38 Nativi Americani giustiziati nella più grande esecuzione di massa degli Stati Uniti

26 dicembre 1862, giorno che segue la festa cristiana del Natale. Ma poco importa ai cittadini di Mankato (Minnesota), che si radunano per assistere non a una cerimonia religiosa, ma a quella che sarà ricordata come la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti: 38 nativi americani della nazione Dakota-Sioux vengono impiccati contemporaneamente su un unico patibolo, mentre cantano le loro canzoni di guerra.

L’esecuzione di 38 nativi americani Dakota-Sioux

Ma avrebbero potuti essere dieci volte di più, se il Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln avesse approvato tutte le 307 condanne a morte emanate dal tribunale militare che aveva condotto 498 processi sommari (alcuni durati anche meno di 5 minuti) alla fine della Guerra Dakota. Nessun nativo fu rappresentato da un avvocato difensore e nessuno si prese la briga di spiegare loro il procedimento. Alla fine Lincoln fece una distinzione fra i guerrieri che avevano combattuto contro i soldati statunitensi, e quelli che erano accusati di aver aggredito e ucciso i coloni.

Mappa del Minnesota nel 1862

Era avvenuto esattamente quello che aveva previsto uno dei capo più rispettati dei Dakota (Nazione che faceva parte della grande alleanza con i Sioux e viveva in Minnesota), Thaóyate Dúta, meglio conosciuto come Little Crow:

“Se li aggredisci, si rivolgeranno contro di te e divoreranno te, le tue donne e i bambini”.

Thaóyate Dúta, conosciuto come Little Crow (1857 circa)

Rivolse queste parole a quattro giovani guerrieri che volevano convincerlo a guidare una rivolta contro coloro che li avevano ridotti alla fame, in sostanza il governo degli Stati Uniti.

Little Crow in abiti occidentali – data sconosciuta

Little Crow, sapendo bene a cosa sarebbe andato incontro il suo popolo, apostrofò i quattro, che lo accusavano di codardia: “Bravi, siete dei piccoli bambini, siete sciocchi. Morirete come i conigli quando i lupi affamati vi daranno la caccia” e concluse:

Thaóyate Dúta non è un codardo: morirà con voi

Non si poteva più tornare indietro: la Guerra Dakota del 1862 era già iniziata quando quei quattro guerrieri, il 17 agosto, dopo avere fallito una battuta di caccia, avevano tentato di rubare delle uova in una fattoria, e il tutto era finito con la morte di cinque coloni.

La fame, quello fu il motivo scatenante della guerra. I Dakota stavano letteralmente morendo di fame, perché i trattati del 1851 tra i nativi del Minnesota e gli Stati Uniti non furono mai rispettati dal governo americano.

I Dakota avevano ceduto il loro territorio, accettando di confinarsi in una riserva, in cambio di beni e denaro. Peccato che gran parte del risarcimento previsto non arrivò mai ai nativi, in parte perché mai inviato (il governo era alle prese con l’imminente guerra civile), in parte perché rubato dai funzionari dell’Ufficio degli affari indiani. Quelle poche risorse rimaste venivano poi consegnante direttamente agli “agenti indiani”, ovvero quei bianchi che vendevano le merci ai nativi, a fronte dei debiti da loro contratti.

Un sistema corrotto e iniquo che portò alla fame e all’esasperazione i Dakota, che nella riserva non riuscivano a coltivare nulla perché, guardacaso, il terreno non era adatto alla semina, mentre bisonti, alci, orsi e altri animali che davano cibo e pellicce (usate come merce di scambio) erano praticamente spariti per la caccia indiscriminata dei bianchi.

Le tensioni aumentarono nel corso dell’estate del 1862, ed esplosero quando un agente indiano, tale Andrew Myrick, si rifiutò di dare ai nativi cibo a credito, esprimendosi chiaramente durante un incontro con i rappresentanti dei Dakota e quelli del governo: “Per quanto mi riguarda, se hanno fame, lasciate che mangino l’erba o i loro escrementi”.

Il 18 agosto Little Crow, insieme a un gruppo di guerrieri, attaccò la Lower Sioux Agency. Uno dei primi a morire fu proprio Andrew Myrick, poi trovato con dell’erba infilata in bocca. Ma non fu il solo: molti coloni riuscirono a fuggire, ma molti altri furono uccisi, come tanti dei soldati inviati a reprimere la rivolta, mentre i nativi mandavano a fuoco tutto ciò che trovavano sulla loro strada.

I Dakota attaccano la città di New Ulm

In un succedersi convulso di eventi, i Dakota continuarono ad attaccare gli insediamenti dei coloni, mentre il governatore organizzò una spedizione, al comando di Henry Sibley, nominato colonnello.

Henry Sibley

Incarico difficile per Sibley, forse scelto proprio perché conosceva molto bene i Dakota, la loro lingua e lo stesso Little Crow. Chissà se combattendo contro di loro ripensò mai a quando andava a caccia con il capo indiano, o alla tribù che lo aveva “adottato”. e al figlio che era nato da un breve amore tra i tepee.

Intanto che i volontari venivano addestrati, i Dakota continuarono ad attaccare gli insediamenti dei bianchi, con i coloni che scappavano verso i centri più grandi, come New Ulm, dove arrivarono un migliaio di persone. Anche quella città fu quasi completamente distrutta e duemila persone riuscirono a fuggire.

Coloni in fuga – 1862

A inizio settembre Sibley tentò di negoziare un accordo con il suo vecchio amico Little Crow che, pur rifiutandosi di firmare la resa, voleva spiegare i motivi della rivolta e, in segno di buona volontà, liberare i prigionieri. Non se ne fece nulla, anche perché Little Crow non aveva l’appoggio dell’intera Nazione Dakota, anzi: molte tribù non si erano unite alle azioni di guerra.
La situazione rimase a favore dei nativi finché, dopo molte pressione, il governo centrale (molto più impegnato a far fronte alla guerra civile) mandò una truppa al comando del generale Pope.

Il 23 settembre, a Wood Lake, ci fu l’ultima battaglia: i Dakota furono sconfitti. La guerra, durata sei settimane, aveva lasciato sul campo (ma i numeri non sono assolutamente certi) all’incirca 600 tra civili e soldati statunitensi e un centinaio di guerrieri nativi.

I guerrieri che non erano stati catturati fuggirono lontano, mentre circa 1600 persone che si erano arrese, tutte donne, bambine e anziani, furono chiusi in campo di internamento che, secondo la storica Mary Wingerd, era “essenzialmente un campo di concentramento”. Durante l’inverno morirono circa 300 nativi, per le pessime condizioni igieniche e le malattie.

Campo di internamento dei Dakota – inverno 1862

Negli anni seguenti i Dakota si dispersero, molti fuggirono, molti furono forzatamente trasferiti in riserve lontane, e molti di quelli rimasti furono uccisi da chi voleva riscuotere la taglia di 25 dollari che era stata posta sul capo di ogni nativo. D’altronde, il governatore del Minnesota era stato moto chiaro:

“Gli indiani Sioux del Minnesota devono essere sterminati o spinti per sempre oltre i confini dello Stato. Se qualcuno sfuggirà all’estinzione, il residuo miserabile deve essere spinto oltre i nostri confini e la nostra frontiera presidiata con una forza sufficiente per impedirne per sempre il ritorno.”

Anche Little Crow, che inizialmente era fuggito in Canada, il 3 luglio 1863 fu assassinato sulla terra dei suoi padri da un colono, ricompensato per il suo gesto con 500 dollari.

Il resto è storia: dopo una serie di innumerevoli battaglie, nel 1890 il massacro di Wounded Knee pose fine alla resistenza dei Sioux, uccisi come conigli da lupi mai sazi.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.