Era il 23 giugno del 1565 quando le truppe di Solimano il magnifico s’impadronirono del forte di Sant’Elmo dopo circa un mese dall’inizio dell’assedio di Malta.

Il capo delle forze terrestri ottomane era il visir Kızıl Ahmedli Mustafa Paşa e quel giorno si ritrovò circondato da macerie, sangue e orrori di varia natura. Doveva trattarsi di una piccola guerra lampo e invece…
Come la storia ci tramanda, fissò la fortezza e disse:
Allah, se un figliuolo ci è costato così tanto, quale prezzo dovremo pagare per il padre?

Il grande assedio di Malta fu un evento storico figlio della crisi religiosa e politica in cui versava l’Europa del Cinquecento. La crescente egemonia ottomana, da un lato, e la riforma protestante, dall’altro, avevano indebolito il Vecchio Continente e permisero l’ascesa di Solimano I, detto il Magnifico.
Nato a Trebisonda il 6 novembre del 1494, Solimano succedette al padre, Selim I, nel 1520 ed ereditò un regno in crescita. Nei primi anni si prodigò nella politica interna: rafforzò la sua posizione e risolse alcune dispute di potere. In seguito, diede il via a una serie di campagne espansioniste che lo legarono in maniera indissolubile all’ordine Ospedaliero di San Giovanni (successivamente, anche conosciuto come Ordine dei cavalieri di Malta) e al suo celebre Gran Maestro, Jean de la Valette. Grazie ai successi militar al di fuori dei confini turchi, comprese il potenziale del suo esercito e pianificò un’impresa elaborata dal padre, ma mai realizzata: assaltare la fortezza cristiana di Rodi.

A quei tempi, l’isola godeva di una posizione strategica che consentiva ai corsari cristiani d’intercettare con facilità le navi del sultano e la sua difesa spettava ai Cavalieri di San Giovanni.
L’impresa non era facile, ma Solimano sapeva che i regnanti europei non sarebbero intervenuti, perché troppo occupati a risolvere i loro conflitti interni, e procedette con l’offensiva. Rodi cadde nella mani ottimane e i cavalieri, sconfitti nell’orgoglio prima ancora che sul campo, dovettero abbandonare l’isola per poi trovare una nuova casa solo nel 1530, quando l’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, gli concesse il possesso di Malta. Fra gli uomini dell’Ordine che subirono l’onta dell’esilio vi era anche un giovane la Valette, che, dopo aver combattuto con valore, la nuova isola non l’abbandonò mai.
Jean de la Valette nacque a Parisot il 4 febbraio 1495 da una nobile famiglia francese che, fra i suoi membri, vantava illustri combattenti delle crociate. Si unì all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni intorno al 1514 e ne divenne Gran Maestro nel 1557. Fu un uomo risoluto e determinato, dai sani principi morali e religiosi; guidò con eroismo la difesa di Malta e giocò un ruolo fondamentale nella disfatta degli ottomani.

All’alba della seconda metà del Cinquecento l’impero della Sublime Porta era una spietata macchina da guerra. Capitanata dal grande ammiraglio Dragut, erede militare del temutissimo Barbarossa, la flotta del sultano aveva dato prova al re di Spagna, Filippo II, di non temere alcun rivale. Dopo che nel 1560 le forze dell’ammiraglio Piyale Paşa avevano trionfato nella battaglia di Gerba contro una coalizione formata da Spagna, Ducato di Savoia, Stato Pontificio, Repubblica di Venezia, Repubblica di Genova e Cavalieri Ospedalieri, l’Europa era consapevole del reale valore della minaccia musulmana. Dal suo canto, Solimano, che aveva consolidato il suo potere sul Mediterraneo, meditò la conquista di un’altra posizione strategica: l’isola di Malta.
Ma il sultano temporeggiò troppo e permise alla Spagna di riorganizzare le proprie forze e a la Valette di richiamare sull’isola tutti i cavalieri. Questa fase di stallo, una quiete prima della tempesta, perdurò fino al 1564, quando Mathurin Romegas, celebre corsaro dell’Ordine, nel giro di un paio di giorni intercettò e distrusse dei vascelli turchi sui quali viaggiavano alcuni membri di spicco della corte ottomana. Il sultano non ebbe alcuna esitazione: Romegas gli aveva fornito il casus belli per muovere battaglia.

All’ombra della Sublime Porta iniziarono i preparativi di un esercito dalle dimensioni enormi e, proprio per l’imponente mole dello sforzo bellico che Solimano era disposto a schierare, la cosa non passò inosservata. Nei primi mesi del 1565, la Valette ricevette alcuni rapporti da spie genovesi a Costantinopoli, che lo avvisarono dell’imminente minaccia. Prima dell’arrivo dei cavalieri in seguito all’esilio di Rodi, Malta non era altro che una modesta isola di corsari e pescatori, priva di fortificazioni, a eccezion fatta della capitale del tempo, la Notabile (moderna Medina), e con un’economia basata solo su ciò che il mare aveva da offrire.
Quando l’Ordine ne prese possesso la modernizzò, costruì città e roccaforti, la rese ricca e prosperosa. Ormai a conoscenza dei piani di Solimano, la Valette sfruttò il proprio vantaggio per preparare l’isola al meglio delle sue possibilità. Rafforzò le città di Birgu e Senglea, ampliò i fossi, iniziò il razionamento dell’acqua e assoldò mercenari da affiancare ai suoi uomini. Secondo le stime di Giacomo Bosio, storico ufficiale dell’Ordine, il Gran Maestro mise insieme un esercito di circa 6.000 soldati, un numero nettamente inferiore rispetto a quello degli assedianti. L’Impero Ottomano era all’apice della sua potenza, una vera macchina da guerra, anche sul piano della tecnologia militare, e per la campagna di Malta schierò una delle armate più grandi del tempo.

Nel maggio del 1565, nelle acque dell’isola, fece la sua comparsa una flotta di circa 193 navi, con a bordo oltre 50 pezzi d’artiglieria e 48.000 soldati musulmani, di cui 6.000 erano i famigerati giannizzeri, casta militare d’élite agli ordini del sultano. Il divario numerico era enorme e non c’è da stupirsi se la corte di Solimano considerava l’assedio una questione da risolvere in poco tempo.
Eppure, come la storia insegna, anche Davide poteva battere un gigante come Golia
L’imponente flotta turca raggiunse Malta all’alba di venerdì 18 maggio, ma non sbarcò subito. Nei preparativi di guerra, infatti, Solimano aveva commesso un errore che, in seguito, si rivelò fatale per le sorti della campagna: aveva diviso il comando in una sorta di triumvirato composto dal suo fedele braccio destro, Dragut, a cui de facto spettava l’ultima parola, da Mustafa Paşa, capo delle forze terrestri, e da Piyale Paşa, capo-ammiraglio della flotta. La nave di Dragut, però, incappò in una tempesta e questi non poté presenziare alle prime operazioni in terra maltese. Senza Dragut, Mustafa e Piyale ebbero alcuni dissensi di natura logistica.
Il primo, molto più prudente dell’altro, era propenso a esordire con un attacco via terra alla Notabile, situata al centro dell’isola, per poi riversarsi contro i forti di San Michele e Sant’Angelo. Il secondo, invece, desiderava prima mettere la flotta al sicuro nel Gran Porto per proteggerla dai forti venti del Mediterraneo e poi assaltare fin da subito la fortezza di Sant’Elmo. Con Dragut ancora in mare, Piyale ebbe la meglio, ma, col senno di poi, dovette ricredersi sulla sua fin troppo rosea aspettativa di uno scontro rapido e indolore. Lo stesso Dragut giunse a battaglia in corso e disapprovò il piano, ma, da fiero condottiero qual era, ritenne disonorevole ordinarne l’interruzione.
La Valette, nel frattempo, aveva ben chiaro il quadro della situazione e scelse la tattica del temporeggiamento. Era convinto, infatti, che dall’Europa sarebbero giunti dei rinforzi e predispose Sant’Elmo in modo tale da rifornirlo di uomini, cibo e munizioni, affinché resistesse quanto più a lungo possibile.
24 maggio: l’attacco ebbe inizio con i primi colpi di artiglieria. Grazie ai costanti bombardamenti, l’esercito di Solimano ridusse il forte in macerie in meno di una settimana, ma questi riuscì a resistere grazie agli uomini che la Valette fece giungere di nascosto per dare man forte agli assediati. Sebbene gli esordi sembravano favorire i turchi, Sant’Elmo si rivelò un avversario più ostico del previsto.
Il 3 giugno i giannizzeri scagliarono un imponente attacco contro le mura che, nel frattempo, venivano riparate in gran segreto ogni notte. I soldati musulmani tentarono la scalata, ma i cavalieri dell’Ordine gli riversarono contro il temibile fuoco greco e chi non si tramutò in una torcia umana, una volta in cima, fu ucciso dai difensori del forte. L’offensiva fu un disastro: a mezzogiorno l’esercito ottomano batté in ritirata e lasciò sul campo circa 2.000 caduti. Nonostante l’evidente svantaggio numerico, i cavalieri dell’Ordine potevano contare su una fede incrollabile e sull’eccezionale carisma del loro Gran Maestro.

Lo stesso la Valette era mosso da un innato senso del dovere e, nonostante l’età avanzata, era intenzionato a raggiungere Sant’Elmo con un piccolo contingente per difenderlo a costo della vita. I suoi cavalieri glielo impedirono, ma quell’episodio, così come molti altri, fomentò gli animi degli appartenenti all’Ordine e li spinse con stoicismo a morire in nome di una giusta causa:
Difendere un presidio della cristianità contro l’invasore turco
Intanto, il forte continuava a essere oggetto di pesanti e ripetuti bombardamenti. Al suo interno vi era uno spettacolo di lacrime e sangue, un valzer di orrori, mutilazioni e cadaveri. I superstiti calarono rapidamente di numero e alcuni chiesero a la Valette di abbandonare Sant’Elmo e prendere parte alla difesa di Birgu e Senglea, gli obiettivi successivi dell’armata ottomana, o di morire in un ultimo attacco al nemico.
La fine più probabile a cui stavano andando incontro era quella di rimanere sepolti sotto le macerie: una morte poco piacevole per dei cavalieri per i quali l’onore era la cosa più importante e che desideravano esalare l’ultimo respiro imbracciando le armi. Pur comprendendo lo stato d’animo dei suoi uomini, la Valette confermò l’ordine di temporeggiare, poiché l’immenso sacrificio di vite umane che stava avendo luogo a Malta era necessario per un fine più grande: far guadagnare tempo all’Europa e alla cristianità. Dopo un’estrema e valorosa resistenza, Sant’Elmo cadde il 23 giugno. Il forte era quasi completamente distrutto e immerso in un degrado al limite dell’immaginabile. Quella che, nei piani iniziali, doveva essere un’operazione lampo, si era tramutata in una guerra di logoramento.

Il prezzo per quel cumulo di macerie, a detta di Mustafa, era stato troppo alto: il numero di caduti dell’esercito ottomano era andato ben oltre ogni aspettativa, Piyale era rimasto ferito e Dragut, spentosi per le conseguenze di una scheggia che l’aveva colpito alla fronte, aveva pagato con la vita la scelta sbagliata del piano d’azione.
Per vendicare gli oltre 6.000 morti che Sant’Elmo aveva chiesto in sacrificio, i turchi si riversarono sui cavalieri catturati e, dopo averli torturati, mutilati e inchiodati a delle tavole di legno, li spinsero in mare in direzione degli altri due forti. Quando le vittime raggiunsero le sponde di Birgu, la Valette osservò con sguardo impassibile quello spettacolo disumano, fece decapitare tutti i prigionieri ottomani e ordinò che i cannoni di Sant’Angelo bombardassero l’accampamento di Mustafa con le teste mozzate dei suoi soldati. Il Gran Maestro, ferito nell’orgoglio, lanciò al suo rivale un monito su ciò che sarebbe successo di lì a poco…
Avevano vinto la battaglia, ma non la guerra
Com’era prevedibile, la notizia della caduta di Sant’Elmo ebbe una certa risonanza nel vecchio continente. L’Impero Ottomano era una minaccia consolidata e se avesse guadagnando la posizione strategica di Malta, avrebbe potuto attaccare il sud Italia con estrema facilità e stringere l’Europa in una morsa che avrebbe messo in serio pericolo la cristianità. L’aria di crisi si respirava in tutte le corti e si decise per un’ingente spedizione di salvataggio denominata il Gran Soccorso. A capitanarla ci sarebbe stato il genovese Gianandrea Doria e comprendeva navi da tutti gli stati mediterranei, a eccezione di Francia e Venezia, che scelsero di restarne fuori per non guastare i rapporti commerciali instaurati con Solimano. Tuttavia, la realizzazione del piano richiedeva tempi tutt’altro che brevi e, nel frattempo, dei volontari salparono in direzione del Grande Porto per rifornire l’isola di viveri e forze fresche.
Ma il blocco navale ottomano non era facile da aggirare e molti perirono senza nemmeno attraccare a Malta. Ai rinforzi partecipò anche il ducato di Savoia, che organizzò una modesta spedizione chiamata Piccolo Soccorso. A differenza loro, che riuscirono a giungere incolumi alla corte di la Valette, i turchi intercettarono e massacrarono Enrique de la Valette, nipote di Jean, e i 600 uomini con i quali era salpato per dare man forte allo zio. Ancora una volta, il Gran Maestro si ritrovò dinanzi alle barbarie dei suoi avversari e, sempre più determinato a respingere la minaccia, al cospetto degli abitanti di Birgu, giurò che di quella città avrebbe concesso a Solimano nient’altro che il fosso.
A seguito della conquista di Sant’Elmo, sul fronte ottomano, Mustafa si ritrovò a capo di un esercito ancora in vantaggio numerico, ma stremato e demotivato. Dragut era morto in battaglia, Piyale era ferito e, come se non bastasse, dovette chiedere rinforzi al sultano. La mossa successiva dell’assedio maltese prevedeva l’offensiva a Birgu e Notabile da un lato, e a Senglea e al forte di San Michele dall’altro. Mustafa ordinò la costruzione di cento piccole imbarcazioni che, almeno nelle intenzioni iniziali, avrebbero sferrato un attacco anfibio contro il promontorio di Senglea. Sempre via mare, invece, istruì i pirati affinché assaltassero il forte di San Michele, ma un disertore avvertì La Valette, che predispose uno sbarramento sottomarino in grado di insidiare le navi nemiche.
La difesa di Senglea fu un successo e leggenda narra che quel giorno non vi furono prigionieri: a tutti coloro che si arresero venne tagliata la gola al grido di «Per vendicare Sant’Elmo». Anche la sortita dei pirati nei confronti di San Michele fallì miseramente: le navi finirono a tiro dei cannoni di Sant’Angelo e solo in poche fecero ritorno da Mustafa. A differenze dei piani via mare dei turchi, le sorti della guerra terrestre erano ancora incerte. Dopo aver circondato Birgu e Notabile, il 2 agosto l’esercito ottomano diede il via a quello che Francisco Balbi di Correggio, mercenario italo-spagnolo al soldo dell’Ordine, definì il bombardamento più duro della storia. L’artiglieria indebolì a dovere le difese nemiche, ma i cavalieri riuscirono a respingere la carica degli assedianti.
Il 7 agosto, allora, Mustafa ordinò due grandi offensive contro Birgu e San Michele, ma accadde qualcosa di inaspettato. Seguendo il racconto di Balbi, la Valette decise per un attacco a sorpresa contro i turchi che avanzavano verso le mura e incitò così gli animi: «Sono certo che se io cadrò, ciascuno di voi sarà in grado di prendere il mio posto e continuare a combattere per l’onore dell’Ordine e per amore della nostra Santa Chiesa. Signori cavalieri, andiamo a morire, che è giunto il nostro giorno!». Ai tempi dell’assedio, aveva 70 anni e, nonostante ciò, con la sua tempra di uomo valoroso, combatté personalmente al fianco dei soldati. La controffensiva a sorpresa sortì l’effetto sperato e i turchi batterono in ritirata. Colto alla sprovvista, Mustafa ipotizzò che l’Ordine avesse ricevuto dei rinforzi, perciò, di lì in avanti, optò per dei bombardamenti a oltranza e ridusse al minimo le incursioni in prima linea.

L’assedio di Malta si era prolungato ben oltre le aspettative e, a differenza dei cavalieri dell’Ordine, l’esercito musulmano aveva il morale a pezzi. A peggiorarne la sorte, infine, il 5 settembre sbarcò l’imponente flotta del Grande Soccorso. Mustafa voleva morire combattendo e, anziché tornare da Solimano con un esercito decimato, ordinò ancora una volta una serie di grandi offensive, a tratti suicide, che, all’alba del 13 settembre, dopo aver perso la battaglia decisiva sulla piana di Pietranera e aver rischiato di esser catturato dal nemico, lo portarono ad abbandonare l’isola insieme alla flotta di Piyale. A 27 anni Jean de la Valette aveva combattuto con valore nell’assedio di Rodi del 1522 e, con ancor più valore e uno stoicismo degno di un gran condottiero, 43 anni dopo era riuscito nell’insperata impresa di salvare Malta, presidio europeo della cristianità.
L’eco del glorioso trionfo di Malta si sparse rapidamente in lungo e in largo. I sovrani europei inviarono i fondi per sostenere la ricostruzione di quella piccola isola che si era posta a baluardo del vecchio continente e tributarono con onori d’ogni sorta i cavalieri e il loro Gran Maestro. Tuttavia, per l’Impero Ottomano il fallimento dell’assedio ebbe solo un contraccolpo di natura economica. A livello di prestigio, la Sublime Porta continuava a essere padrona del Mediterraneo. Solimano era un re dalle grandi ambizioni, che aveva intrapreso grandi campagne militari, ed era propenso a ripetere l’assedio l’anno successivo. In quel caso, la flotta ottomana si sarebbe ritrovata dinanzi un’isola ancora sommersa dalle macerie, che non avrebbe potuto replicare il successo della precedente impresa difensiva.
Tuttavia, Solimano morì nel 1566, seguito, due anni dopo, dal suo eroico rivale, Jean de la Valette. Scongiurato il pericolo ottomano, il Gran Maestro si impegnò nella ricostruzione dell’isola e nella fondazione di una nuova città, poi futura capitale, battezzata in suo onore La Valletta. Purtroppo, non vide mai la fine dei lavori e si spense il 21 agosto 1568 a seguito di un malore aggravato da un’insolazione.

Jean de la Valette ebbe il merito di dimostrare che, sebbene dotato di un arsenale formidabile, il grande Impero Ottomano non era invincibile. Il Gran Maestro compensò il divario numerico con qualcosa di inestimabile, qualcosa che Solimano, Mustafa, Dragut e Piyale non avevano: una fede incrollabile e una determinazione degna di passare alla storia.