Tre bambine sono svanite nel nulla. E’ la sera del 21 Ottobre del 1971, l’Italia del boom economico è pronta a mettersi a tavola ma questa notizia sconvolge la città di Marsala, in provincia di Trapani. Le bimbe sono tre cugine: Antonella Valenti, di 11 anni, Virginia, 9 anni, e Ninfa Marchese, di 7 anni. L’ultima volta che qualcuno le ha viste erano le 13.30: le bambine hanno accompagnato a scuola Liliana, sorella di Virginia e Ninfa, poi si sono allontanate con un uomo.
Da quel momento nessuno le ha più viste
Le ricerche partono quella stessa sera e vedono all’opera molti abitanti della città famosa per lo sbarco dei Mille guidati da Garibaldi del 1860. Vengono battute palmo a palmo le campagne attorno al paese, ma niente:
Le tre bambine sembrano essere state inghiottite da un buco nero
Il 26 ottobre, però, in una campagna poco fuori Marsala, un operaio trova un corpo semi-carbonizzato: è quello di Antonella, la maggiore delle scomparse. La ragazzina sembra esser stata violentata e poi strangolata, ma i medici legali sostengono che Antonella è morta soffocata da un nastro adesivo avvolto lungo tutto il viso.
La morte non risale al 21 ottobre, il giorno della scomparsa. La bambina è morta poche ore prima del ritrovamento. La scoperta del cadavere di Antonella turba la cittadina, angosciata al pensiero che la stessa sorte sia potuta toccare anche alle sorelline Marchese.
Proseguono le ricerche, e intanto le indagini si concentrano su uno zio di Antonella, Michele Vinci, di 31 anni, sposato con la sorella della madre della bimba. I suoi tratti somatici, secondo molti testimoni, corrispondono a quelli dell’uomo visto allontanare con le tre ragazzine quel primo pomeriggio del 21 ottobre.
Lo zio Michele, che aveva partecipato straziato ai funerali della piccola Antonella, è il principale indiziato del procuratore della Repubblica della Procura della Repubblica di Marsala Cesare Terranova, il magistrato che cadrà vittima di un attentato mafioso il 25 settembre 1979. Un indizio sembra inchiodare Michele Vinci: l’uomo lavora in una fabbrica di carta, l’unico posto in cui è disponibile il nastro adesivo con il quale è stata soffocata Antonella Valenti.
Vinci viene messo sotto torchio e la sera del 9 novembre confessa di aver rapito le tre bambine. L’uomo ha provato ad appartarsi con la nipotina Antonella, la sua favorita, ma in seguito al rifiuto ha perso la testa e la ha uccisa.
E le sorelline Marchese?
Michele Vinci, subito ribattezzato dai giornali il Mostro di Marsala, confessa di aver ucciso anche loro e indica dove si è disfatto dei cadaveri. I corpi di Virginia e Ninfa vengono ritrovati dalla sezione sommozzatori dei carabinieri quella notte stessa, nelle profondità di un pozzo in tufo. La loro morte è stata ancora più atroce di quella di Antonella. Virginia e Ninfa sono rimaste abbracciate e al buio per giorni (e così verranno ritrovate dai carabinieri), disperse a 30 metri sotto terra e sono morte di asfissia, fame e stenti.
Secondo gli inquirenti, Ninfa sarebbe morta almeno un giorno dopo la sorella maggiore
Il movente del triplice delitto viene individuato nella morbosa passione del Vinci nei confronti della nipote Antonella. Le altre due ragazzine sarebbero morte solo perché si erano opposte alle sue violenze su Antonella. Individuati dunque sia il colpevole che il movente, il caso sembra essere risolto, ma in tribunale, nel novembre 1973, il Mostro di Marsala ritira la sua confessione e accusa Franco Nania, il fratello del proprietario della fabbrica per la quale lavora e che è insegnante sull’isola di Pantelleria.
Secondo Vinci è stato lui a costringerlo a rapire le bambine per vendicarsi di un rifiuto amoroso della madre di Antonella qualche tempo prima. Se il Vinci si fosse rifiutato di rapire la nipote, la vendetta del professore Nania sarebbe ricaduta su di lui e sulla sua famiglia.
Accuse terribili
Il processo a carico di Vinci viene così sospeso e Nania tratto subito in arresto.
Le accuse di Vinci però sembrano campate per aria, non trovano una benché minima prova e Franco Nania viene prosciolto dopo breve tempo. Passano alcuni mesi e Vinci tira in ballo Nicola De Vita, zio delle piccole Marchese. L’uomo lo avrebbe avvicinato il giorno del rapimento delle ragazzine e in seguito costretto a consegnargliele. Neppure sul De Vita però Vinci riesce a fornire prove sensate, anzi, quando lo incontra in carcere per un confronto cade in un ostinato mutismo e non conferma le pesanti accuse rivolte in precedenza.
L’ipotesi che Michele Vinci non abbia agito da solo però comincia a prendere consistenza. Ad avvalorare questa tesi un pezzo di nastro adesivo trovato nel pozzo, teatro della terribile morte delle sorelle Marchese, un pezzo di nastro dove viene rinvenuta appiccicata una ciocca di capelli biondi. I capelli non risultano compatibili né con quelli delle piccole vittime né con quelli delle donne dei famigliari delle stesse e di Vinci.
Si comincia a pensare al coinvolgimento di una misteriosa donna venuta da fuori città, ma è un altro uomo a entrare in scena. Si tratta di Giuseppe Guarrato, proprietario del terreno dove Antonella Valenti è stata ritrovata senza vita. Si sospetta una sua complicità nel delitto, ma non sussiste alcuna prova tangibile e l’uomo viene scagionato.
Un altro colpo di scena giunge quando salta fuori l’esistenza di una lettera che Vinci avrebbe consegnato a padre Fedele, parroco della chiesa dell’Addolorata a Marsala; un messaggio il cui contenuto, a detta dell’imputato, lo avrebbe scagionato pienamente.
Il prelato però è morto a causa di una trombosi cerebrale e la lettera non si trova né a casa sua né nella sua parrocchia
Si arriva comunque al 10 luglio 1975, giorno in cui viene letta la sentenza. La Corte di Assise di Trapani condanna Michele Vinci all’ergastolo come unico colpevole del sequestro e omicidio delle bambine.
Alla sentenza di Appello del 1976 Vinci si presenta con un diario dove ha scritto una nuova verità sull’uccisione delle bambine. La ragione del rapimento e della morte di Antonella sarebbe dovuta a uno sgarro che il padre, Leonardo Valenti, lavoratore emigrato da pochissimo in Germania, ha fatto alla mafia locale. In un altro momento del processo Vinci continua a mettere in discussione l’immagine del “padre distrutto dal lutto” di Valenti, sostenendo che l’uomo avrebbe dovuto partecipare al sequestro del deputato regionale della Democrazia Cristiano Salvatore Grillo.
Altre dichiarazioni di cui non viene trovato nessun fondamento dimostrabile
Va però specificato che il PM del processo contro Vinci, Ciaccio Montalto (poi ucciso dalla Mafia), formulò un’ipotesi segreta con il giornalista de L’Ora di Palermo Vincenzo Consolo, ipotesi che non seguì vie giudiziarie perché Montalto non aveva fiducia nei magistrati suoi superiori. Egli sostenne che il Vinci era l’esecutore di un rapimento per conto della mafia, che aveva lo scopo di far tornare la famiglia Valenti dalla Germania a salvare la figlia Antonella.
Michele Vinci viene confermato come unico colpevole del triplice omicidio, ma anziché l’ergastolo gli viene comminata una pena detentiva di 30 anni. La Cassazione nel 1978 ridurrà la pena di un anno.
Nel corso del lungo e intricato cammino giudiziario, del caso del Mostro di Marsala si occuperanno anche l’allora colonnello dei Carabinieri e futuro generale dell’Arma e prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, il maresciallo di pubblica sicurezza della Polizia di Stato Lenin Mancuso, il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto e il magistrato Paolo Borsellino, allora procuratore della Repubblica di Marsala. Come il già citato giudice Terranova, anche loro quattro saranno uccisi per mano di Cosa Nostra.
Sotto, la copertina del 1972 del cantastorie Franco Trincale:
Nel 1988 si riaccendono le luci sul caso quando il Vinci, dal carcere dove è recluso, decide di incontrare il noto presentatore televisivo Corrado Augias, all’interno del programma televisivo “Telefono giallo”. L’uomo conferma di aver rapito le bambine perché costretto, ma di non averle uccise. Riprende nuovamente la tesi della vendetta organizzata dal professor Nania e afferma ancora una volta il coinvolgimento nella vicenda di Leonardo Valenti e della criminalità organizzata. Parole che per l’ennesima volta si perderanno nel vuoto: per la giustizia italiana è lui il solo Mostro di Marsala. Nel 2002, dopo ventinove anni di carcere, Michele Vinci ha riacquistato la libertà ed è andato a vivere in provincia di Viterbo, nel Lazio.
Un caso strano, con molti punti oscuri, vari intrecci soltanto accarezzati ma sui quali, probabilmente, mai si è indagato a fondo; una storiaccia che ha visto morire tre bambine innocenti e per la quale la parola fine, forse, non è davvero mai arrivata.
Sotto, la puntata integrale di Telefono Giallo di Corrado Augias del 1988: