Doveva avere gli effetti “devastanti” di una bomba atomica, quel microscopico costume, il bikini, mostrato a Parigi il 5 luglio del 1946. Non per niente prese il nome dall’atollo di Bikini, dove, appena quattro giorni prima della presentazione del rivoluzionario costume da bagno, gli Stati Uniti avevano fatto esplodere il primo dei 23 ordigni nucleari testati nell’arcipelago delle Isole Marshall, nell’Oceano Pacifico.

I bikini dell’antichità
Il bikini era una novità assoluta per l’epoca moderna, e rappresentava un po’ il simbolo della rinascita, dopo i lunghi anni della Seconda guerra mondiale. Proprio il conflitto del ’39-’45 aveva consentito, per motivi di economia sui tessuti, di sostituire il costume intero, anche nei puritani Stati Uniti d’America, con un due pezzi che, però, coprisse rigorosamente l’ombelico.

In realtà, il bikini, o qualcosa che gli assomiglia molto, fece la sua comparsa già nell’antichità. Certo, la modella non aveva niente a che fare con le odierne indossatrici, ma quella donna dalle forme strabordanti (forse una dea madre simbolo di fertilità… i pareri degli esperti sono discordi) indossava – nell’interpretazione dell’archeologo James Mellaart, che la scoprì nel 1958 a Çatalhöyük, in Anatolia – l’antesignano dell’odierno bikini, all’incirca 9000 anni fa.

Ancora più sorprendente, perché si tratta di società strutturate dove le donne godevano di poca o quasi nulla libertà, era l’uso di un simil-bikini nella Grecia o nell’oriente di epoca ellenistica, e poi nel mondo romano. Le più conosciute e preziose testimonianze di questi usi (e costumi) sono in Italia: la prima è la cosiddetta Venere in bikini, una splendida raffigurazione della dea dell’amore, rinvenuta a Pompei, che si mostra nell’atto dal chiaro significato erotico di togliersi un sandalo, coperta sul seno e sul pube solo da un microscopico tessuto dorato dal prezioso ricamo.

Meno sensuali, ma certo altrettanto sorprendenti, sono le ginnaste raffigurate nella Villa del Casale di Piazza Armerina (Enna), sontuosa abitazione romana risalente al IV secolo d.C. Tra le migliaia di metri quadrati di uno straordinario pavimento a mosaico che adorna tutta la villa, quello della “camera delle dieci fanciulle” colpisce più di ogni altro, proprio per quelle dieci ragazze che indossano, incredibile a dirsi, un indumento così simile al bikini, certo non per andare al mare, ma per gareggiare in diversi sport.

I costumi da bagno prima del bikini
Dopo di loro, il nulla; nel senso che nessun indumento fu poi ideato per un uso specifico come i bagni di sole o di mare, almeno fino al XVIII secolo. Naturalmente, nemmeno gli esempi dell’antichità avevano questo scopo, ma sono citati per la straordinaria somiglianza con i costumi attuali, a differenza dei primi costumi da bagno di epoca moderna, poco differenti – almeno per l’ingombro – dagli indumenti usati nella normale vita quotidiana, ma assolutamente idonei a preservare il senso del pudore e della decenza.

Solo nel 1907, grazie alla nuotatrice Annette Kellerman, pian piano prese piede un costume intero, che pur coprendo tutto il corpo, almeno era aderente e lasciava le donne libere nei movimenti.

Negli anni ’30, in Europa si iniziarono a vedere i primi due pezzi, ma negli Stati Uniti solo le star del cinema potevano indossarli: la prima fu la messicana Dolores del Rio, che mostrava una striscia di pancia scoperta nel film Carioca (Flying Down to Rio), e a seguire, dive come Lana Turner, Ava Gardner e Rita Hayworth.

Poi, con la guerra, fu imposta una riduzione del 10% sulla quantità di tessuto utilizzabile per i costumi da bagno, e così anche negli USA venne sdoganato il due pezzi per tutte le donne, a patto che non lasciasse scoperto l’ombelico. Nel 1946, l’aria dell’estate non più densa del fumo della conflitto mondiale sembrava invitare alla gioia e alla libertà, pur con tutte le difficoltà di una situazione ancora complicata. Per economizzare sui tessuti, che ancora scarseggiavano, e per incentivare l’acquisto dei costumi, qualcuno s’inventò nuovi modelli, effettivamente piuttosto avanti sui tempi.

Jacques Heim e Louis Réard
Il primo a lanciare, nel giugno del ’46, un due pezzi sufficientemente succinto, ma comunque con uno slip che copriva l’ombelico, fu lo stilista Jacques Heim, che creò il “costume più piccolo del mondo”, battezzandolo Atome (atomo, come la più piccola particella di materia conosciuta). In realtà, quel modello lo aveva già proposto nel 1932, ma quasi nessuna donna aveva avuto il coraggio di mostrarsi in pubblico con così tanta pelle scoperta.

Il 1946 fu l’anno giusto, ma, subito dopo, Louis Réard osò ben oltre Heim e lanciò il suo bikini, pubblicizzato come “più piccolo del più piccolo costume da bagno”. In effetti, quel costume era veramente minuscolo, tanto che nessuna modella di professione accettò di indossarlo, quando lo stilista lo presentò a una sfilata in piscina a Parigi. Réard, allora, ricorse a una ballerina abituata a esibirsi nuda, Micheline Bernardini, che non trovò affatto scandaloso mostrare l’ombelico e una generosa porzione di glutei. L’evento ebbe, come immaginato da Réard, un effetto esplosivo: i giornali ne parlarono per giorni, mentre la modella ricevette qualcosa come 50.000 lettere dai fan in delirio (quasi tutti uomini, ça va sans dire).

I due stilisti in concorrenza lottarono a colpi di pubblicità per contendersi quella fetta di mercato, per la verità non troppo ampia, di donne disposte a indossare costumi tanto succinti e Réard, per non far confondere il suo prodotto con le imitazioni, affermò che potevano definirsi bikini solo quei costumi in grado di “passare attraverso una fede nuziale”.

Un costume “peccaminoso”
Alla fin fine, però, il bikini, per avere successo ed entrare a fare parte del guardaroba delle donne, dovette attendere ancora parecchi anni, perché fu vietato in Italia, Spagna, Portogallo e Belgio, mentre nella natia Francia non poteva essere indossato sulle spiagge della costa atlantica. Addirittura, quando la svedese Kiki Håkansson vinse la prima edizione in assoluto del concorso di Miss mondo, nel 1951, al momento dell’incoronazione indossava un bikini che papa Pio XII definì “peccaminoso“.
Dopo di lei nessun’altra reginetta di bellezza di quel concorso ha mai più osato tanto!

Negli Stati Uniti, invece, non fu nemmeno preso in considerazione e, ancora nel 1957, la rivista Modern Girl Magazine scriveva: “Non è necessario sprecare parole sul cosiddetto bikini poiché è inconcepibile che una ragazza con tatto e decenza possa mai indossare una cosa del genere”.
D’altronde, lo stesso Réard, che fu poi costretto a tornare a produrre costumi più pudichi, disse che il bikini era «un costume da bagno a due pezzi che rivela tutto di una ragazza tranne il nome da nubile di sua madre».

La moda del bikini
La situazione si sbloccò negli anni ’60, quando le immagini di Ursula Andress nel suo indimenticabile bikini bianco indossato nel primo film di James Bond, seguita a ruota da Raquel Welch, vestita solo di un bikini di pelle per interpretare Un milione di anni fa, divennero talmente celebri da consentire la diffusione dei costumi succinti anche fra le ragazze comuni.

Tuttavia, si dovette aspettare la rivoluzione sessuale della metà degli anni ’60 per sdoganare definitivamente il bikini, perché, come afferma lo storico della moda Olivier Saillard:
«L’emancipazione del costume da bagno è sempre stata legata all’emancipazione della donna»
Anche se è bene specificare che, in realtà, il bikini non è mai stato amato dalle femministe, così come i concorsi di bellezza, incolpati di trasformare in donne-oggetto le partecipanti.

Con buona pace di tutti quelli che nel tempo lo hanno osteggiato (per i più svariati motivi), il bikini rimane ancora, a quasi un secolo di distanza dalla sua nascita, l’indumento più rivoluzionario nella storia della moda.