24 Fotografie Vintage raccontano le Geisha in Giappone fra l’inizio e la metà del ‘900

Il nome Geisha in Occidente viene spesso confuso con quello di prostituta, quando in realtà i due mestieri non potrebbero essere più dissimili. Le Geisha sono delle artiste dell’intrattenimento, e dedicavano tutta la loro vita all’arte, alla musica e alla danza. Il percorso di formazione per assumere lo status di Geisha era lungo e complesso. Prima dei 21 anni venivano chiamate “Maiko”, e diventare geisha essendo state anche maiko significava ottenere un prestigio maggiore rispetto alle professioniste con un curriculum meno articolato.

L’abbigliamento tradizionale delle Geisha prevedeva numerosi capi indossati l’uno sopra l’altro, e non era molto dissimile da quello delle prostitute dell’epoca. Le differenze erano sottili, ma un giapponese le avrebbe riconosciute a colpo d’occhio: entrambe vestivano in Kimono, ma la Geisha portava l’Obi (una cintura ornamentale) sulla schiena, mentre le prostitute sulla pancia. Le geisha si limitavano a ballare, danzare e conversare, mentre le prostitute, beh, facevano il proprio mestiere.

Il mestiere di Geisha non ha resistito ai tempi moderni, e sta via via scomparendo

La figura delle donne-artiste è infatti sempre meno richiesta a causa della maggior presenza delle donne nella società giapponese. Se un tempo il gentil sesso era confinato a casa e non poteva uscire, con la liberazione dei costumi e una maggior presenza femminile nella società il fascino della scoperta delle geisha è andato scemando, e oggi probabilmente non ci sono che 2.000 geisha circa. La loro vita è regolamentata da severe leggi statali, e il loro lavoro retribuito regolarmente. Nonostante esistano ancora diversi centri per l’addestramento delle maiko, di cui 5 a Kyoto e 7 a Tokyo, con ogni probabilità il lavoro di raffinata artista geisha scomparirà entro pochi decenni.

Una geisha torna a casa e passa vicino ad alcuni ombrelli che si asciugano, nel 1955:

Alcune Geisha indossano i grembiuli mentre servono i marinai giapponesi durante il giorno della Marina di Tokyo, nel 1937 circa:

Un gruppo di geisha giapponesi in abito tradizionale. Novembre 1937:

Una geisha indossa un kimono, nel 1950:

Alcune Geisha vengono istruite dalla loro insegnante, nel 1955:

Alcune Geisha indossano un kimono e servono il saké in un salotto a bordo di una barca a vela sul fiume Nagara, nel 1950 circa:

Una giovanissima Maiko indossa un tipico kimono mentre suona il “Samisen”, tradizionale strumento a corde giapponese, nel 1950 circa:

Alcune ragazze senza le loro parrucche, nel 1950 circa:

Un gruppo di geisha a Beppa, in Giappone, l’8 marzo 1920:

Una bambina porta il tipico kimono giapponese, nel 1950:

Una geisha all’inizio del ‘900:

Un gruppo di Geisha e alcune cameriere in una cittadina rurale del Giappone nel 1943. Le tute a macchie, utilizzate per i lavori manuali e nei campi, vengono chiamate Mampei:

Una geisha, nel 1865 circa:

Due Geisha, animatrici professioniste, praticano due arti diverse: una suona il Samisen e l’altra scrive, nel 1950 circa:

L’attore Cary Grant (1904-1986) osserva come viene insegnato a camminare ad durante la realizzazione del film: “Madame Butterfly”, nel 1932:

Alcune geisha giapponesi formano un sindacato, nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di lavoro, nel 1935:

Una geisha ride timidamente e cortesemente ad uno scherzo, nel 1955 circa:

Un gruppo di geisha gioca a Go, tradizionale gioco giapponese, nel 1955:

Una geisha giapponese viene portata a spasso per la città di Osaka nel 1928, durante il festival di Yebisu:

Una geisha giapponese indossa un kimono e suona il suo Samisen, nel 1950 circa:

L’attrice americana Betty Grable (1916-1973) vestita da geisha in una scena del Musical “Call Me Mister” (in  italiano Butterfly americana) diretto da Lloyd Bacon, il 2 Gennaio 1951:

Alcune Geisha intrattengono un gruppo di uomini e si assicurano che le loro tazze siano sempre piene, nel 1955 circa:

Una geisha organizza le calzature delle persone che entrano dentro casa nel 1955:

Due geisha ricevono la visita di un samurai, nel 1880 circa:

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...