Un’epidemia di colera nel pieno degli anni settanta, epoca di grandi progressi in ambito scientifico e tecnologico:
Fu questo il dramma che colpì la città di Napoli e alcune zone della Puglia (Bari su tutte) alla fine di agosto del 1973
Al principio degli anni di piombo (è del marzo di quell’anno la divulgazione del programma d’azione della Brigate Rosse) Napoli si risvegliò nel terrore di rivivere gli incubi delle due pandemie che devastarono la città un secolo prima, quando i morti furono migliaia: oltre tredicimila vittime durante il 1837 e settemila il 1884.
Il virus del colera, favorito dalla costante crescita demografica e perciò dall’aumento dei rifiuti, fu presente in Italia in ben sei occasioni durante il XIX secolo, vale a dire nel 1835-37, 1849, 1854-55, 1865-67, 1884-86 e 1893.
La prima ipotesi, poi confermata, di un virus colerico si ebbe il 24 agosto 1973 quando a Torre del Greco, circa quindici chilometri a sud di Napoli – città dove morì nel 1837, secondo alcune ipotesi proprio di colera (conosciuta all’epoca come il morbo asiatico), il poeta dell’Infinito Giacomo Leopardi – furono registrati due casi di gastroenterite acuta. Il 28 agosto, quattro giorni dopo il primo caso, il Ministero della Sanità confermò che Napoli era colpita da un’infezione di vibrione colerico.
Con il terrore diffuso tra le strade del capoluogo campano, partì subito la campagna di vaccinazioni di massa, attuata anche con l’intervento statunitense non solo all’ospedale Cotugno, dove si registrarono circa mille ricoveri, ma anche per le strade della città; vie infestate dall’odore di creolina e dove si svilupparono file addirittura chilometriche e scene di terrore che sfociarono nella psicosi.
Manifesto dell’ossessione che travolse la città fu un uomo che, in fila per la vaccinazione, dopo essere maldestramente scivolato scatenò il panico della folla che gridava:
Tene ‘o colera, tene ‘o colera!
Nel giro di una settimana, con la più grande operazione di profilassi condotta dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, furono vaccinati un milione di napoletani. I dati finali non hanno mai avuto conferme certe: si afferma che, su 277 casi accertati, a Napoli si registrarono 12 o 24 decessi; 9 furono invece i morti in Puglia, altra zona colpita dal virus colerico, di cui 3 nella sola Bari.
Numeri non da catastrofe umanitaria, ma un episodio straordinario, inteso nel senso letterario del termine, come fuori dall’ordinario in un decennio ormai dimentico degli anni tragici della guerra e del suo difficile dopoguerra.
La causa dell’epidemia fu individuata nella consumazione di cozze, portatrici del vibrione, provenienti dal Nord Africa. I mitili rappresentavano un giro di affare di notevoli dimensioni (circa 9 miliardi di lire) per la popolazione partenopea. L’economia marinara si ritrovò perciò in ginocchio con la messa al bando anche dei pesci pescati nel golfo, abitanti delle stesse acque frequentate dalle cozze.
La pagina nera si chiuse il 25 Ottobre, a circa due mesi dal primo caso riscontrato, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò conclusa l’infezione di colera. L’epidemia fece comunque riflettere il popolo campano e italiano riguardo una serie problemi dimenticati: quartieri degradati, condizioni igienico sanitarie al limite, il mare inquinato e un sistema fognario avvelenato, vecchio di secoli e assolutamente inadeguato alle esigenze di una società che pedalava verso il Duemila.
Sull’epidemia colerica del 1973 consigliamo i libri 1973. Napoli ai tempi del colera, opera nata da una inchiesta degli allievi della Scuola di Giornalismo “Suor Orsola Benincasa” di Napoli con la cura di Paolo Mieli (edita da Centro Doc. Giornalistica) e Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia (Editori Laterza) di Eugenia Tognotti.
Il documentario di Rai Storia sull’epidemia di Colera a Napoli: