Durante il Proibizionismo Chicago aveva un re. La sua banda gestiva le bische clandestine e le case di piacere, influenzava le elezioni e riforniva di alcolici gli speakeasy (i locali sotto copertura). Nessuno poteva comprarli altrove: a Chicago si bevevano solo i liquori di Al Capone.

Un nome, una leggenda del Novecento, ma anche un personaggio che amava far parlare di sé. Indossava abiti gessati, in testa aveva un cappello Fedora bianco e fra i denti stingeva il suo caratteristico sigaro cubano. Non voleva che la gente lo vedesse come un gangster. Si considerava più un uomo d’affari che dava alle persone ciò che volevano; un gentleman d’altri tempi. Poi arrivò il governo e la musica cambiò.

Da New York a Chicago
Alphonse Gabriel Capone, detto “Al”, nacque a Brooklyn il 17 gennaio del 1899, dal barbiere Gabriele Capone, di origini castellammaresi, in provincia di Napoli, e dalla sarta Teresa Raiola, originaria di Angri, in provincia di Salerno.

I genitori erano emigrati nel 1895 e il giovane Al visse la sua prima infanzia in un quartiere povero e malfamato. Frequentò una scuola cattolica, ma a undici anni fu espulso per aver dato un pugno a un insegnante, e si diede alla criminalità minorile.

Da adolescente si unì alla famigerata Five Points Gang di Johnny Torrio, che lo pose sotto la sua ala protettiva.

Nel 1919, Torrio si trasferì a Chicago in qualità di vice di Giacomo Colosimo, boss della Chicago Outfit, e affidò i suoi affari newyorkesi a Frankie Yale. Al Capone passò al servizio di quest’ultimo e lavorò come barista e buttafuori in una casa di piacere di Coney Island, l’Harvard Inn.

Si narra che un giorno fece delle avances molto spinte a una ragazza e il fratello di lei, Frank Galluccio, gli sfigurò parte della guancia sinistra con un coltello. L’episodio gli valse una cicatrice, che nascose con il trucco per tutta la vita, e l’odiato soprannome di “Scarface”, lo sfregiato.

Il primi anni del proibizionismo
Negli Stati Uniti i tempi stavano cambiando e il proibizionismo era alle porte, ma a Colosimo non interessava il contrabbando di alcolici e Torrio, che invece lo voleva sfruttare eccome quel nuovo business, decise di mandarlo in pensione.

Alla fine del 1919 chiamò Al Capone a Chicago e gli affidò la gestione del Four Deuces, dove contrasse una sifilide che, anni dopo, lo porterà alla morte. Il 1920 si aprì con due eventi cruciali. Il 16 gennaio il Volstead Act inaugurò l’era del proibizionismo e l’11 maggio Frankie Yale uccise Colosimo su ordine di Capone e Torrio, con quest’ultimo che divenne il nuovo boss della Outfit.

Gli affari andavano a gonfie vele. Gli speakeasy proliferavano e i camion di alcolici erano sempre in viaggio, ma la Outfit controllava solo la parte sud di Chicago, e le varie organizzazioni criminali erano spesso in competizione fra loro. Torrio promosse una coesistenza pacifica che durò fino al 1922, quando l’irlandese Dean O’Banion, a capo della North Side Gang, cominciò la cosiddetta “guerra della birra”.

Anche sul fronte politico c’erano problemi. Il sindaco di Chicago era William Thompson, il cui nome era sul libro paga di Torrio e Al Capone, e la sua posizione garantiva alla Outfit ampie libertà di manovra, ma, nel 1923, Thompson perse le elezioni e fu eletto William Dever, che impose il pugno di ferro contro la malavita.

Torrio e Al Capone spostarono le operazioni della Outfit a Cicero, un piccolo sobborgo di Chicago, e si insediarono nell’Hawthorne Hotel. Il 1° aprile del 1924, il loro candidato corrotto, Joseph Klenha, vinse le elezioni a sindaco dopo una escalation di sparatorie, omicidi, pestaggi e intimidazioni.
La città era nelle loro mani

La faida con la North Side Gang
La faida con la North Side Gang continuò e il suo primo atto, col senno di poi quello meno sanguinoso, si concluse solo il 10 novembre del 1925, quando Frankie Yale e altri due sicari uccisero O’Banion nel suo negozio di fiori. Gli succedette il famigerato Hymie Weiss, anche noto come “l’unico uomo che Al Capone abbia mai temuto”.

Weiss designò Bugs Moran come suo vice, e decise di vendicare la morte di O’Banion a tutti i costi. Capone e Torrio non erano nuovi alle imboscate, ma Weiss aveva un cancro in fase terminale e ciò lo rese un avversario imprevedibile. Dopo un sacco di tentativi a vuoto, il 24 gennaio del 1925, lui e Moran intercettarono l’auto di Torrio e gli spararono alla mascella, al petto, all’inguine, alle gambe e all’addome, ma non riuscirono a dargli il colpo di grazia. Torrio sopravvisse, lasciò il comando a Capone e si ritirò in Italia con la moglie.

Il 20 settembre del 1926, dieci automobili, con a bordo gli uomini di Weiss, passarono accanto all’Hawthorne Hotel e scatenarono una pioggia di proiettili contro le finestra del primo piano, dove c’era il ristorante in cui Al stava pranzando. La sua guardia del corpo lo gettò a terra e lo salvò, ma l’episodio lo convinse a eliminare il rivale una volta per tutte. Ci riuscì in un’imboscata del successivo 11 ottobre.

Guerra totale a Chicago
Restava da sbarazzarsi del suo successore, Bugs Moran, e, nel frattempo, nel 1927, l’ex sindaco di Chicago, William Thompson, si ricandidò con il sostegno di Al Capone, che gli staccò un assegno di 250.000 mila dollari per la campagna elettorale. Thompson vinse di misura su Dever e, dopo quattro anni d’assenza, la Outfit riottenne il controllo politico della città.

Sempre nel 1927, Capone entrò in conflitto con Joe Aiello, che voleva la carica di Antonio Lombardo, socio in affari della Outfit e presidente dell’Unione Siciliana di Chicago, un’associazione fantoccio che controllava i voti della comunità italo-americana.

La controversia si inseriva all’interno della guerra castellammarese di New York City. Da una parte c’era la fazione di Salvatore Maranzano, alla quale era associato Aiello, e dall’altra quella di Joe Masseria, che appoggiò Capone e scatenò le ire di Aiello.

Quest’ultimo portò dalla sua Frankie Yale e Bugs Moran e, nel maggio del 1927, convinse tre sicari della Outfit, Albert Anselmi, John Scalise e Joseph Giunta, a rovesciare Capone, ma il boss scoprì la congiura e invitò a cena i traditori. Quella che sembrava una bella serata, a base di alcool, donne e buon cibo, si trasformò in una carneficina quando Al e i suoi uomini pestarono gli ospiti con delle mazze da baseball, infierirono a colpi di pistola e lasciarono i cadaveri in dei cespugli.
Il messaggio era chiaro, ma Aiello rispose a tono e offrì una taglia di 50.000 dollari a chiunque avesse ucciso Capone

La Strage di San Valentino
La situazione precipitò in un bagno di sangue. Il 1° luglio del 1928, la Outfit eliminò Frankie Yale con il beneplacito di Joe Masseria, Aiello si sbarazzò di Lombardo il 7 settembre e, il 14 febbraio del 1929, ebbe luogo la Strage di San Valentino.

Alle 10.30, i sicari della Outfit, due in borghese e due travestiti da poliziotto, irruppero nel magazzino al 2122 di North Clark Street, nel North Side di Chicago, finsero una perquisizione e massacrarono a suon di mitra sette uomini di Moran.

Non ci fu alcun superstite e, anche se mancava all’appello il bersaglio principale, che era arrivato poco dopo l’inizio dell’operazione ed era scappato in tempo, la Outfit vinse su tutti i fronti, perché la North Side Gang subì un pesantissimo ridimensionamento. Il 23 ottobre del 1930 sparì anche Aiello e per Al Capone si chiuse un decennio di grandi successi.

Da Robin Hood a “Nemico pubblico n°1”
A livello pubblico, Al Capone era un beniamino del popolo, un Robin Hood che elargiva mance generose e sfidava l’impopolarissima legge sul proibizionismo. Parliamo di un uomo da prima pagina, di un gangster che sapeva stare sotto i riflettori, che aveva sempre la risposta pronta.

A eccezione di brevi pene detentive per reati di poco conto, nessuno era mai riuscito a incastrarlo, e tutti i testimoni delle scene del crimine soffrivano di “strane amnesie”. Se qualcuno lo accusava di omicidio o di estorsione, indiceva una conferenza stampa e, con la sua solita nonchalance, diceva ai giornalisti che non c’entrava niente…
E la gente gli credeva

Una sua celebre massima fu:
Mi si accusa di tutte le morti violente del mondo. Mi meraviglio come non mi addossino anche le vittime della Grande Guerra

Ma i Ruggenti anni ’20 erano finiti e avevano lasciato il posto alla Grande Depressione. Le persone si erano stufate di vedere i morti per strada o di sopportare le sue ostentazioni in un periodo in cui si pativa la fame. All’alba del nuovo decennio, Al Capone non era più un Robin Hood, e il capo del Bureau of Investigation, John Edgar Hoover, lo inserì nella lista dei criminali più pericolosi in circolazione.
Per la stampa, invece, era il “Nemico pubblico n°1”

La fine del regno di Al Capone
Il neo-eletto presidente Herbert Hoover chiese ai Dipartimenti del Tesoro e di Giustizia di elaborare un’operazione congiunta per porre fine al suo strapotere aprendo due fronti.

Il Dipartimento di Giustizia affidò a Eliot Ness il comando di una squadra, poi soprannominata gli “Intoccabili”, perché tutti i membri erano incorruttibili, che doveva tallonare la Outfit con raid e perquisizioni.

Dall’altra parte l’investigatore del Dipartimento del Tesoro Frank Wilson avviò un indagare sulla contabilità del boss. A dispetto di quel che il cinema ha lasciato intendere, non furono gli Intoccabili a incastrare Al Capone; in un certo senso, fu lui stesso che facilitò il compito ai federali.

Nel 1930, suo fratello Ralph e altri membri di spicco della banda ricevettero delle brevi condanne per evasione fiscale e Capone corse ai ripari. Inviò una lettera al giudice James Wilkerson in cui ammetteva che, fra il 1928 e il 1929, aveva avuto un reddito non dichiarato di circa 100.000 dollari e proponeva di ripagare le tasse in cambio di una pena ridotta. Il patteggiamento andò in porto e il 16 giugno del 1931 si dichiarò colpevole, ma, a sorpresa, Wilkerson invalidò gli accordi.

La reazione di Al Capone fu immediata: ritirò la dichiarazione di colpevolezza, ottenne l’elenco dei giurati e li comprò uno ad uno. Tutto stava andando secondo i piani, ma il primo giorno del processo ci fu un nuovo colpo di scena. Un informatore del Dipartimento del Tesoro seppe della corruzione dei giurati e avvisò Wilkerson, che ordinò all’usciere di scambiare la giuria con quella dell’aula a fianco. Il 17 ottobre del 1931 ci fu la sentenza. Il giudice condannò Al Capone a 11 anni di carcere per aver evaso le tasse dal 1925 al 1929.

Le autorità lo rinchiusero ad Atlanta fino al 1934; poi lo spostarono ad Alcatraz, dove i sintomi di una sifilide mai curata e l’astinenza da cocaina lo resero sempre meno lucido. Il 23 giugno del 1936, il prigioniero James Lucas lo colpì alla schiena con un paio di forbici, ma si salvò e trascorse l’ultimo anno di detenzione in infermeria.

Il 16 novembre del 1939 ottenne il rilasciato anticipato e si ritirò nella sua villa a Palm Island, in Florida. Morì per un attacco apoplettico il 25 gennaio del 1947.

Se ne andò con la coscienza sporca e le mani pulite. Agli occhi della legge è stato solo un evasore fiscale, un uomo d’affari spregiudicato… Nient’altro. Per la storia, invece, Alphonse Gabriel Capone è stato uno dei gangster più famosi, furbi e spietati, il re di Chicago, il Nemico Pubblico n° 1.