Fra gli anni ’70 e ’80 del Novecento, Pablo Escobar gestiva gli affari con una semplice domanda:
Plata o Plomo? Argento o Piombo?

Chi incrociava la sua strada poteva scegliere se lasciarsi corrompere o farsi uccidere. Nessuna via di mezzo, non con il leader del Cartello di Medellín, un potentissimo signore della droga dal carattere ambiguo, astuto e camaleontico. Per alcuni era un eroe; per altri, un mostro assetato di sangue. Ci sono molti modi per descriverlo, ma il perfetto riassunto della doppia natura del patrón è nel titolo del libro della sua amante storica Virginia Vallejo: Amando Pablo, odiando Escobar.

Pablo era il padre di famiglia, il filantropo, il Robin Hood colombiano; Escobar era il narcotrafficante, il responsabile della morte di circa 4000 persone fra poliziotti, giudici e giornalisti. Oltre ciò, si occupava della gente, a cui distribuiva soldi, prometteva condizioni di vita migliori e costruiva case e infrastrutture.
Tutto questo mentre ordinava l’omicidio di un ministro o un agguato per strada
La sua storia ha inizio nella povertà, continua all’insegna del potere e si conclude il 2 dicembre del 1993, con una caccia all’uomo fra i tetti di Medellín, la città che ha amato Pablo e odiato Escobar.

L’ascesa nel narcotraffico
Pablo Emilio Escobar Gaviria nasce a Rionegro, nel dipartimento di Antioquia, il 1° dicembre del 1949. Terzo dei sette figli dell’agricoltore Abel de Jesús Escobar Echeverri e dell’insegnante Hermilda Gaviria, il futuro re dei narcos cresce nel comune malfamato di Envigado, nei pressi di Medellín, dove, fin da bambino, dimostra un carattere ribelle, autoritario e dispotico. Nel 1966, abbandona gli studi e si dà alla delinquenza di strada, facendosi presto un nome nel mondo della criminalità locale.

Fa la gavetta falsificando diplomi scolastici e contrabbandando pezzi di automobili rubate; poi entra nel giro degli stupefacenti e fonda il Cartello di Medellín, nato dalla collaborazione fra lui, José Gacha e i fratelli Fabio, Jorge e Juan David Ochoa, con cui scambia informazioni logistiche per immettersi nell’allora fiorente mercato della cocaina e riciclare le vecchie rotte del traffico di marijuana. Nell’organizzazione, che si occupa della raffinazione, del trasporto e della vendita di droga, ci sono anche suo cugino Gustavo Gaviria e suo fratello maggiore Roberto, i responsabili dello spaccio e della contabilità del Cartello.

A venticinque anni, quando è ormai un narcotrafficante in ascesa, il patrón si innamora della tredicenne Maria Victoria Henao, che sposa nel marzo del 1976. L’anno successivo viene alla luce il suo primogenito Juan Pablo, ma al lieto evento fa seguito una breve detenzione per spaccio di droga. All’uscita di prigione, gli affari vanno a gonfie vele e, con la richiesta di cocaina negli Stati Uniti in aumento, don Pablo diventa tanto ricco da potersi permettere l’acquisto di un vasto terreno nella valle del fiume Magdalena, dove fa costruire l’Hacienda Nápoles, la sua villa dei sogni.

L’Hacienda, che al suo ingresso ha un arco sormontato dalla replica dell’aereo con cui Escobar ha trasportato il suo primo carico di cocaina negli Stati Uniti, è una sorta di simbolo del Cartello e del potere del narcotraffico. Il patrón la usa sia per gestire gli affari sia per trascorrere il tempo libero con la famiglia e, oltre alle residenze, l’Hacienda comprende anche una pista d’atterraggio, laghi artificiali, campi da calcio e da tennis, statue di dinosauri e animali come giraffe, ippopotami e cammelli, per un totale di circa 200 specie importate illegalmente dall’Africa.

La filantropia e l’ingresso in politica
Questo sfarzo è però sotto gli occhi di tutti ed Escobar decide di investire nell’area attorno all’Hacienda, finanziando la costruzione di strade, scuole e ospedali. In un secondo momento, sposta la sua filantropia a Medellín e, nel 1979, promuove il riammodernamento della città attraverso il programma Civismo en Marcha, a cui affianca una vasta copertura mediatica di propaganda. In seguito, sfrutterà la sua fondazione Medellín sin tugurios per trasferire parte della popolazione delle baraccopoli nel cosiddetto barrio Pablo Escobar, un quartiere nuovo di zecca con casa costruite da zero.

Ma al re dei narcos non interessa solo riciclare il denaro sporco e guadagnarsi il rispetto, l’ammirazione e la protezione dei ceti bassi. Il governo, infatti, sta ultimando un pericolosissimo accordo di estradizione con gli Stati Uniti e le presidenziali dell’82 sono la sua unica occasione per fare eleggere qualcuno che si rifiuti di firmalo.
Offre il suo appoggio al candidato Luis Carlos Galán ed entra nel movimento del Nuevo Liberalismo, ma, per quanto Escobar sia una gallina dalle uova d’oro – perché può portare voti e fondi per le campagne elettorali – quando iniziano a circolare voci sul suo coinvolgimento nel narcotraffico, Galán ne prende le distanze.

Il patrón ripiega su Alfonso López Michelsen e aderisce al Partito Liberale Colombiano, con cui spera di ottenere un seggio al Congresso per godere dell’immunità parlamentare. Ci riesce il 14 marzo del 1982, ma, nel 1983, il presidente Belisario Betancur nomina come nuovo Ministro della Giustizia Rodrigo Lara Bonilla, un fermo oppositore dello spaccio degli stupefacenti.

Bonilla dà vita a una massiccia campagna mediatica in cui scredita il rivale e lo accusa pubblicamente di essere un signore della droga. Ne nasce un botta e risposta in cui Escobar esorta il ministro a esporre prove a sostegno della sua tesi – pena una denuncia per calunnia e diffamazione – ed esibisce un falso assegno per dimostrare che Bonilla si è fatto finanziare dal narcotrafficante Evaristo Porras.

Il braccio di ferro prosegue con gli Stati Uniti che revocano il visto d’ingresso a Escobar e il quotidiano El Espectador che diffonde la notizia del suo arresto nel 1977. Don Pablo è ormai con le spalle al muro e, il 20 gennaio del 1984, si dimette dall’incarico parlamentare, ma quando il successivo 10 marzo, Bonilla e la DEA, l’agenzia federale antidroga degli Stati Uniti, smantellano Tranquilandia, il più grande laboratorio di cocaina del Cartello, decide di passare al contrattacco e ordina l’omicidio del ministro, assassinato a Bogotà la sera del 30 aprile.

Il presidente Betancur reagisce con il pugno di ferro e dichiara guerra ai narcotrafficanti, che si rifugiano a Panama sotto la protezione del generale Manuel Noriega.

Il narcoterrorismo
Durante il suo momentaneo esilio, Escobar apre nuove rotte per lo spaccio di cocaina in Nicaragua e a Cuba, stringe accordi commerciali e medita vendetta. Quando torna in Colombia si rinchiude nell’Hacienda, dove nessuno può toccarlo, e si pone come obiettivo di spingere il governo a rendere incostituzionale il trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Per farlo, inaugura una lunga stagione di narcoterrorismo e, nella seconda metà del 1986, fa assassinare personaggi di spicco della lotta anti-droga come il magistrato Hernando Borda, il giornalista Roberto Camacho Prada, il capitano di polizia Luis Alfredo Macana e Guillermo Cano, il direttore dell’El Espectador.

Ma lo stato non è l’unico nemico del patrón, perché i rivali del Cartello di Cali, forse in disaccordo sulla decisione di togliere di mezzo Bonilla, approfittano della situazione per dargli la caccia e sfidare il suo monopolio della cocaina.

Escobar ha ormai così tanti nemici che, a Medellín, fa costruire un imponente residenza-bunker, il cosiddetto edificio Mónaco, per viverci in segreto con i suoi familiari. Il rifugio sembra sicuro ed è lì che festeggia in pompa magna la prima comunione del figlio, ma, il 13 gennaio del 1988, il Cartello di Cali riesce a trovarlo e fa esplodere un’auto-bomba contro la struttura.
L’incidente è senza vittime ma Escobar inasprisce la faida su entrambi i fronti e, sul finire dell’anno, ci sono tentativi di riavvicinamento con il governo. Nel mentre, scopre che un papabile candidato alle presidenziali del ’90 è la sua vecchia conoscenza Luis Carlos Galán, la cui elezione comporterebbe l’inizio di una dura politica repressiva contro il narcotraffico. Lo fa uccidere durante un comizio a Bogotà il 18 agosto del 1989 e la notizia smuove l’opinione pubblica colombiana.

Come il suo predecessore Betancur, il presidente Virgilio Barco Vargas prende posizione contro i signori della droga e gli sguinzaglia contro il Bloque de búsqueda, una task force creata con il supporto di alcuni paesi occidentali, a cui conferisce poteri speciali per perseguire i leader del Cartello.
La risposta del patrón è durissima

Da settembre a novembre si susseguono attentati terroristici, omicidi e sparatorie: una bomba rade quasi al suolo l’intera sede dell’El Espectador; muoiono il deputato Luis Francisco Madero, il giudice Hector Jiménez Rodriguez e il giornalista Jorge Enrique Pulido; addirittura, i sicari di Escobar fanno saltare in aria il volo 203 dell’Avianca, nel tentativo di assassinare il candidato presidenziale César Gaviria, che però non è a bordo, a differenza degli altri 107 passeggeri… Tutti morti.

Il 15 dicembre, le autorità colombiane riescono a uccidere José Gacha, alleato storico di don Pablo, e il Cartello risponde a suon di rapimenti per spingere il governo al dialogo.

Ancora una volta i negoziati falliscono ed Escobar rincara la dose offrendo una ricompensa in denaro per ogni poliziotto morto. Nell’estate del 1990, si apre una breve tregua per capire se ci possa essere un dialogo costruttivo con il nuovo presidente César Gaviria, che vorrebbe scendere a patti con i narcos a causa dell’elevato costo di vite umane della guerra, ma, l’11 agosto, Gustavo Gaviria, cugino e braccio destro di don Pablo, muore in un agguato della polizia e subito si ricomincia con i bagni di sangue.

Lo stato, però, tende una mano al Cartello e offre condizioni vantaggiose a tutti i signori della droga che decideranno di consegnarsi alla giustizia. Alcuni stretti collaboratori di Escobar accettano, ma il patrón non si fida – vuole che l’ago della bilancia penda dalla sua parte – e ordina il sequestro di dieci ostaggi, fra giornalisti e familiari dei politici, da usare come merce di scambio nelle trattative.

La Catedral
L’espediente funziona. Il 19 giugno del 1991, don Pablo si costituisce con la garanzia di non essere estradato negli Stati Uniti e il permesso di scontare i 5 anni di detenzione che gli spettano in una struttura privata convertita in prigione a sue spese.
Ma di prigione, la Catedral ha solo la facciata, perché, complice l’esercito che ha l’obbligo di sorvegliare solo l’area esterna – mentre le guardie penitenziarie sono tutte sul suo libro paga – il patrón trasforma l’edificio in una seconda Hacienda Nápoles, con saune, vasche idromassaggio, cascate, discoteche, campi da calcio, computer, telefoni e fax. Nel suo carcere privato, nei pressi di Envigado, don Pablo fa ciò che vuole: continua a gestire gli affari del Cartello, si rilassa e, addirittura – secondo voci di corridoio mai del tutto smentite o confermate dai diretti interessati – organizza partite di calcio a cui prendono parte campioni del calibro di René Higuita e Diego Armando Maradona.

Dopo poco più di un anno di detenzione extralusso, Escobar è ancora un incontrastato signore della droga e, nel luglio del 1992, ha il sospetto che due suoi collaboratori rimasti a piede libero, Fernando Galeano e Gerardo Moncada, gli stiano nascondendo 20 milioni di dollari dalle entrate della cocaina. Li convoca nella Catedral, dove li fa torturare e uccidere in seguito a una discussione molto accesa; poi ordina un’epurazione del Cartello e l’assassinio di circa 50 membri dell’organizzazione.
Mentre i media iniziano a riportare notizie su cosa si celi dietro la Catedral, il governo decide di trasferire il prigioniero in un carcere di massima sicurezza, ma don Pablo anticipa tutti sul tempo ed evade il 22 luglio del 1992.

Escobar ultimo atto
La figuraccia è così grande che il presidente Gaviria fa partire un’imponente caccia all’uomo, a cui si aggiungono anche i Los Pepes, acronimo di Perseguidos por Pablo Escobar, i perseguitati da Pablo Escobar, un’organizzazione paramilitare legata al Cartello di Cali.

Quando scappa dalla Catedral, il patrón ha ormai troppi nemici e tutti sono determinati a sconfiggerlo, ma può ancora contare sull’affetto del popolo di Medellín, che gli offre protezione come ringraziamento per le tante attività filantropiche.

La guerra prosegue per poco più di un anno e gli uomini del Cartello vengono sistematicamente uccisi dalla polizia o dai Los Pepes. All’alba del suo quarantaquattresimo compleanno, il 1° dicembre del 1993, Escobar è solo. Si nasconde in case sicure insieme ad Álvaro de Jesús Agudelo, la sua guardia del corpo, ma il giorno successivo cede alla tentazione di sentire i suoi familiari e si intrattiene a telefono con il figlio più del dovuto. Il Bloque de búsqueda sfrutta la tecnologia fornita dagli americani per triangolare la chiamata e localizzarlo a Los Olivos, un quartiere residenziale di Medellín.

Scatta la retata e il nemico pubblico numero uno della Colombia rimane coinvolto in uno scontro a fuoco sui tetti, dove lo raggiungono tre proiettili – uno alla gamba, uno al torace e uno dietro l’orecchio – che pongono fine alla sua epopea criminale.

La prima grande conseguenza dell’evento è che il Cartello di Cali eredita il monopolio della cocaina dal Cartello di Medellín, ma quel giorno muore solo Escobar, non il suo mito, che, ancora oggi, resiste attraverso le serie televisive, i film e i ricordi di coloro che, nonostante tutto, continuano a vederlo come un Robin Hood o un Che Guevara colombiano. Suo figlio Juan Pablo non è dello stesso avviso e, dopo anni di silenzio, è uscito allo scoperto per raccontare, con libri e interviste, il vero Pablo Escobar.

La testimonianza di Juan Pablo Escobar
Non era un eroe da osannare; era un mostro assetato di sangue che, a detta di Juan Pablo, ha fatto cose ben peggiori di quelle viste sul piccolo o grande schermo. Il patrón costruiva campi da calcio per allontanare i giovani dalla delinquenza e dalla droga, ma lui stesso si arricchiva con il narcotraffico. Su questo era stato lungimirante: si occupava di progetti sociali di cui lo stato non si era mai occupato; finanziava case, ospedali, scuole e centri sportivi; attirava a sé la simpatia di quelle classi che si sentivano trascurate dal governo. Ed è qui che, sempre secondo Juan Pablo, entra in gioco la doppia natura del padre.

Se Escobar era un potente signore della droga, Pablo era un uomo dai grandi ideali, un ottimo padre e un rispettabile capofamiglia.
Per i suoi cari avrebbe fatto di tutto, anche togliersi la vita
Sappiamo che morì nel corso di una sparatoria in cui gli fu fatale un proiettile dietro l’orecchio, ma i suoi parenti, Juan Pablo incluso, sono certi che le cose siano andate diversamente.
Escobar voleva farsi catturare e permettere alla sua famiglia di tornare alla normalità

Nella versione dei fatti di Juan Pablo, leggiamo che il padre chiese al suo medico di fiducia come suicidarsi e ricevette il consiglio di spararsi dietro l’orecchio. A quel punto, Escobar chiamò il figlio e restò volutamente a telefono con lui più del dovuto, perché sapeva che, così facendo, la polizia lo avrebbe localizzato. Infine, si uccise per far valere il motto del Cartello:
“Meglio una tomba in Colombia che una prigione negli Stati Uniti”
Qualunque sia la verità, quello storico 2 dicembre del 1993 si chiudeva una delle carriere criminali più singolari della storia. Moriva Pablo Escobar, l’uomo dai due volti, il Robin Hood colombiano che, per circa un decennio, aveva tenuto sotto scacco un’intera nazione.
Fonti:
- Pablo Escobar – Enciclopedia Britannica
- Dagli archivi segreti di famiglia, la vera storia di Pablo Escobar, il più grande narcos di sempre – Documentario disponibile su YouTube
- Juan Pablo Escobar: “Il vero Pablo non è quello di film e serie tv” – Intervista disponibile sul canale YouTube di Euronwes (in italiano)
- Pablo Escobar – Wikipedia spagnolo
- Pablo Escobar – Wikipedia inglese