“Historia magistra vitae”, dicevano i Latini: la Storia è maestra di vita. Una massima che purtroppo tendiamo a dimenticare, non solo trascurando le chiavi di lettura che gli eventi del passato possono suggerire al presente, ma considerando spesso, fin dai banchi di scuola, lo studio di questa materia come una fastidiosa necessità, più che come un’avvincente opportunità di conoscere ciò che l’umanità è oggi, nonostante la cronaca quotidiana si radichi molto spesso in eventi accaduti anche secoli prima di noi. Per fortuna non è impossibile colmare queste lacune, pur senza essere studiosi professionisti: oggi esiste la possibilità di conoscere la Storia grazie a meritorie pubblicazioni, come La Grande Storia, che ci consentono di trovare in edicola preziosi approfondimenti su personaggi storici, battaglie, trattati, civiltà e periodi del passato più o meno lontano, da Annibale a Amenofi, da Gutenberg ai Cherokee, così da potere aumentare il nostro bagaglio culturale e capire alcune problematiche della contemporaneità.
Prendiamo ad esempio l’Impero Romano: l’abbiamo studiato fin dalle elementari, eppure, se non ne abbiamo avuto modo nel corso dei studi successivi di approfondirne la conoscenza, è difficile avere una comprensione completa della sua importanza storica, sociale e culturale. In realtà si tratta di una delle vicende più complesse ed esaltanti dell’umanità, segnata da incredibili conquiste militari, innovazioni urbanistiche e tecnologiche utilizzate ancora oggi e intensi scambi culturali, che portarono Roma a essere la capitale di un territorio estesissimo. L’impero copriva tutto il bacino mediterraneo e gran parte dell’Europa con i suoi diversi popoli, dai Britanni alle popolazioni africane, dagli Iberici fino agli Illiri, oltre la Grecia e l’Anatolia. Un’epopea fatta di guerrieri e politici, generali e imperatori, filosofi e commercianti, e di epiche battaglie contro valorosi nemici, uno dei quali è diventato una figura quasi mitica. Stiamo parlando di Annibale Barca e della sua fantastica impresa militare, che lo portò dall’Africa a varcare le Alpi e ad un passo dalla distruzione di Roma, duecento anni prima della nascita di Cristo.
Chi era, dunque, Annibale? Prima di tutto un capacissimo condottiero, definito dagli storici moderni (ma anche da quelli del suo tempo) uno dei più grandi generali dell’antichità, e poi un abile uomo politico, proveniente da Cartagine, nell’odierna Tunisia. Acerrimo nemico di Roma, fu l’ideatore di un piano militare tanto ardito quanto efficace che minò in maniera fino ad allora imprevedibile la potenza militare e strategica dell’Impero. La sua idea fu quella di colpire Roma prendendola alla lontana, e, anziché attaccarla via mare, risalire la Spagna (terra che era stata conquistata proprio dal padre Amilcare e di cui lui aveva esteso i domini cartaginesi fino all’importante città romana di Sagunto),passare in Francia dai Pirenei, varcare le Alpi e quindi scendere nel Lazio. Un’impresa eccezionale che costituì la seconda Guerra Punica (218-201 a.C.) e che, dopo innumerevoli vittorie da parte dell’esercito cartaginese negli scontri diretti, anche in territorio italico, sul Ticino, sul lago Trasimeno e soprattutto a Canne (in Puglia), si concluse tuttavia, dopo anni di strenui combattimenti con la sua armata, con la riscossa di Roma, che condusse all’assedio di Cartagine e alla definitiva sconfitta di Annibale a Zama.
La Grande Marcia di Annibale partì nel 218 a. C. (il condottiero non aveva ancora compiuto trent’anni), e venne effettuata con più di centomila soldati provenienti da diverse regioni della Spagna e dell’Africa, accompagnati da trentasette elefanti. Il cammino fu estenuante e rallentato da feroci battaglie contro le popolazioni locali, contro molti traditori interni, e da alcuni passaggi quasi incredibili, come il guado del Rodano, compiuto sotto l’attacco della popolazione dei Volsci, con i pachidermi trasportati a gruppi di sei su enormi zattere. Ma niente può eguagliare, probabilmente, il valico delle Alpi, attraversate sotto la neve e in condizioni difficilissime tanto per gli uomini quanto per gli animali, e con le difficoltà della salita ampiamente superate da quelle della discesa, per strade molto più scoscese e pericolose. Quindici giorni ai limiti del possibile, tra il freddo, l’ostilità del territorio e dei suoi abitanti, ma superati grazie all’enorme carisma di Annibale e al coraggio che sapeva infondere nei suoi uomini. Da lì in poi, la strada verso Roma sembrava in discesa, contrassegnata dalle umilianti sconfitte per l’esercito romano cui si è fatto cenno sopra, ottenute anche grazie all’alleanza con le locali tribù galliche. Ma, contrariamente alle sue previsioni, Annibale non riuscì mai ad ottenere l’appoggio delle popolazioni italiche, così che gli fu impossibile sferrare un attacco diretto a Roma, nonostante fosse giunto anche a soli tre chilometri dalla città. Anzi, la sfiancante controffensiva, attendista ma efficace, del generale Quinto Fabio Massimo, permise all’esercito imperiale di riorganizzarsi e di attaccare Cartagine, costringendo così Annibale a tornare in patria per difenderla, ma non al punto da evitare la sconfitta, nel 201 a.C. Dopo la disfatta militare tornò al potere nel 195 a.C., ma la sua figura era malvista dagli oligarchi cartaginesi, che lo costrinsero all’esilio, fino alla morte, avvenuta nel 183 a.C.
Un grande esempio di audacia, intelligenza e leadership, quello di Annibale. Uno dei tanti che la Storia ci consente di ammirare e prendere a modello.