È il “Museo dell’Orangerie” di Parigi ad ospitare il ciclo denominato “Le ninfee di Monet”: una serie di oltre 250 dipinti firmati dal celebre pittore francese. Il ciclo prende il via nel 1890, anno del trasferimento dell’artista a Giverny, proseguendo fino alla sua morte, avvenuta nel 1926. Il pittore decise di regalare le opere allo Stato francese nel 1918, al termine della Prima Guerra Mondiale, come simbolo di pace. Tra i quadri di Claude Monet appartenenti a tale ciclo è possibile citare le “Ninfee bianche”, del 1899, “Lo stagno delle ninfee”, del 1908, “Ninfee” del 1916, e “Il ponte giapponese”, risalente al 1922 e considerato il testamento spirituale di Monet.
Giunto a Givercy, in Normandia, Monet acquistò una residenza dal curioso colore rosa, arricchita di terreni attraversati dai binari della ferrovia. Fortemente ispirato dalla tradizione giapponese (destinata ad apparire in diversi suoi quadri), l’artista si impegnò fin da subito a dar vita a un giardino che omaggiasse la cultura del Paese orientale. Ne erano protagonisti fiori come iris, rose, tulipani, uno stagno ricco di ninfee e un ponticello. Ma, oltrepassando con lo sguardo i binari, ad attirare gli occhi di Monet era un secondo terreno incolto. Proprio tale specchio d’acqua divenne lo stagno delle ninfee, ossia un laghetto artificiale che riceveva acqua da un ruscello. Per dipingere Monet allestì nella dimora ben 3 tre atelier. Se il primo si veniva a trovare all’interno della stanza più luminosa, l’ultimo poteva contare su un ingegnoso sistema di verande, volte ad assicurare il passaggio della luce anche nei giorni più bui. L’idea era quella di ricercare proprio nella luce ogni sfumatura di colore esistente. E fu proprio nell’ultimo atelier, di circa 300 mq, che l’artista portò avanti la serie di quadri dedicati alle ninfee.
Per il ciclo delle Ninfee Monet scelse di adottare tele di grandi dimensioni allontanandosi, almeno idealmente, da quelli che erano i concetti del movimento impressionista. Un’evoluzione delle regole base di tale movimento che appaiono evidenti anche dall’ispirazione esercitata sul pittore francese dalla nascente fotografia. Man mano che l’interesse nei confronti delle ninfee aumentava, le composizioni tendevano a presentare un numero sempre più ridotto di elementi decorativi. Il ponte giapponese, e le altre specie di fiori, finirono così per scomparire completamente dalle tele. Un’altra particolarità del ciclo delle Ninfee è legata alla fioritura estiva dei fiori. Questo non impedì comunque a Monet di lavorare sulle tele anche in pieno inverno. In estate l’artista era solito dipingere “en plein air”, ponendo il cavalletto di fronte alle rive al fine di catturare al meglio dettagli e scorci. Nelle stagioni autunnali e invernali, invece, le tele venivano portate a termine sfruttando un supporto di cavalletti “mobili”, ottenendo alla fine una visione d’insieme.
Osservando le opere appartenenti al ciclo delle Ninfee su quadri-e-stampe.it, è possibile notare l’avvicinamento all’Astrattismo, caratterizzandosi per una minore importanza dedicata ai dettagli delle figure. I primi dipinti presentano due differenti tipologie di pennellate. Per realizzare lo specchio d’acqua veniva impiegato un tratto più disteso, con tonalità dall’azzurro al blu scuro. I fiori delle ninfee, dal canto loro, erano frutto di una pennellata particolarmente irruenta e nervosa. La minore attenzione nei confronti dei dettagli era anche inevitabile conseguenza della malattia alla cataratta, manifestatasi negli ultimi anni della vita di Monet.