26 Luglio 1956: il Naufragio dimenticato della Andrea Doria

L’Andrea Doria non era la più grande, non era la più veloce, ma molti sostenevano fosse la nave più bella. Il 17 luglio 1956 era salpata da Genova per la 101° traversata Genova-New York. Per il comandante Calamai sarebbe stata l’ultima alla guida del transatlantico, dato che lo aspettava il comando della Cristoforo Colombo.

Aveva a bordo 1134 passeggeri e 572 membri di equipaggio, era dotata di scialuppe sufficienti per tutte le persone a bordo. Gli ufficiali erano esperti di navigazione e l’equipaggio era perfettamente istruito per ogni evenienza.

Il Comandante Pietro Calamai:

L’arrivo previsto a New York era il 26 luglio alle ore 9:00, tutto era filato liscio fino al pomeriggio del 25. Alle 15:00 iniziò la nebbia, frequente nella zona di Nantucket in quel periodo, ma quel giorno era davvero fitta, a banchi, e sempre più fitta tanto da non riuscire più a vedere la prua dalla cabina di comando.

L’Andrea Doria era attrezzata con i più moderni sistemi di navigazione, venne ridotta la velocità da 23 nodi a 21,8, vennero chiuse le paratie stagne ed attivato il corno da nebbia.
La riduzione di velocità era minima, quasi ridicola, non avrebbe permesso alla nave di fermarsi in tempo utile per evitare un ostacolo, ma avrebbe causato il ritardo di solo 1 ora sul tempo previsto. La puntualità era molto importante per tutte le compagnie di navigazione, l’epoca dei transatlantici di linea era al tramonto, soppiantata dagli aerei, quindi i ritardi erano da evitare ad ogni costo.

Vestibolo di prima classe:

La Stockholm era partita il 25 luglio alle 11:30 da New York ed era diretta in Svezia. Era una nave più piccola ma, per navigare nei mari del nord in inverno aveva la prua corazzata per le rotte fra il ghiaccio.

Il comandante Nordenson era esperto ma altrettanto non si poteva dire del suo staff, tutti molto giovani, alcuni molto inesperti e pochi in numero, sottoposti a ritmi di lavoro pesanti. La Convenzione di Sicurezza della Vita in Mare del 1948 aveva stabilito che le navi che viaggiavano verso ovest seguissero la rotta a nord mentre quelle che viaggiavano verso est ne seguissero una di 20 miglia a sud. La convenzione non era un trattato obbligatorio e né la Swedish American Line né l’Italia l’avevano firmata. La Stockholm seguiva quindi la solita rotta del viaggio di andata.

Alle 21.30 apparve sul radar dell’Andrea Doria un puntino. Anche il terzo ufficiale della Stockholm, Carstens, vide il puntino della nave italiana a 17 miglia. Il comandante non era in plancia, la Stockholm viaggiava a 18 nodi e non era nella nebbia, il cielo era sereno e si vedeva in mare con piena visibilità, quindi non c’erano condizioni che dessero segnali di preoccupazione. La nave faro di Nantucket però segnalava banchi di nebbia, ma Carstens non sentì o non riconobbe il segnale.

Sala da ballo di prima classe:

Mentre la Doria era equipaggiata con radar di ultimo modello, Carstens invece doveva chiedere sempre la rotta al timoniere, che pare fosse facile alla distrazione e a sbandare, per fare il punto della posizione dell’altra nave e alzarsi frequentemente per altre incombenze. Del resto anche sulla Doria veniva solo controllata sullo schermo radar la variazione della posizione dell’altra nave, senza segnare la rotta sul diagramma, che avrebbe reso possibile una visione più completa della rotta seguita.

A 7 miglia di distanza pareva che le due navi dovessero incrociarsi a 1 miglio di distanza circa a dritta, Calamai ordinò una leggera virata a sinistra per mettere maggiore spazio fra le navi. La virata però era troppo leggera per poter apparire chiaramente sul radar della Stockholm. Purtroppo su entrambe la navi venne interpretata male la reale posizione dell’altra. A solo 1 miglio di distanza le due navi videro reciprocamente le luci, e le due puntavano una nella direzione dell’altra.

Calamai, nel disperato tentativo di salvare la nave, ordinò di virare tutto a sinistra, Carstens tutto a dritta e così, al posto di scontrarsi di prua, la Doria mostrò il fianco destro alla Stockholm che la speronò giusto al centro aprendo una falla di 12 metri di larghezza all’altezza dei ponti superiori, distruggendo le cabine fino in basso ai serbatoi.

L’Andrea Doria sbandata a dritta dopo lo speronamento (si vedono le cime penzolanti, usate per calare le lance di salvataggio di dritta in mare: la notevole inclinazione impedì di calare tutte le lance dell’altro lato):

In mare, in caso di urto inevitabile, le navi dovrebbero scontrarsi di prua, la parte più resistente. L’urto sarebbe più forte per le velocità sommate ma forse l’Andrea Doria ed i passeggeri si sarebbero salvati.

Erano le 23:09 del 26 luglio 1956

Morirono sul colpo 46 persone sulla Doria, molti passeggeri si erano già ritirati in previsione dell’arrivo della mattina seguente, e 5 marinai della Stockholm, fuori servizio, che riposavano nelle cabine a prua.

La Doria, ormai a fine viaggio, aveva i serbatoi vuoti. Le compagnie di navigazione non vedevano di buon occhio il riempirli di acqua di mare per stabilizzare la nave, un lavoro lungo con grandi costi per lo svuotamento e la pulizia prima di poterli riempire di nuovo di carburante. Così la Doria era già di per sé sbilanciata, con tutto il peso nella parte superiore, e inoltre i serbatoi vuoti si riempirono immediatamente di acqua di mare facendola sbandare molto velocemente.

Veduta dell’Andrea Doria durante l’evacuazione degli ultimi naufraghi, in primo piano il guardacoste Hornbeam:

Le paratie stagne erano predisposte per tenere fino ad un certo grado di sbandamento, ma vennero superate. Tutte le scialuppe del lato sinistro erano diventate inutilizzabili a causa dello sbandamento, non era possibile calarle in acqua, e sulle scialuppe non c’era quindi posto che per metà dei passeggeri. La nave era condannata, era solo questione di tempo.

La Stockholm, con la prua distrutta, prima di poter portare aiuto alla Doria doveva cercare di stabilizzarsi dato che stava imbarcando pericolosamente acqua.

Due navi che avevano cercato in tutti i modi di controllarsi a vicenda e di incrociare a distanza di sicurezza parevano essere state attratte da una calamita, centrandosi in pieno

La Stockholm dopo la collisione rientra a New York con la prua danneggiata:

Nella sfortuna la zona era molto battuta da navi di tutti i tipi, passeggeri e commerciali. L’SOS della Doria fu captato da molte navi che subito si mossero per andare in aiuto. Molte però erano navi da carico, piccole e poco attrezzate al salvataggio di così tante persone.

A due ore di navigazione, c’era l’Ile de France, transatlantico passeggeri in rotta per la Francia. Il comandante De Beaudean era perplesso sulla richiesta di aiuto, sul momento indeciso se ritornare indietro, doveva comunque pensare ai propri passeggeri, ma per fortuna prevalse l’istinto ed invertì la rotta.

La Stockholm, appena messa in sicurezza, mandò le proprie scialuppe e finalmente dopo 2 ore dall’impatto arrivò l’Ile de France. L’Ile de France imbarcò 753 superstiti, la Stockholm 545.

Veduta dell’Andrea Doria durante la prima fase di capovolgimento:

Impossibile raccontare l’agonia della nave e la terribile avventura dei passeggeri, tenuti dal comandante della Doria all’oscuro di tutto per non creare panico, ma di fatto abbandonati a se stessi, senza una guida ed istruzioni precise. Ogni storia personale sarebbe meritevole di essere raccontata, del fato che aveva fatto cambiare cabina ad alcuni e li aveva salvati mentre altri erano stati condannati, di comportamenti eroici e di viltà di alcuni membri dell’equipaggio che se ne andarono per primi dalla nave, sollevando lo sdegno dei passeggeri e dei marinai dello Stockholm che li sbarcarono dalle prime scialuppe, di disperazione di chi aveva perso i familiari o di chi non li trovava e non sapeva se fossero vivi.

Fra le altre storie se ne possono ricordare alcune:

Peter Theriot di 13 anni non aveva voluto viaggiare con i genitori e chiesto una cabina tutta per sé e si salvò. I Boyer si salvarono per l’ultimo caffè e l’ultima sigaretta della moglie, che non voleva andare a letto. Il piccolo Rocco Sergio voleva andare a dormire con lo zio, anziché con la mamma e i suoi 4 fratelli, lo zio lo reputò un capriccio e gli disse di no. La signora Sergio e tutti e 5 i figli morirono. Due sacerdoti, Padre Lambert e Padre Wojcik, non riuscirono a rifiutare una partita a scarabeo, anche se non ne avevano voglia, e si salvarono.

Immagine dell’Andrea Doria scattata da Harry A. Trask, Premio Pulitzer 1957:

Tullio Di Sandro gettò la figlia Norma di 4 anni dalla murata per metterla al sicuro su una scialuppa. Urlò in italiano al marinaio di prenderla ma il marinaio svedese non capì, la piccola batté la testa e morì pochi giorni dopo in ospedale. I genitori si salvarono.

Una storia merita di essere raccontata, quella di Linda Morgan che era a bordo dell’Andrea Doria con la mamma, la sorella ed il patrigno. Era in una delle cabine centrate in pieno. Il patrigno morì subito, della sorella non si ebbero più notizie, la mamma restò incastrata fra le lamiere della cabina e venne salvata, gravemente ferita, in extremis. Linda invece, pure ferita, si risvegliò sulla Stockholm. La prua della nave svedese aveva sollevato il materasso con Linda e, quando si era ritirata, l’aveva portato con sé a bordo.

L’Andrea Doria capovolta:

L’Andrea Doria resistette a lungo, scomparve alle 10:09 del 26 luglio. Calamai fu l’ultimo a sbarcare, voleva restare a bordo, e solo la minaccia dei suoi ufficiali di tornare sulla nave con lui lo fece decidere. Il comandante Calamai ne uscì distrutto, non si riprese mai dalla perdita della nave e nella semi incoscienza prima di morire nel 1972 chiedeva se i passeggeri fossero salvi.

La nave completamente affondata:

L’inchiesta si concluse con una specie di concorso di colpe e con l’accordo fra le assicurazioni delle due compagnie di navigazione. Chi ci rimise furono i familiari delle vittime. Un uomo che aveva perso moglie e 4 figli ricevette solo 28.000 dollari al posto dei 500.000 stimati. In questi ultimi anni la figura di Calamai è stata riabilitata, non riconoscendogli alcun errore e facendo ricadere la responsabilità dell’incidente totalmente sul Carstens, ma personalmente credo siano indubbi alcuni errori da parte di entrambi. L’Andrea Doria giace oggi a 75 metri di profondità.


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