alcuni dei suoi. La notizia dell’iniziativa di Belalcazar non piacque a Pizarro, il quale inviò un suo uomo di fiducia all’inseguimento. Per l’ambizioso traditore non restava che trovare l’oro e imbarcarsi per la madrepatria, dove si sarebbe appellato alla misericordia regia. La strada era però ricca delle insidie che nascondevano quelle zone mai battute dagli europei. I nativi li insidiavano con continue raffiche di frecce avvelenate, contro cui ci si poteva solo mutilare, asportando la parte intorno alla ferita, per evitare la morte. Ma ormai erano quasi arrivati. L’Eldorado era circondato. Belalcazar decise così di accamparsi poco lontano.
L’altopiano era però già stato preso. Ci aveva pensato Quesada. Egli non perse tempo e mandò una delegazione a sud, dove incontrò Belalcazar, mentre il fedele di Federmann, Limpias, raggiungeva Quesada. Nel febbraio del 1539 i tre dispersi, lasciando da parte rivalità e possibili conflitti che avrebbero solo causato un inutile massacro, si incontrarono nella città dell’El Dorado. Era l’ora dei festeggiamenti e della diplomazia, che andò felicemente a buon fine tramite alcuni donativi e la promessa che sarebbero tornati insieme in Spagna. I tre, così, si imbarcarono seguendo il Magdalena, che li portò a Cartagena e da lì nel Vecchio Continente.