Le leggende hanno sempre un fondo di verità, o almeno così si dice. Vale allora la pena riportare cinque leggende, tra tutte quelle che ne raccontano il lontanissimo passato, accomunate dallo stesso travolgente sentimento: l’amore.
Napoli affonda le proprie radici in questo sentimento così ardente e complicato, ed è da questo che traggono spunto cinque leggende sulla nascita dei colli e delle isole più famosi del golfo.
I quattro fratelli
La prima storia racconta di quattro fratelli molto legati tra loro, ma protagonisti di un destino beffardo, perché i loro gusti si rivelarono molto simili, soprattutto in fatto di donne.
I quattro fratelli si chiamavano Poggioreale, Capodimonte, San Martino e Vomero, tutti e quattro giovani, belli e vigorosi, complici e amici in tutto, anche nelle marachelle; un giorno però, ognuno all’insaputa dell’altro persero la testa per la stessa fanciulla, che purtroppo non ricambiava nessuno di loro. Da quel momento asprezze, conflitti, tensioni e malumori guastarono l’idillio fraterno, portando con se tormenti e sofferenze. Si sfiorò il fratricidio, scongiurato appena in tempo solo grazie al tempestivo intervento della ragazza che, una volta sedati gli animi, fuggì via verso la libertà.
Veduta dal Colle San Martino
Immagine di Baku via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
I quattro giovanotti, stravolti da ciò che sarebbe potuto accadere, decisero di non combattere più fra loro, in attesa che la giovane cambiasse idea e finalmente scegliesse chi di loro amare. Passarono così i giorni, le settimane, i mesi e gli anni. Attesero per l’eternità. E attesero invano, tramutandosi nei quattro colli che tutti noi oggi conosciamo.
Nisida e Posillipo
La seconda leggenda vede come protagonista un giovanotto di nome Posillipo, che non era semplicemente di bell’aspetto ma anche affascinante e di buon cuore; aveva tanti amici e di certo non gli mancavano sguardi femminili, ma tra tante gentili fanciulle dietro le quali perdere la testa si innamorò proprio della più bella quanto cattiva ci fosse in paese: Nisida. La ragazza era avvenente quanto maligna e non mancava mai di disprezzare il corteggiamento del giovane innamorato, tanto è vero che il povero sfortunato in amore, sconfitto nell’animo e nell’orgoglio, decise di buttarsi a mare. Posillipo non annegò, dapprima annaspò per poi galleggiare, senza riuscire mai ad affondare: questo accadde perché il Fato volle aiutare il giovane e alleviare la sua disperazione tramutandolo in un piccolo promontorio. La crudele Nisida fu invece trasformata in un’isola posta proprio dirimpetto al promontorio: i due furono destinati a rimanere per sempre uno vicino all’altra.
La costa di Posillipo
Immagine di Baku via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Ironia della sorte, Posillipo divenne un posto incantevole ricco di vegetazione, al contrario di Nisida, che rimase arida e sulla quale in seguito fu costruito un carcere: un Istituto Penale dei Minori che accoglieva e accoglie tutt’oggi ragazzi e ragazze, di età compresa tra i 14 e 21 anni, che hanno commesso reati. La leggenda è l’emblema di due cuori molto diversi tra loro, di un amore che non può esistere, di un destino di lontananza.
Il pescatore e la Ninfa – la leggenda di Mergellina
Questa terza leggenda racconta di un semplice e mite pescatore, intento a sistemare la sua rete mentre ancora non sa che la sfortuna lo colpirà proprio tra i flutti del suo amato mare. Un giorno, mentre stava appunto aggiustando la rete, come di consueto dopo una giornata di pesca, ci trovò impigliata una bellissima Ninfa dalla pelle candida e dai boccoli dorati, che tra le mani stringeva una cetra. Al marinaio, totalmente privo d’esperienza in faccende di cuore, bastò un solo sguardo per innamorarsi, perdutamente; al contrario la Ninfa, consapevole del suo gradevole aspetto, sapeva bene come ammaliare un uomo, e fu così che lo attirò a sé col suo canto soave e il suono della cetra.
L’uomo cadde in acqua, annaspò e per ben tre volte cercò di riemergere, ma ricadde in acqua. Alla fine annegò e il corpo non venne mai più ritrovato. Il pescatore si chiamava Mergellina e così fu ribattezzato il luogo dove morì.
Panoramica del golfo di Napoli con in basso il porticciolo di Mergellina
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Ancora oggi si dice che la Ninfa appaia nelle notti di mezza estate in cerca di nuove vittime da travolgere con la sua incantevole bellezza e la soave voce, accompagnata dalla sua fedele cetra.
Sebeto e Megara
La quarta leggenda ha origini greche e racconta di un uomo ricchissimo che viveva in una lussuosa residenza in campagna, nei pressi di Napoli, ed era innamorato di una ragazza di nome Megara. La ragazza in questione ricambiava l’amore e si sposarono. Sembrava che la loro felicità non dovesse avere mai fine, quando un giorno accadde una disgrazia: durante un giro in feluca Megara cadde in acqua, dopo che l’imbarcazione si era capovolta nei pressi della Platamonia (la riva di Chiatamone), dove il mare era ed è sempre mosso; non ci fu nulla da fare e Megara annegò. Il suo corpo venne trasformato per prodigio in uno scoglio: quello che oggi viene chiamata Megaride, dove sorge il Castel dell’Ovo.
L’isolotto di Megaride su cui sorge Castel dell’Ovo
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Sebeto, disperato, pianse tutte le sue lacrime, e proprio a causa di questo copioso pianto egli si disfece in corso d’acqua, diventando un fiume che correva verso il mare, in direzione di quello scoglio che era stata Megara. In questo modo i due innamorati poterono stare di nuovo insieme, seppur in forma diversa, stringendosi in un perpetuo abbraccio. A ricordo di questa tragica storia d’amore venne eretta la fontana di Sebeto, presente ancora oggi a far bella mostra di sé.
La fontana del Sebeto, che intende simboleggiare l’antico corso d’acqua che bagnava Napoli
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Questa leggenda ha anche una seconda versione, non meno conosciuta della prima. In questo caso non si tratta di una storia romantica ma di una rivalità in amore tra due giganti: Vesevo e Sebeto.
Vesevo e Sebeto mal si sopportavano da sempre, ma l’antipatia arrivò al suo apice quando entrambi si innamorarono della bella ninfa Laucoperta, figlia di Nettuno. Un giorno arrivarono ai ferri corti e decisero di scontrarsi: Vesevo scelse di affrontare il suo avversario sputando torrenti di fuoco, mentre Sebeto frantumando massi e trascinandoli a mare; lo scenario dello scontro fu la spiaggia, luogo ideale per gli esseri umani che assistettero alla lotta.
Eruzione del Vesuvio nel 1631
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Il duello finì in parità e i due contendenti, sfiniti, dovettero riposarsi. Dal loro scontro nacque però qualcosa di buono, perché lì dove i loro poteri si erano scagliati erano nati dei fiori. Gli abitanti della zona rispettavano le due divinità e li onorarono per il regalo che i due avevano riservato, pur inconsapevolmente. Passarono così i secoli e fu solo dopo il lento interramento di Sebeto e il silenzio di Vesevo che la memoria della loro presenza andò scomparendo.
Ci sono molte leggende legate al fiume Sebeto e le due qui riportate sono le più significative. Se da una parte queste narrazioni hanno alimentato la fantasia popolare, bisogna specificare che il Sebeto ha una storia geografica molto particolare: il fiume, che scomparve nel XIV secolo, un tempo scendeva dal monte Somma e attraversava tutte le campagne di Casalnuovo, Volla, Ponticelli e Ponte della Maddalena, fino ad arrivare a Pizzofalcone. Il fiume aveva le sue sorgenti alle falde del Vesuvio. ma col passare dei secoli il suo corso si modificò svariate volte, per finire interrato già in epoca medioevale. Della sua presenza geografica rimangono pochi segni, compensati dalle suggestive narrazioni arrivate fino ad oggi grazie anche alla raccolta di leggende napoletane di Matilde Serao.
I napoletani, a testimonianza della sua esistenza, dedicarono un’epigrafe racchiusa in un tempietto raffigurante il dio Sebeto. L’epigrafe recita cosi:
“P.Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho”, ovvero “P.Mevio Eutico ha riconsacrato un sacello al Sebeto”.
Il fiume deve la sua fama anche ai poeti Giunio Columella, Papinio Stazio e al grande Virgilio, che ne ha tramandato il nome nel suo “Sebthide Ninpha”. nel VII libro dell’Eneide.
L’ultima leggenda, dal finale tragico, narra ancora una volta una storia d’amore.
Vesuvio e Capri
Quest’ultima leggenda richiama molto la ben più nota storia d’amore tra Romeo e Giulietta, ostacolati nel loro amore dalle rispettive famiglie, rivali tra loro. La differenza con la nota tragedia ambientata a Verona, sta nel carattere di questo “Romeo” napoletano, tanto irascibile e collerico quanto focoso.
Vesuvio era un signorotto locale dal carattere non facile, ma premuroso verso Capri, fanciulla amorevole che contraccambiava l’amore del giovane dal sangue guascone. Le rispettive famiglie si odiavano e fecero di tutto per osteggiare il loro amore, costringendo così i due ragazzi a prendere l’amara decisione di fuggire via.
I due innamorati, anche senza l’approvazione dei parenti, si sposarono ugualmente, per poi scappare via in barca. Capri capì ben presto che quel peregrinare sempre in fuga non sarebbe stata più vita, ma ormai era tardi: di sicuro la sua famiglia non l’avrebbe più riaccolta in casa dopo il fatto compiuto. Così decise per una soluzione estrema: si gettò in mare e annegò.
L’isola di Capri in una foto d’epoca
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Lì dove la vita la abbandonò nacque un’isola che avrebbe preso il suo nome: Capri.
Vesuvio, inconsolabile e stravolto dall’accaduto, incollerito più che mai, cominciò a sbuffare getti d’aria incandescente, il sangue gli ribollì nelle vene e le sue lacrime divennero fuoco. L’uomo si tramutò nel vulcano che tutti conosciamo oggi, prendendo posto di fronte all’amata capri, in attesa di poterla un giorno raggiungere di nuovo e stringerla a sé. Ancora ardente di passione, ancora ardente d’amore.
Alba sul Vesuvio
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Tutte le leggende qui narrate sono contenute nel libro di Matilde Serao: Leggende napoletane.