Anno 1962: la Milano da bere è ancora di là da venire, il centro della dolce vita è Roma. Ma in quello scorcio dei leggendari anni ’60, uno scandalo rosa scuoterà la città lombarda, con un sottofondo di razzismo non ancora da mascherare, tra grandi ricchezze e titoli nobiliari da una parte, e povertà e voglia di riscatto dall’altra.
Neve e nebbia a Milano nel 1960
Immagine di Paolo Monti/Fondazione BEIC via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Milano, industriosa ed efficiente, ha appena avuto la grande soddisfazione di laurearsi campione d’Italia con la squadra del cuore, il Milan.
Sono gli anni degli allenatori Gipo Viani e del suo vice Nereo Rocco, che mettono insieme una squadra di futuri campioni: Gianni Rivera, Cesare Maldini, Giovanni Trapattoni e Josè Altafini, che è brasiliano di nascita ma figlio di genitori italiani. Proprio Altafini garantisce per una promessa del calcio brasiliano, José Germano de Sales, brasiliano anche lui, ma di colore.
José Germano de Sales con la maglia del Milan – 1962
Immagine di pubblico dominio
Qualcuno scriverà che è “il primo negro arrivato in Italia” (all’epoca si poteva ancora usare la parola negro), ma non è del tutto vero: prima di lui c’è stato Roberto La Paz, giocatore uruguaiano in forza al Napoli.
Il Milan all’esordio di Germano
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Germano gioca in Brasile nella squadra del Flamengo, e Rocco è convinto del suo valore, che il ragazzo ventenne non tarda a dimostrare: segna un gol contro l’Union Luxembourg nella Coppa Campioni che poi sarà vinta proprio dal Milan. All’inizio del campionato italiano segna tre gol in cinque partite, ma nonostante questo il ragazzo fatica a inserirsi: in squadra, con l’allenatore che lo chiama Bongo Bongo e nell’ambiente sportivo, che discute se sia cosa buona e giusta far giocare un negro nel campionato italiano.
Anche quella città nebbiosa, tanto diversa dall’assolata e gioiosa terra da cui proviene, non fa per lui. Passa le sue giornate da solo nella foresteria del centro di Milanello, e destino vuole che un giorno incontri, in un maneggio in quel di Gallarate, una giovane amazzone: Giovanna Agusta. E’ amore a prima vista, ma di quegli amori impossibili.
Se non fosse bastata (ed è già troppo in quegli anni) la differenza di colore della pelle, ad aggiungere difficoltà a quella relazione c’è la posizione sociale di lei, figlia del conte Domenico Agusta, che possiede la nota fabbrica di motociclette (quelle sulle quali corre l’indimenticato Giacomo Agostini) e di elicotteri.
Domenico Agusta
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Vuoi perché il calciatore non riesce a inserirsi “nel nostro mondo e nello spirito del nostro gioco” (dirà Nereo Rocco), vuoi perché qualcuno preme per allontanarlo, alla fine Germano viene ceduto in prestito al Genoa, dopo dodici partite. Poi torna al Milan, ma lo ferma un incidente stradale, e dopo non giocherà più nella squadra lombarda.
Germano e Rivera
Germano torna in Brasile, ma quella storia d’amore impossibile non finisce con la lontananza: Giovanna lo rassicura e gli promette di sposarlo, a dispetto della famiglia e del mondo intero.
Nel 1966 Germano torna in Europa e va a giocare allo Standard Liegi, in Belgio. Lì lo raggiunge la contessina, i due si nascondono in una modesta pensione e fanno sapere che si sposeranno, visto che Giovanna è ormai maggiorenne.
E’ lo scandalo dell’anno, che farà scrivere fiumi di parole sui giornali di tutto il mondo. Il conte Agusta è furibondo, nega il consenso, poi lo concede a patto che il matrimonio sia celebrato solo con rito civile. La data delle nozze viene fissata per l’11 marzo 1967, ma il giorno prima avviene un colpo di scena: Domenico Agusta fa recapitare a Germano, tramite un ufficiale giudiziario belga, un’istanza formale di opposizione al matrimonio. Tutti hanno da dire la loro sulla vicenda: rotocalchi, avvocati, sociologi e perfino teologi.
Durante l’udienza in tribunale, a Liegi, c’è un nuovo colpo di scena che rimescola le carte: un certificato medico, presentato dai due fidanzati, attesta che Giovanna aspetta un bambino. A quel punto il matrimonio s’ha da fare, e il 17 giugno 1967 José e Giovanna finalmente convolano a nozze.
Poi c’è il viaggio di nozze in Brasile, la nascita della figlia, chiamata Lulù, e l’allontanamento di Giovanna dalla famiglia. Germano, nel 1968 si ritira dal calcio professionistico, e nel 1970 arriva la separazione dalla moglie: quell’amore così tenace nella lontananza non regge agli ostacoli della quotidianità e forse alle pressioni del padre di lei. Il conte offre una buonuscita all’ex calciatore, e riaccoglie in famiglia Giovanna e Lulù, che non rivedrà mai più il padre, solo dopo la separazione.
Josè compra, con i soldi di Agusta, una fazenda a Conselheiro Pena, dove è nato, dove si rifarà una famiglia e dove poi morirà, a soli 55 anni, d’infarto. E’ il 4 ottobre del 1997, trent’anni dopo quella breve storia d’amore che aveva (poco) commosso e (tanto) indignato il mondo intero.
Veduta di Conselheiro Pena – Minas Gerais – Brasile
Immagine di HVL via Wikimedia Commons – licenza CC BY 3.0.