Molti di noi immaginano l’Illuminismo come un periodo di “luce” e di nuove, lungimiranti scoperte, che permisero all’umanità di uscire dal “buio” della superstizione e dell’ignoranza. Tuttavia, quando la demoiselle Angélique-Marguerite Le Boursier Du Coudray vide la luce, questa nuova visione del mondo non era che agli albori, e furono necessarie grandi battaglie, senza esclusione di colpi, per far sì che si verificassero cambiamenti realmente significativi anche nel pensare comune.

Doveva essere figlia di genitori lungimiranti, Angélique, dal momento che, pur avendo visto la luce nel 1714, in quel di Clermont-Ferrand, in una famiglia di medici, ebbe la possibilità di coltivare la propria passione per la medicina e di approfondirla con attenti e scrupolosi studi. Aveva venticinque anni quando terminò il proprio apprendistato triennale e superò a pieno titolo gli esami per l’abilitazione alla Scuola di Chirurgia che, però, non ammetteva donne tra gli studenti.
Senza perdersi d’animo, Angélique organizzò una petizione in cui chiedeva alla Facoltà di Medicina dell’Università di Parigi di estendere l’insegnamento anche alle ostetriche che, fino a quel momento, venivano considerate, né più, né meno, alla stregua di semianalfabete praticanti la medicina popolare.
Non dimentichiamo che, agli inizi del 1700, vigeva ancora una rigorosa separazione tra professioni ritenute maschili e professioni cosiddette “femminili”: il mondo della medicina, in modo particolare, era ancora profondamente permeato da un maschilismo imperante e non dovette essere facile, per le donne che non si rassegnavano a condurre un’esistenza circoscritta al ruolo prescritto dal loro genere, portare avanti battaglie per il riconoscimento delle loro capacità intellettuali. Si parla, qui, di una tra le tante lotte “al femminile” che costituiscono delle vere e proprie pietre miliari nella storia dell’umanità.
La petizione colpi’ nel segno e Angélique la spuntò: i corsi furono aperti anche alle donne
La guerra, comunque, era ben lungi dall’essere vinta, dal momento che i colleghi maschi, decisi a conservare i loro privilegi, attuarono una sorta di ostruzionismo, tentando di impedire alle colleghe donne l’accesso alla specializzazione.

La tenace Angélique, per la seconda volta, ben lungi dal darsi per vinta, organizzò una nuova protesta, alla testa di tutte le sue colleghe: fu lei stessa a dover difendere strenuamente le motivazioni sue e delle sue colleghe davanti a una commissione, e lo fece con tale competenza e fervore, con una tale e stringente logica, che il mondo della medicina dovette piegarsi ancora una volta e concedere a tutte le ostetriche una formazione adeguata.
Non si fermò qui, il percorso di Angélique. In brevissimo tempo divenne direttrice della sezione di ostetricia dell’Hôtel Dieu di Parigi, e portò avanti una vera e propria missione di divulgazione con profondo impegno politico e sociale, sostenendo che non solo era fondamentale specializzarsi, per poter praticare l’ostetricia, ma anche “allenarsi”, per alleviare, il più possibile, i danni e le sofferenze connesse all’esperienza del parto.
Divenne una guida per tutte coloro che volevano diventare ostetriche. Nacque così la “machine”, un manichino che simulava la parte inferiore del corpo di una donna, a grandezza naturale, fatto di tessuto, pelle e imbottitura, con cinghie e stringhe che dovevano riprodurre l’allungamento del canale e del perineo durante il parto, per spiegarne il processo. Completava il tutto un manichino infante, dotato di naso sagomato, orecchie cucite, capelli disegnati e bocca aperta. Il modello era così adeguato a praticare nascite simulate e così aderente al vero che l’Accademia di Chirurgia lo approvò come idoneo per la “pratica di parto”.

Nel 1759, per unire teoria e pratica, la Du Coudray scrisse un testo intitolato “Abrégé de l’art des accouchements”, debitamente corredato di illustrazioni a colori, che comprendeva i contenuti di tutte le sue lezioni: ben 38 capitoli sugli organi riproduttivi femminili, le appropriate cure prenatali, l’ostetricia, le eventuali problematiche perinatali e alcuni casi “eccezionali”. Il testo ebbe una larghissima diffusione e fu tradotto in molte lingue.

Nel 1759, Luigi XV in persona volle incontrare la Du Coudray per chiederle di insegnare anche alle popolane delle aree rurali della Francia come far partorire le altre donne; le diede una patente e una pensione affinché potesse viaggiare: questo fu un efficace tentativo di ridurre drasticamente la mortalità alla nascita, che all’epoca raggiungeva picchi vertiginosi.

Si stima che, dal 1760 al 1783, viaggiando per tutta la Francia e condividendo la propria, vasta esperienza con le povere donne di campagna, la Du Coudray abbia insegnato in almeno quaranta centri urbani e istruito circa 10.000 donne, nonché 4.000 studenti, che, a loro volta, istruirono altre donne, e più di 500 chirurghi e medici maschi. In un trentennio formò oltre 30.000 studenti, divenendo a pieno titolo una figura-simbolo del progresso medico in Europa.

Morì a Bordeaux, il 17 aprile del 1794, in circostanze misteriose, durante “la Terreur” che seguì alla Rivoluzione Francese, forse proprio perché aveva ricevuto quell’incarico dal re. Ad oggi, presso il museo Flaubert e La Storia della Medicina a Rouen, sono visionabili due degli innumerevoli manichini della donna che, con ago e filo, segnò la svolta nella storia dell’ostetricia.