Metti una ragazza di colore nei primi anni ’20 del 1900 negli Stati Uniti d’America. Bisogna avere fortuna, coraggio e capacità per fare qualcosa di memorabile, anche se poi la storia ha la memoria corta e nasconde fra le sue innumerevoli pieghe molti di quelli che invece dovrebbero essere ricordati.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Alice Ball
Alice Ball, afroamericana nata a Seattle nel 1892, ha la fortuna di nascere in una famiglia della middle-class: il padre avvocato dirige un giornale, mentre il nonno è un noto fotografo di professione, uno dei primi afroamericani a saper usare la tecnica del dagherrotipo. Anche la madre e il padre sono fotografi, e probabilmente la passione di tutta la famiglia per quell’arte così nuova e complicata (il dagherrotipo richiede un complesso processo chimico) suscita un interesse speciale per la chimica nella piccola Alice.
Nel 1902 tutta la famiglia si trasferisce alle Hawaii, alla ricerca di un clima più adatto alle cattive condizioni di salute del nonno, che però muore dopo soli due anni. I Ball allora tornano a Seattle nel 1905, dove Alice compie i suoi studi, per poi andare a laurearsi a Washington in chimica farmaceutica e poi in farmacia. Alice, che ha solo 22 anni e due lauree in tasca, è un talento talmente promettente da ricevere l’offerta di borse di studio per un master da diversi atenei, tra i quali c’è la prestigiosa Università Berkeley della California. Lei invece sceglie di tornare alle Hawaii, ed è lì che, prima donna in assoluto e prima afroamericana, consegue il suo master in chimica, ed è anche la prima donna di quell’università a insegnare la materia.
Uomo norvegese di 24 anni affetto da lebbra. Eliotipia su lastra di rame di Pierre Arents – 1886
E’ il 1915. Sempre alle Hawaii, il dottor Harry Hollmann fa del suo meglio per curare i pazienti affetti dalla malattia di Hansen, comunemente conosciuta come lebbra, patologia terribile e quasi incurabile all’epoca, anche se il batterio che la provoca è stato isolato nel 1873. Ancora non esistono gli antibiotici, e i malati traggono qualche beneficio dal trattamento con l’olio di chaulmoogra (derivato dai semi di piante tropicali e tradizionalmente usato in India e in Cina), ma non si trova un metodo corretto per il suo utilizzo: troppo appiccicoso per l’applicazione topica, troppo viscoso per essere iniettato, e praticamente impossibile da ingerire per il suo terribile sapore che induce il vomito. Per ovviare a tutti questi inconvenienti occorrerebbe estrarre il principio attivo dell’olio, per poterlo facilmente iniettare ai malati.
Isola di Molokai (Hawaii) o Terra della morte vivente, dove erano confinati i lebbrosi
Hollmann si rivolge allora ad Alice Ball, che per la sua tesi del master aveva fatto un lavoro simile con un’altra pianta. Ball accetta la sfida e nel giro di un anno, tra una lezione e l’altra, riesce a rendere i principi attivi dell’olio solubili in acqua e quindi facilmente iniettabili. L’impegno e le capacità di Alice Ball portano un fondamentale contributo alla cura della lebbra: l’estratto di olio di chaulmoogra è l’unica cura per la terribile malattia fino agli anni ’40, quando vengono sviluppati i sulfamidici.
Donna affetta da lebbra prima e dopo la cura con l’olio di chaulmoogra
Purtroppo, la giovane chimica non gode dei risultati del suo successo: muore il 31 dicembre 1916, ad appena 24 anni, forse per avvelenamento da gas di cloro, inalato durante una lezione dimostrativa nella sua università.
Il “forse” è d’obbligo, perché il certificato di morte, sicuramente alterato, parla di tubercolosi
La morte della ricercatrice lascia il campo aperto a un collega, Arthur Dean, che pubblica col suo nome i risultati del lavoro di Ball, senza riconoscerle alcun credito.
Solo un po’ di tempo dopo la morte di Ball, il dottor Hollmann cerca di ristabilire la verità, ma il suo tentativo non ha molto successo. Sono dovuti trascorrere quasi novant’anni, ed entrare nel nuovo millennio, perché l’università delle Hawaii riconoscesse il dovuto merito alla giovane e sfortunata Alice Ball, un’altra ricercatrice tra le tante dimenticate dalla storia delle scienze.