Oggi, 8 Settembre 2021, cade il 78° anniversario dell’armistizio italiano, una delle pagine peggiori e vergognose della storia italiana, non tanto perché fu firmato ma per come fu fatto, condannando migliaia di soldati italiani alla morte e non solo.
Se il 25 luglio Badoglio, nuovo Capo del Governo, aveva detto “la guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data”, cosa della quale i tedeschi già dubitavano nonostante il 28 luglio Badoglio riconfermasse a Hitler l’alleanza con la Germania, già il 7 agosto lo Stato Maggiore discuteva con Vittorio Emanuele III l’uscita dalla guerra e il 12 agosto venne deciso di mandare il Generale Castellano a Lisbona per un primo abboccamento con gli alleati.
Il generale Castellano
E’ evidente che il non informarne gli alleati tedeschi peggiorò la situazione, per loro gli italiani erano diventati traditori e vigliacchi, ed effettivamente non avevano torto. Gli statunitensi erano già sicuri della sconfitta dell’Italia e della Germania, la resa dell’Italia avrebbe solo spianato un pochino la strada. Quello che interessava maggiormente era evitare la conquista militare che avrebbe portato a conflitti fra gli alleati per la spartizione dell’Italia come poi avvenne in Germania.
Commercialmente volevano tener fuori i britannici, politicamente volevano escludere i sovietici. Quindi rinunciare alla conquista dell’Italia era poca cosa rispetto a dover spartire la torta. Castellano partì in treno, non parlava neppure inglese, incontrò la delegazione alleata il 19 agosto e ritornò in Italia con le loro condizioni, ovvero la resa incondizionata da confermare entro il 30 agosto con la firma che sarebbe avvenuta in Sicilia, già in mano alleata.
Castellano rientrò il 27 e riferì a Badoglio, ma solo il 29 il re venne informato delle richieste alleate. Il 30 agosto Castellano fu mandato in Sicilia con l’accettazione e con le richieste italiane, tutte respinte. Badoglio pensava ingenuamente, o stupidamente, di poter trattare le condizioni di resa, e perfino di essere messo al corrente dei piani militari e di decidere insieme un intervento a difesa di Roma.
Pietro Badoglio
Il 1° Settembre ci fu l’incontro al vertice fra Badoglio, i Ministri e i capi di Stato Maggiore, assente Vittorio Emanuele (!) che aveva delegato il Ministro della Real Casa Pietro D’Acquarone a rappresentarlo, e venne deciso di accettare l’armistizio cosiddetto “breve” ovvero le clausole principali da integrare con l’armistizio “lungo” contenente tutti i dettagli, che fu poi firmato il 29 settembre a Brindisi.
La stretta di mano fra Catellano e Eisenhower:
Castellano partì quindi nuovo per la Sicilia il 2 settembre, ma arrivò privo della delega alla firma richiesta dagli alleati, ritornò a Roma a prenderla (sarebbe una gag comica se non fosse tragica) e ritornò in Sicilia il 3 settembre a Cassibile (SR) dove alle 17:15 venne firmato l’armistizio.
Per la verità il luogo non era esattamente Cassibile, ma una località vicina, in campagna, dove gli americani avevano una base, in contrada S. Michele, e dove era stata messa dagli statunitensi una lapide, poi asportata, della quale resta una fotografia.
L’Italia tergiversava circa il giorno di comunicazione ufficiale, venne stabilita la data indicativa del 12 settembre, l’Italia voleva più tempo possibile per ritardare la diffusione della notizia ai tedeschi, che peraltro già sicuri di cosa sarebbe successo avevano pronta l’operazione Alarico che prevedeva l’occupazione dell’Italia, la liberazione di Mussolini e la creazione di un nuovo governo fascista nella parte non ancora raggiunta dagli alleati, la cattura della flotta e il disarmo dell’esercito italiano.
Il generale Giuseppe Castellano firma l’armistizio per conto di Badoglio, insieme a lui il generale americano Bedel Smith e Franco Montanari del Ministero degli Esteri:
Badoglio e il Re speravano nello sbarco alleato il più possibile vicino a Roma, Città Aperta dal 13 agosto, per proteggerla, ma lo sbarco pianificato a Salerno per il 9 settembre e che tenne impegnati gli alleati fino al 16 convinse gli statunitensi ad anticipare la notizia. La dichiarazione di Roma Città Aperta in fondo era stata unilaterale, nessuno stato l’aveva riconosciuta, e a nessuno importava, infatti i tedeschi la occuparono e gli alleati continuarono a bombardarla.
Alle 16:30 dell’ 8 settembre Eisenhower comunicava da Radio Algeri (o New York, le fonti sono discordi) la resa dell’Italia e la firma dell’armistizio, quando la mattina stessa era stata riconfermata all’ambasciatore tedesco la fedeltà all’alleanza.
L’utopistico titolo de “La Stampa”:
I tentennamenti e il voler tenere il piede in due scarpe rendeva gli italiani inaffidabili, sia per i nuovi sia per i vecchi alleati, che non erano ancora nemici. Preso di sorpresa, il governo italiano non poté che confermare la notizia e Badoglio parlò alla radio alle ore 19:45 informando che le ostilità nei confronti degli alleati dovevano immediatamente cessare e che bisognava rispondere agli attacchi di “altra provenienza”.
L’altra provenienza era ovvia ma c’è un fatto molto importante e grave da considerare.
L’Italia non era automaticamente in guerra contro la Germania, semplicemente non era più in guerra contro gli alleati e questo costò all’esercito italiano migliaia di vite.
Costò anche la vita a Mafalda di Savoia, che stava rientrando dalla Bulgaria e volle comunque proseguire il viaggio verso Roma per raggiungere i figli che la Regina Elena aveva lasciato in Vaticano, e così la poverina venne arrestata e la sua fine è tristemente nota.
Mafalda di Savoia:
Se i sovrani avessero portato i bambini con loro, Mafalda si sarebbe riunita alla famiglia a Brindisi. Forse Vittorio Emanuele riteneva che Mafalda, quale Principessa d’Assia, fosse al sicuro, o pensava di avere più tempo ma si sbagliava di grosso, aveva del resto tenuto all’oscuro dei piani di armistizio tutti i familiari, anche Umberto, ma se Mafalda, che aveva lasciato l’Italia la sera del 28 agosto, fosse stata avvisata e fatta restare in Italia si sarebbe salvata.
La guerra peggiore, quella civile, iniziava ora
Il 9 settembre all’alba la famiglia reale, Badoglio e vari ministri lasciarono Roma per Brindisi. Vittorio Emanuele non aveva alcuna intenzione di cadere in mano tedesca e paragonò questo suo “trasferimento” (solo i fascisti la definirono fuga) a quello dei sovrani di altri stati europei che si trasferirono all’estero. Il paragone però non è esatto, gli altri sovrani lasciarono il paese all’invasione nemica tedesca ma l’Italia non era mai stata invasa e i tedeschi non erano ancora nemici. La parola esatta per definirla è proprio fuga.
Già da fine luglio il re si preparava a questa eventualità, non voleva finire in mano ai tedeschi né confinato agli “arresti domiciliari” come Leopoldo III del Belgio. Solo Umberto si rese conto di cosa significava questo gesto insano e chiese di rientrare. Badoglio, quale suo superiore, glielo proibì, del resto neppure il re lo avrebbe concesso.
L’abbandono di Roma fu uno dei gesti che costò la corona ai Savoia
Vittorio Emanuele III arriva a Taranto:
L’unico membro della famiglia reale che restò a Roma fu Giorgio Calvi di Bergolo, marito di Iolanda e quindi genero del Re, e comandante della divisione corazzata Centauro. Gli venne chiesto se disponibile ad un cambio di fronte e se avrebbe combattuto i tedeschi. Dopo aver consultato i suoi ufficiali rispose negativamente, vista la situazione impari e pasticciata, e molti suoi reparti si unirono ai tedeschi, e tentò solo il 9 settembre di impedire ai tedeschi di occupare militarmente Roma rispettandone l’ “apertura” (mai riconosciuta).
I combattimenti del 9-10 settembre a Roma a Porta S. Paolo
I combattimenti fra militari italiani restati fedeli al re e membri della resistenza contro i tedeschi durarono poche ore, qualcuno li porta ad esempio come prima grande battaglia della resistenza ma in verità la partecipazione fu scarsa, i civili nonostante gli inviti si guardarono bene dall’intervenire, e i soldati italiani vennero sbaragliati dai tedeschi. Calvi di Bergolo contattò Kesselring e firmò la resa il 10 settembre. Il 23 settembre fu arrestato e confinato in un albergo a Hirschegg in Austria, ma fu liberato prima della fine del 1943.
Di punto in bianco migliaia di soldati italiani su tutti i fronti si trovavano allo sbando. Non avevano disposizioni o ordini, erano insieme ai tedeschi che non sapevano come considerare.
Giorgio Calvi di Bergolo
Non eravamo in guerra con la Germania e quindi qualunque atto contro i tedeschi veniva da questi considerato alla stregua di un’azione partigiana. Venivano catturati e non avevano lo status di prigionieri di guerra, quindi non godevano dei benefici e del trattamento stabilito dalla Convenzione di Ginevra, erano esattamente come i partigiani , potevano venir fucilati sul posto o catturati e spediti in Germania con lo status di “internato”.
Molti considerano arbitrario questo giudizio da parte tedesca, ma è invece tristemente legale, l’Italia non era a tutti gli effetti in guerra con la Germania
Qualcuno optò per restare a fianco dei tedeschi, altri li combatterono, alcuni si unirono ai partigiani, altri si nascosero, altri consegnarono le armi e vennero catturati e furono davvero tanti.
Fra Italia, Francia, Jugoslavia, Grecia e Balcani vennero catturati circa 600.000 soldati italiani
Se in Italia o sulla terraferma qualcuno riuscì a cavarsela, nelle piccole isole greche fu una vera strage come a Cefalonia, dove la divisione Acqui che rifiutò di arrendersi venne massacrata, o Coo (Kos) dove 103 (o 96, il numero non è chiaro) ufficiali italiani vennero fucilati per aver contrastato i tedeschi nella conquista dell’isola.
Il volantino alleato lanciato a Roma
Il 12 settembre Mussolini veniva liberato dai tedeschi a Campo Imperatore sul Gran Sasso e portato in Germania dove venne costituita la Repubblica Sociale Italiana, ufficialmente al governo dal 27 settembre 1943 e che andava dal Lazio e Abruzzo fino alle Alpi. L’Italia aveva così 2 governi, uno teoricamente regolare nel Regno del Sud controllato dagli alleati che però copriva neppure un terzo del territorio e non aveva alcun controllo sul resto della nazione e l’altro, un governo insurrezionale, ma di fatto uno stato fantoccio in mano ai tedeschi.
Fu lo stesso Eisenhower a discutere con Badoglio della posizione italiana. Senza una dichiarazione di guerra alla Germania e senza ordini, quello che restava dell’esercito italiano non era regolare, al sud erano in molti a combattere ma al nord erano una massa di sbandati vittime dei tedeschi. Dovette lui ricordare a Badoglio cosa stava succedendo ai militari.
Badoglio e il Re erano perfettamente a conoscenza della situazione, ma ancora non si decidevano. Gli alleati dovettero forzare la mano e il 13 ottobre l’Italia dichiarò guerra alla Germania con l’istruzione di combattere i tedeschi su tutti i fronti. Un mese di indecisione che aveva fatto migliaia di vittime quando un esercito italiano non esisteva già più.
Una piccola curiosità presa da Wikipedia:
Nel 413 a.C.. il generale Demostene con i suoi 6.000 soldati ateniesi si arrese alla città di Siracusa e la resa avvenne proprio a Cassibile, vicino alla foce del fiume omonimo della località di Cava Grande del Cassibile.