La fotografa londinese Julia Fullerton Batten, nel suo foto-progetto Feral Children, narra per immagini la storia di bambini abusati, rapiti, o abbandonati dai genitori, alcuni dei quali sono stati allevati da animali selvatici. Non si tratta di racconti avventurosi, nello stile de “Il libro della giungla”, ma di storie reali e drammatiche, sulle quali la fotografa si è ampiamente documentata.
Le vite di questi bambini e adolescenti raramente hanno avuto un lieto fine: alcuni sono sopravvissuti, imparando ad interagire con gli esseri umani, altri invece sono morti, e altri ancora sono rimasti intrappolati in un limbo tra la vita civile e quella selvaggia, senza possibilità di scegliere fra l’una o l’altra. La storia della “Ragazza Senza Nome” ha ispirato la Batten a cercare altri casi analoghi, che non sono avvenuti solo in luoghi dalla natura selvaggia, ma praticamente in tutti i continenti.
Marina Chapman, Colombia.
La storia di quella che oggi è una signora di circa 60 anni è quasi incredibile, ma vera: Marina fu rapita, probabilmente attorno ai cinque anni, da un villaggio del Sud-America, forse in Colombia. Abbandonata nella giungla, visse con una famiglia di scimmie cappuccino per circa cinque anni. Si nutriva di bacche, radici e banane, dormiva sugli alberi e camminava a quattro zampe, e quando fu ritrovata, da un gruppo di cacciatori, non riusciva più ad esprimersi con un linguaggio umano.
Quelli che potevano essere i suoi salvatori, in realtà la trattarono come una delle loro prede: la vendettero in un bordello di una città colombiana, in cambio di un pappagallo raro. Lei però riuscì a fuggire e a vivere di espedienti per diversi anni, finché una famiglia la raccolse dalla strada, e la fece diventare la serva di casa. Nel 1977 si trasferirono tutti in Gran Bretagna, dove la donna ebbe la possibilità di formare una famiglia propria. Insieme con la figlia più giovane ha scritto un libro sulla sua esperienza con le scimmie: “The Girl with No Name”, che in Italia è uscito con il titolo La Figlia della Giungla.
Amala e Kamala, India
Quello di Kamala e Amala è uno dei casi più famosi di bambini allevati da animali selvaggi. Le due bambine, di 8 e 12 anni, furono trovate nel 1920, quando vivevano con un branco di lupi. Fu il reverendo Joseph Singh che le catturò, mentre si trovavano da sole in una grotta. Le ragazze correvano a quattro zampe, ringhiavano, mangiavano solo carne cruda, dormivano rannicchiate insieme, e ululavano durante la notte.
Amala morì nel 1921, per un’infezione renale, Kamala col tempo riuscì ad assumere una posizione eretta, e ad articolare qualche parola; morì di tubercolosi nel 1929. Singh tenne un diario, dal momento della cattura delle bambine, fino alla morte di Kamala, ma non esiste nessun testimone diretto della sua storia. Forse, sia il diario sia le immagini delle bambine sono posteriori di alcuni anni alla morte di Kamala. C’è il forte sospetto che tutta la storia fosse una clamorosa truffa, architettata dal reverendo Singh, bisognoso di denaro per il suo orfanotrofio.
John Ssebunya, Uganda
John è oggi un uomo “comune”, ma la sua vita è stata certamente fuori dall’ordinario. Nato in un villaggio dell’Uganda, nel 1988, quando non aveva ancora 3 anni vide il padre uccidere la madre. Forse fuggì da solo, o forse fu abbandonato nella giungla, e nessuno seppe più nulla di lui per diversi anni. John ricorda vagamente che alcune scimmie gli offrirono del cibo, e poi lo accolsero nel loro branco, insegnandogli a vivere proprio come uno di loro. Dopo circa tre anni dalla sua scomparsa, una donna di una tribù nelle vicinanze, mentre cercava del cibo nella foresta, vide un gruppo di scimmie, ma una di loro le apparve strana: non aveva la coda!
Gli abitanti del villaggio cercarono di prendere il bambino, ma non fu un’impresa facile: gli animali cercavano di allontanare gli esseri umani lanciando pietre e bastoni, per difendere il loro “figlio adottivo”. Alla fine John fu preso e portato in un orfanotrofio. Dopo essere stato curato dalla malnutrizione, e da diverse altre malattie, John dimostrò di essere dotato di una bellissima voce, così fu inserito nel coro di bambini Pearl of Africa, che nel 1999 si esibì in Gran Bretagna, durante un tour di tre settimane.
Marie Angelique “Memmie” Le Blanc, Francia
La storia di questa ragazza “selvaggia” del 18° secolo è straordinariamente ben documentata; viene ricordata con diversi nomi, sia in inglese sia in francese. I più comuni sono La bambina selvaggia della Champagne, La fanciulla di Chalons, La bambina selvaggia di Songy. Memmie, che era nata in una tribù di nativi americani, fu portata in Francia dalla famiglia che l’aveva comprata nel Wisconsin, ma che la trattava come una figlia.
Costretta a vivere in quarantena per una epidemia di peste, la ragazza fuggì di casa nel 1721, e riuscì a vivere da sola per 10 anni, vagando nei boschi della Provenza. Quando fu catturata, vicino al villaggio di Songy, aveva 19 anni, il corpo ricoperto di peli, e unghie simili ad artigli. Nei lunghi anni passati nei boschi, si era cibata di uccelli e conigli, che mangiava crudi, e di erbe e radici. Dopo essere tornata alla civiltà, Memmie imparò a leggere e a scrivere, e nel 1755 fu pubblicata una sua biografia. Morì a Parigi nel 1775, a 63 anni.
Victor (Il Ragazzo selvaggio di Aveyron), Francia
Quello di Victor è un caso storico, famoso anche perché fu oggetto di studio, in un periodo come quello dell’illuminismo, in cui si tendeva a ridefinire l’uomo da una prospettiva diversa. Victor divenne un “caso”, all’interno del dibattito sulla differenza tra gli uomini e gli animali, che alcuni filosofi individuavano nella capacità di esprimersi con un linguaggio comprensibile.
Il ragazzo fu catturato l’8 gennaio del 1800, quando doveva avere circa 12 anni, nei boschi di Saint Sernin sur Rance, nel sud della Francia, ma era già stato visto diverse volte negli anni precedenti. Non si sa né quando né perché fosse finito a vivere da solo nei boschi, ma le sue abitudini alimentari, e le numerose cicatrici che presentava sul corpo, fecero supporre che vi avesse trascorso la maggior parte della sua vita. Non fu mai in grado di imparare a parlare; morì a Parigi a 40 anni di età.