Amici… regali: i singolari “cuccioli” degli imperatori romani

Il rapporto tra uomini e animali risale alla notte dei tempi, e si è evoluto in modo complesso e affascinante attraverso le varie civiltà.

Anche gli antichi Romani hanno lasciato diverse testimonianze in questo senso; tuttavia, la Storia di ieri come quella di oggi tende a concentrarsi sui grandi, e quando si parla di loro niente è ordinario, nemmeno i loro amici a quattro (o più) zampe.

Certamente, in tanti ricordano dalle lezioni di Storia la vicenda di Incitatus, il coccolatissimo cavallo che il truce Caligola, imperatore a Roma dal 37 al 41 dopo Cristo avrebbe elevato al sacerdozio (secondo lo storico Dione Cassio) o addirittura considerato per la carica di console (come riporta invece Svetonio).

Il chiaro segno dell’instabilità mentale di un tiranno pericoloso, o soltanto un palese gesto di scherno verso l’aristocrazia tanto gelosa delle proprie cariche ereditarie quanto a lui ostile?

Difficile stabilirlo; quel che invece è certo è che Caligola non fu l’unico membro della sua famiglia ricordato dai cronisti per i curiosi onori tributati a un animale: la nonna paterna Antonia, ad esempio, era nota per il suo allevamento di murene, e per aver regalato a una di esse un paio di orecchini, come ricordato da Plinio il Vecchio nel nono libro della sua Storia Naturale:

In quella stessa villa [una residenza presso Bauli, l’attuale Bacoli in Campania, già appartenuta all’oratore Ortensio] Antonia moglie di Druso mise degli orecchini a una murena che prediligeva; e per la notorietà di questo fatto molti desiderarono visitare Bauli.

Forse il dono e la fama improvvisa furono gradite, o forse no; sappiamo però che anche nei secoli successivi amici a dir poco singolari ricevettero il favore degli Augusti.

Durante il suo breve regno (218-222 d.C.), il giovanissimo Eliogabalo diede scandalo per diverse ragioni, dalle esotiche idee religiose imposte ai sudditi alla sua caotica vita matrimoniale, dalla sua incerta identità di genere all’abbigliamento a dir poco provocante: un fatto meno noto, invece, è il suo bizzarro interesse per i ragni e soprattutto per le ragnatele, come menzionato nella Historia Augusta, raccolta affascinante ma invero tarda e spesso poco affidabile di biografie imperiali.

Egli era inoltre solito burlarsi dei suoi schiavi, anche ordinando loro di portargli mille libbre di ragnatele; e ne raccolse, si dice, diecimila libbre, dichiarando poi che da ciò era possibile capire che grande città fosse Roma.

Ma l’interesse per la zoologia dell’inquieto adolescente a quanto sembra non finiva qui; così prosegue infatti il racconto:

Era anche solito mandare ai suoi dipendenti vasi di rane, scorpioni, serpi e simili bestie, come loro pensione annuale, e usava rinchiudere un gran numero di mosche in recipienti di quel tipo, chiamandole api addomesticate“.

Quasi altrettanto stravagante ma ben più deprimente può dirsi la grottesca reazione di Onorio, imperatore romano d’Occidente dal 395 al 423 dopo Cristo, alla sconvolgente notizia del sacco di Roma per mano dei Visigoti di Alarico, nel 410 d.C.

Così scriveva nel VI secolo dopo Cristo lo storico Procopio di Cesarea nel secondo capitolo del terzo libro della sua Storia delle Guerre:

In quel tempo si dice che l’imperatore Onorio a Ravenna ricevette notizia da uno dei suoi eunuchi, evidentemente un guardiano dei polli, che Roma era perduta. Ed egli gridò e disse “Eppure ha appena mangiato dalle mie mani!”. Questo perché possedeva un gallo enorme, chiamato Roma; l’eunuco, comprese le sue parole chiarì che era la città di Roma ad essere perduta per mano di Alarico, e l’imperatore con un sospiro di sollievo ribattè prontamente: “Ma io, amico, temevo che il mio pollo Roma fosse morto”. Tale, dicono, era la follia da cui era posseduto questo imperatore“.

L’autenticità della storiella è impossibile da confermare appieno, ma l’episodio ben rappresenta la crisi dell’Impero, che proprio in un momento tanto critico si ritrovava in mano ad un sovrano incompetente, che doveva il potere solo al diritto di nascita.

Tuttavia, se in Occidente la civiltà romana era ormai avviata al declino, in Oriente lo Stato romano era invece destinato a durare ancora a lungo, protetto dalle possenti mura di Costantinopoli, la Nuova Roma: e proprio laggiù, mezzo millennio dopo Onorio, un altro monarca prese in simpatia un animale… più o meno.

Il bieco Alessandro, imperatore dal 912 al 913 dopo Cristo, si distinse per diverse iniziative, tutte pessime, tra cui la minaccia di evirare il giovane nipote Costantino (oltre a lui, l’unico erede maschio della famiglia), l’inizio di una guerra con la vicina Bulgaria (destinata a protrarsi per anni dopo la sua morte e a portare l’Impero sull’orlo del collasso), e lo straordinario attaccamento per un maiale, più precisamente un verro.

Un verro, però, molto particolare: si trattava infatti di una statua di bronzo, una delle tante che da tempo immemorabile adornava l’Ippodromo di Costantinopoli, centro della vita pubblica della città e dello Stato.

Sotto gli sguardi scandalizzati dei cristianissimi abitanti della Seconda Roma, ma incoraggiato da maghi e indovini, il sovrano trascorreva ore davanti alla scultura, offrendole dei veri e propri sacrifici pagani, ritenendolo un simulacro della sua stessa anima, e coltivando la speranza, si diceva, di essere guarito dall’impotenza di cui soffriva.

Sull’efficacia degli scioccanti rituali le fonti in nostro possesso (come la Vita Euthymii, Teofane Continuato, e la più tarda Sinossi di Giovanni Scilitze) tacciono, se non altro perché presto Alessandro morì, ponendo fine a un breve ma disastroso regno.

Gli sopravvisse il verro di bronzo, la cui fama “magica” continuò pare ancora per diverse generazioni, fino alla dinastia degli Angeli (1185-1204), almeno secondo quanto narrato da un insigne storico dell’epoca, Niceta Coniata; tuttavia, l’idolo si dimostrò ancora una volta incapace di  fare alcunché: la disastrosa amministrazione di tale casata e le sue discordie familiari si conclusero infatti con l’umiliante disastro della Quarta Crociata e del sacco di Costantinopoli per mano dei Cristiani d’Occidente.